Alla
fine di luglio 2008 è trapelata dalla Regione Emilia Romagna la notizia che una
“Cabina di Regia” composta dall’Assessore alla Sanità Bissoni e dagli assessori
locali con stessa mansione stava preparando il piano socio sanitario regionale.
All’interno del piano si andava delineando la bozza delle "Linee d’indirizzo
per i piani di zona per la salute ed il benessere sociale per una piena
applicazione della 194/78". La discussione
definitiva del documento si sarebbe tenuta il 9 Settembre per poi passare
direttamente nelle mani della giunta Regionale.
L’approvazione
delle cosiddette “linee guida” non prevedono infatti nell’iter legislativo la
consultazione del consiglio Regionale.
Cosa sono esattamente?
Sono indicazioni della regione agli enti locali per la stesura dei protocolli
nei “piani di zona” sul percorso socio-sanitario da seguire nei casi di
richiesta IVG e per la promozione alla maternità. Nei piani di zona si siedono
le ASL, i Consultori, gli enti locali e (già ora) associazioni di volontariato
e non che intendono partecipare a questo percorso. L’allarme è subito circolato
tra le donne, soprattutto quando sul Sole 24 Ore del 21 luglio 2008 compare questo
titolo: “Aborto: il caso Forlì fa scuola”. E di seguito: “Vince l’integrazione
tra i servizi – Bissoni: «Un esperienza da replicare».
Il PROTOCOLLO OPERATIVO PER
IL MIGLIORAMENTO DEL PERCORSO IVG concordato nel Marzo 2004 tra AUSL di Forlì Comune di Forlì, Assessorato
alle Politiche Sociali Consulta delle Famiglie del Comune di Forlì non si trova
on line ma per vie traverse giunge nelle mani delle donne riunite a Bologna a
luglio convocate dal Centro delle Donne. Si tratta di un primo incontro
informale in cui si sceglie di leggere e analizzare i documenti “recuperati”.
Il Protocollo di Forlì citato da Bissoni, salta subito agli occhi, dal punto di
vista della pubblicità e laicità del servizio sanitario pubblico e della
libertà di scelta, del rispetto della privacy della donna è inaccettabile. Non
rispetta la Legge 194: quando rinvia la donna, che chiede ai Consultori l’IVG,
ad un colloquio gestito da un assistente sociale, quando prevede un’indagine
sulle motivazioni della scelta della donna, quando demanda al Privato sociale
il compito di informare la donna sull’accesso alle risorse disponibili, quando
obbliga la donna ad eseguire un’ecografia per validare l’età
gestazionale,quando crea una discriminazione tra le donne che si rivolgono
direttamente ai Consultorio e le donne che si rivolgono al loro medico di base
o ginecologo privato. L’applicazione del protocollo inoltre viene considerata
un’eccellenza perché ha ottenuto la rinuncia di nove donne ad abortire, come se
il compito della sanità pubblica fosse la “dissuasione” e non la prevenzione, e
senza alcun dato sul destino delle donne “convinte” alla scelta della
maternità.
Il 5 Settembre la Rete delle
donne di Bologna convoca diverse realtà femminili e femministe da Bologna, Modena,
Ravenna, Faenza al Centro delle Donne. Nasce in quella sede la richiesta di
incontro con l’Assessore Bissoni, attraverso la stesura di diverse lettere: una della Rete delle
donne di Bologna, una di Usciamo dal Silenzio di Ravenna. Nel frattempo
Associazione Orlando, l’UDI. Coordinamento Donne CGIL, preparano altri
documenti e richieste di udienza. In tutti i documenti si rivendica la
necessità di allargare l’iter di approvazione delle Linee d’Indirizzo alle
consigliere, alle assessore locali di parità e alle donne della società civile.
Bissoni si convince e promette un’udienza ai movimenti.
Sui giornali continuano
dichiarazioni contradditorie dell’Assessore e dei movimenti cattolici, la voce delle donne resta invece censurata a
lungo.
Al
Centro delle Donne si svolge un incontro pubblico nell’attesa di essere
ricevute. La rete delle donne distribuisce in città 3000 volantini che recitano
“No agli scambi politici
sul corpo delle donne” perchè la sensazione è comune a tutte, quando si parla di aborto la
mediazione politica crea sempre dei “mostri”. E questo è un caso di mediazione
tra “laici e cattolici”, riprendendo la definizione di volontariato incluso nel
percorso di promozione alla maternità (“laico e cattolico” appunto) contenuta
nelle Linee di’indirizzo.
Che
cosa preoccupa e cosa non piace di queste Linee guida? Cosa contengono?
