“In questo mondo di cyberpoliziotti
noi vogliamo esplorare il nostro universo immaginario, i nostri desideri
e sogni di potere. Vogliamo disegnare l’avvenire a nostra immagine” Rosi Braidotti
[Foto di Tano D’amico]
Il 31 maggio l’ultima udienza del processo
per resistenza a pubblico ufficiale a Michela, arrestata il 10 aprile
scorso a Perugia mentre trascorreva una serata tra amici, è stata
rimandata al 30 giugno 2010.
Dopo un primo periodo di mobilitazione, che ha visto
prevalentemente un’attivazione sul piano personale e relazionale, noi
del Collettivo Sommosse Perugia riusciamo ad uscire soltanto adesso con
un comunicato ufficiale sull’aggressione subita, perché quanto accaduto
a Michela è da considerare la situazione più critica da noi vissuta fin
dall’inizio della nostra breve storia.
Un’azione repressiva del tutto gratuita e
sovradimensionata, una vera e propria azione dimostrativa da parte delle
forze di polizia che aspirano al governo della città di Perugia, che si
conferma territorio privilegiato di sperimentazione di politiche della
paura e del controllo.
Un’azione repressiva forte e indiscriminata,
criminalizzante gli stili di vita, che ha colpito più duramente chi da
sempre ha fatto sua l’opposizione al securitarismo e alle retoriche dei
divieti, delle restrizioni, delle recinzioni .
Dal 10 aprile fino ad oggi si è andata
progressivamente delineando sui giornali come nell’aula di tribunale una
ricostruzione della vicenda che vede la stigmatizzazione dell’unica
donna arrestata come la “deviante”: colpevole di avere fatto degenerare
la situazione nel corso di un “ordinario” controllo di polizia,
responsabile del coinvolgimento degli altri due ragazzi arrestati e
infine legittimante la reazione repressiva da parte delle forze
dell’ordine.
La retorica con la quale si vuole dipingere Michela
come il pericoloso soggetto da cui è scaturito il “problema di ordine
pubblico” riprende lo stereotipo sin troppo facile da ricalcare della
donna aggressiva, ribelle e indisciplinata attraverso il quale da sempre
si criminalizza, colpevolizza e reprime la capacità reattiva e la forza
di autodeterminazione delle donne. Una forza sovversiva che si tenta in
ogni modo di restringere e contenere entro un sistema normalizzante e
repressivo “ordinario”.
In un momento di difficile gestione della città, a
causa di diffuse e capillari politiche di repressione con le quali anche
a Perugia si tenta di governare una crisi profonda e generalizzata che
d’altro canto non vede una risposta forte da parte di chi questa crisi
la subisce in misura maggiore (donne, migranti, giovani, precar*), noi
intendiamo proseguire il nostro percorso di riconquista della città, di
riconquista dei nostri corpi e dei nostri spazi, del nostro futuro.
Per questo saremo presenti alla due giorni su
sicurezza, carcere e proibizionismo che si sta organizzando a Perugia
per il 25 e 26 giugno prossimi, nella quale porteremo i nostri
contributi sulla decostruzione del concetto di SICUREZZA che per noi
significa libertà dalla violenza di genere, libertà dal controllo e
dalle recinzioni, libertà di scelta e autodeterminazione, accesso al
reddito, alla mobilità, alla cultura, alla felicità.
Noi ragazze in lotta, ragazze cattive, vogliamo
un presente in cui poter vivere e un futuro in cui poterci specchiare