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Mostri e principi: il maniaco di Bologna!

Mostri e principi: il maniaco di Bologna.

Dalle amiche di Betty&Books (che abbraccio forte):

Succede che a Bologna, tramite media locali, cartacei e web, inizia  a circolare l’identikit di un molestatore. Molestatore che colpisce in pieno giorno e sceglie, così scrivono sui giornali, solo giovani donne. Tutte le altre sono salve (?).

Il focus si sposta dalle “vittime” al molestatore e parte la caccia all’uomo. Sotto al cielo nulla di nuovo direte voi, e invece no, è qualcosa di nuovo per un dettaglio non da poco: il mostro questa volta è bianco, non il solito indefinito uomo nero, brutto, sporco e cattivo, anzi è giovane, biondo alto e con accento inglese. Mostro o principe azzurro?

L’identikit poi, un ritratto a matite colorate, richiama un’illustrazione in stile vero hipster, colpisce l’immaginario e diventa virale. Nasce una fan-page su Facebook che raccoglie i meme dell’identikit.

Ci sono bastati questi 2 elementi – la costruzione del mostro mal riuscita (a causa di un identikit in antitesi con lo stereotipo del mostro a cui siamo abituate) e l’identikit virale – per stuzzicare il nostro interesse, una chiacchiera tira l’altra e abbiamo chiesto un contributo a Gaia Giuliani per la webzine. Eccolo.

Il ‘palpeggiatore di Bologna’: note critiche e ironiche sulla gestione mediatica della violenza di genere
di Gaia Giuliani

Mi sono appena imbattuta nella fan-page FB ‘Il palpeggiatore di Bologna’ e francamente l’ho trovata esilarante. So che molte persone non l’hanno ritenuta tale. D’altra parte spesso accade oggi che nel giudicare il limite dell’ironia si sia sovradeterminat* dall’idea di ‘violenza di genere’ che è stata prodotta dal discorso pubblico. Si tratta di un discorso che vede negli uomini, secondo tradizione, i padri (che proteggono) e i padroni (che usurpano) e nelle donne le vittime senza speranza di una violenza ‘connaturata al sesso forte’.

Spesso si è così fuorviati dal discorso egemonico su vittime e carnefici da non comprendere che ad essere presa in giro in quella pagina non è ‘la violenza di genere’ ma la costruzione visiva, mediatica e poliziesca del mostro. Titoli come ‘Caccia al maniaco a Bologna: nuovi identikit, due i sospettati’ (Repubblica.it) o ‘Caccia la violentatore di Bologna’ (Unità.it) dovrebbero, infatti, metterci in allarme.

Sicuramente stimolano la mia insofferenza, per la velocità con cui si costruisce l’ennesimo casus che chiama in causa i maschi ‘buoni’ e le forze dell’ordine in difesa delle povere donne indifese. Tali titoli dovrebbero trovarci insofferenti se non profondamente arrabbiat* soprattutto in casi come questo, in cui le cinque ragazze aggredite dal palpeggiatore sono state assolutamente in grado di sottrarsi da sole all’aggressione, urlando, scappando, salendo sull’autobus, difendendosi.

Dovrebbero infastidirci moltissimo perché non tengono conto del fatto che non si è trattato di nulla di inconsueto nelle nostre vite, tanto da parlare di un caso seriale di ‘violenza sessuale’. Cose come queste accadono tutti i giorni (altro che serialità) dentro le mura domestiche, nei posti di lavoro, sull’autobus, nei locali da ballo, a scuola e nessuno si permetterebbe di dire che il proprio figlio, fratello, cugino o padre è un ‘violentatore seriale’ ma solo un po’ viscido. Questo non significa che ciò che ha prodotto il palpeggiatore seriale non sia da rubricare come ‘violenza di genere’, al contrario: d’altra parte, bisogna chiamare le cose con il proprio nome.

Moderiamo le parole e descriviamo fenomeni diversi con nomi diversi, altrimenti rischiamo di confondere le cose facendo sì che altre forme di violenza, molto più pesanti e continuative siano messe al pari di eventi come questi. Rischiamo di innescare una nuova versione dell’attenti al lupo: siccome gli episodi di violenza sessuale, psicologica, gli omicidi che vedono donne, persone gay e lesbiche, transessuali e transgender le proprie vittime non si contano più nelle case, nelle scuole, nelle stazioni di polizia, nelle carceri e nelle strade, urlare al ‘violentatore seriale’ straniero catalizza l’odio verso il maschio cattivo che in realtà, sinora è (ancora) solo un ‘palpeggiatore’. E ci si dimentica della violenza quotidiana. Il palpeggiatore, finché non ha commesso i reati a cui ci si riferisce con la parola ‘mostro’, non può essere definito tale. Non si può condannare l’intezione.

Per quello dico che forse l’arma migliore è quella dell’(intelligente) ilarità. La fan-page FB è esilarante proprio perché i fatti accaduti non sono drammatici – se lo fossero stati non potrebbe essere legittima la suddetta ilarità – e perché il ‘perpetratore del palpeggio’ è un bianco, ragazzo ben vestito, come ve ne sono tanti ovunque (milioni nelle discoteche italiane, inglesi, americane, europee, australiane in cui sono stata [sbatacchiata e palpeggiata]).