Le
assessore di parità convocate ottengono che il titolo delle Linee d’Indirizzo
venga cambiato in "Linee di indirizzo per i piani di zona per la tutela
sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza",
cioè la formulazione della Legge 194.
Le
consigliere regionali ottengono che le Linee
guida nazionali della Turco, allegate come integrazione alle linee guida
regionali, restino allegate ma solo come documentazione informativa.
Le
donne della CGIL chiedono
, tra le
altre cose, un piano di finanziamento ai Consultori, che ad oggi sopravvivono
in difficoltà. Nelle Linee guida si parla infatti di lavoro dell’equipe
consultoriale (equipe da tempo di fatto smantellate nella maggior parte dei
consultori) e dell’aggiunta della figura dell’assistente sociale, come figura
di raccordo tra percorso sanitario e percorso assistenziale (percorso,
quest’ultimo che si avvale delle risorse del volontariato).
Quest’ultimo
punto è il nodo che le donne dei movimenti considerano come il più pericoloso.
La
lunga analisi delle Linee Guida Regionali ha portato le donne da Bissoni,
infine, il 6 Ottobre 2008 in una
lunga udienza (dalle 9.30 alle 13.00). Presenti Udi di Bologna, Modena, Ravenna, Ferrara,
Rete delle donne di Bologna, Usciamo dal Silenzio di Ravenna, Coordinamento
Donne per la 194 di Faenza.
Condivise
le critiche e le richieste. Le Linee di Indirizzo sulla Legge 194, sono troppo
squilibrate. Si occupano quasi solamente della promozione della maternità
nonostante il percorso IVG sia ostacolato di fatto da lunghi tempi di attesa,
poca promozione della RU486, obiezione di coscienza “fasulla” dilagante.
Inoltre la piena applicazione della 194 significa spazio alla contraccezione e
non alla dissuasione. Così le donne interpretano la prevenzione. Anche il
percorso contraccettivo vive diverse problematiche che le linee di indirizzo
dimenticano. Alti costi, poche informazioni, poche risorse per campagne e
strutture informative e difficoltà di reperibilità della contraccezione
d’emergenza a causa dell’illegale obiezione di coscienza di farmacie.
In
Emilia Romagna non c’è emergenza interruzioni di gravidanza, neanche per le
immigrate. Il rischio di questa premessa teorica che permea le dichiarazioni di
tutto il mondo politico è il razzismo e lo stigma sul corpo delle donne
migranti. L’aborto è una libera scelta e non una colpa da espiare, come le
associazioni di volontariato generalmente impegnate sulla legge 194 e che
vorrebbero partecipare a questo percorso dichiarano e propagandano alle donne
stesse. La collaborazione delle strutture pubbliche con i privati sociali deve
essere regolata e trasparente, non può ripetersi l’esperienza forlivese. La
sanità deve essere pubblica e laica, mentre è chiaro come Linee di indirizzo
rispondano ad alcune pressioni del mondo cattolico. Le donne sono consapevoli
delle risorse necessarie alla promozione della maternità, ma non possono
permettere che diventino mezzo per la propaganda antiabortista. Non si ritiene
giusto inoltre che l’intera mole di informazioni su questo tema venga
catapultata sulle donne nel momento in cui scelgono l’IVG. Deve essere chiaro
che le informazioni vengono date se richieste esplicitamente. Ove si parla
della collaborazione con idonee formazioni sociali e associazioni di
volontariato si chiede che, a garanzia della gestione pubblica dei Consultori,
debbano considerarsi soggetti esterni, che erogano servizi in accordo e dietro
verifica dell’equipe consultoriale stessa sulla base del percorso individuale
scelto dalla e con la donna.
Si
contesta fortemente questa parte:«Per la realizzazione degli interventi sociali
e assistenziali, concordati con la donna sulla base del progetto
personalizzato, [di tutte le risorse, comprese] quelle messe a disposizione da
parte delle formazioni sociali di base e dalle associazioni di volontariato laico
e cattolico». Chiunque operi in un paese democratico deve essere
considerato laico, ed inoltre si
escludono tutte le religioni che non si rifanno al Vaticano.
Anche
la figura dell’assistente sociale nel percorso IVG è ambigua. Deve essere
chiaro nelle Linee Guida che il primo colloquio per la donna che richieda di
abortire deve essere sanitario, nel rispetto della Legge 194.
Il
9 Ottobre vengono inviate proposte, emendamenti a Bissoni dalla Rete delle donne di
Bologna,
e dall’Udi.
L’ultimo
passaggio dell’iter (che ha compreso, grazie alle donne, la consultazione del
movimento femminista e delle donne delle istituzioni) sarà in Commissione
regionale sulla sanità.
Le donne attendono ora fiduciose i cambiamenti
richiesti nelle Linee d’Indirizzo.