Sicuramente fa paura il fatto di essere seguite mentre si scende dall’autobus e si cammina in strada, ma, come dicevo, le ragazze sono state molto in gamba e se la sono risolta da sole. Sono andate incolumi alla polizia, innescando la critica ironica che nasce dall’idea che le ultime a sporgere denuncia siano state un tantino vittima della psicosi del ‘sbatti il mostro in prima pagina’.

palpeggiatore bologna

Ciò non toglie che il loro denunciare abbia avuto un effetto importantissimo, passato inosservato ai più e ai detrattori della pagina FB: si sono spinte, nel formulare l’identikit insieme agli ufficiali di polizia, a dire che il ragazzo era anche di bella presenza. Cioè hanno detto che, nonostante fosse di bella presenza, il diritto a dire no e che questo no sia rispettato vale sempre e comunque. Infatti non tutte le donne hanno gli stessi gusti, non tutte le donne amano gli approcci violenti e persecutori, e non tutte le donne desiderano gli uomini.

Ciò che trovo intelligente nella fan-page FB è la presa in giro della pretesa ubiquità del mostro, proprio quando il mostro è veramente ubiquo senza che sia riconosciuto come tale: non è ‘come’ Zelig. È Zelig. Potrebbe essere il maschio qualunque dopo molti bicchieri, solo che in questo caso, il lato della storia che desta l’ironia è che non è un uomo brutto o anziano (come se tutti gli uomini violenti o aggressivi fossero stati rifiutati perché brutti) ma è di bella presenza, giovane, bianco (bianchissimo) e pure esotico, e probabilmente benestante.

Tendenzialmente non avrebbe alcuna ragione di seguire e palpeggiare donne sconosciute, secondo quella che è la vulgata comune che si chiede ancora sgomenta come mai uomini piacenti come il marito di Melania Rea, o come altri possano aver contribuito alla morte di mogli, amanti e amiche. Potrebbe anche essere il principe azzurro – dal fascino di David Bowie, come appare nella pagina FB – alla ricerca (alla luce del sole, vista l’ora delle aggressioni) della sua principessa tutta rosa. L’ambiguità della sua figura e la lettura netta, senza ombre, ed esagerata dei giornali e dei media locali e nazionali hanno per fortuna dato vita all’ironia di quella pagina: se non fosse stato così, avremmo perso l’ennesima occasione di trasgredire i codici del discorso pubblico che ci vuole inerti consumatori di favole disastrose, inconsapevoli della differenza tra palpeggio e stupro, tra spaccio d’erba e traffico di eroina, tra calcio nel sedere e spedizione omicida. In questo caso, a confondere, è il luogo – non la discoteca, dove si può trovare un sostegno da parte di avventori o staff del locale – ma la strada, magari isolata, a – giustamente – farci temere uno scenario tremendo – quello dello stupro – che però, per fortuna, non è avvenuto.

Ciò che mi è sembrato importante è che gli ideatori della fan-page FB non avrebbero mai fatto una cosa tale se, come abbiamo detto, le storie delle cinque ragazze avessero avuto contorni peggiori, e se, cosa non di poco conto, il palpeggiatore non fosse stato bianco. Se il palpeggiatore fosse stato nero non sarebbe servito a niente fare una pagina FB per ironizzare, perché si sarebbe affiancata a molte altre che ne avrebbero offuscato la presenza, quelle del tipo ‘occhio per occhio, dente per dente’ o ‘fuori tutti gli stupratori marocchini dall’Italia’ ecc ecc che abbiamo visto nel caso di Yara Gambirasio. Ricordando ancora una volta che a Brembate di Sopra Yara è stata rapita e uccisa da persone bianche, a Bologna alcune ragazze e ragazzine sono state palpeggiate e poi sono tornate a casa sane e salve.

La differenza tra esperienza vissuta (più o meno traumatica) e discorso pubblico è qualche cosa che, a mio avviso, bisogna sempre tenere a mente quando si tenta di decostruirne la narrazione. Quando, come nel caso della pagina FB in questione, si prende in giro ‘il palpeggiatore di Bologna’ non si sta decostruendo, infatti, l’esperienza di una persona o di un gruppo di persone, ma solo ed esclusivamente il discorso pubblico – quel discorso pubblico che seleziona, amplifica, ammorbidisce, rafforza alcuni e non altri aspetti della narrazione per dare più o meno enfasi a paure e ossessioni collettive.

Se quando hanno aggredito me a Bologna, invece di far cadere la mia denuncia (inutile) nel nulla, un anno e mezzo fa ci fosse stato un buon tam tam ironico che prendeva in giro gli aggressori improvvisati come il mio (che aveva in mano un coltellino finto e doveva tirar su il pranzo), sarebbe stato più facile parlare seriamente di una banda di rapinatori di strada che da mesi terrorizzava la mia zona. Perché? Perché nell’attenti al lupo mediatico che vede tutti gli immigrati ‘potenziali criminali’, l’ironia avrebbe permesso di distinguere un banale (e non riuscito) furto a mano armata (sic) che pure poteva finire male, dagli assalti con furto e pestaggio effettivamente accaduti e perpetrati dalla banda a danno di donne, uomini, anziani e ragazzini a qualsiasi ora del giorno e della notte.

Il discorso pubblico, infatti, fa spesso dell’erba un fascio, e alla fine fa sì che vediamo il dito e perdiamo di vista la luna. E che luna.

Posted in Comunicazione, Critica femminista, Pensatoio, Satira.