http://www.youtube.com/watch?v=DUlR_3eCidE
Visti tre film. Louise Michel, storia estremista, irriverente, maleducata e non politically correct ispirata alla femminista anarchica francese e abbastanza adeguata al tempo in cui viviamo. La noir comedy racconta le vicende di alcune operaie licenziate da un giorno all’altro da una azienda la cui proprietà sembra impossibile da individuare. Su proposta di Louise decidono di assoldare un killer, Michel, per ammazzare il capo. Da lì in poi mettono in scena una immensa varietà di paradossi: cinica considerazione degli esseri umani, generi volutamente confusi per arrivare ad un queer di necessità. Louise è infatti un uomo travestito da donna per trovare lavoro e Michel è una donna strafatta di ormoni maschili e travestita da uomo per poter fare sport. Da vedere.
Uomini che odiano le donne, il primo della trilogia millenium tratto dall’omonimo romanzo. Ricalca lo stereotipo della donna silenziosa, ostile, in grado di difendersi perchè ha subito violenza da piccola. Una sopravvissuta tra le tante. Si occupa di computer, è una hacker coi controfiocchi che sta perenemente al limite della legalità a fin di bene. Se c’è qualcuno che la stupra lei non chiama la polizia ma gli infila un dildo in culo dopo averlo spogliato, legato e aver usato il suo torace come tavolozza per scrivere "sono un porco stupratore". Non ho letto il libro e non so se e quanto sia migliore del film. Nel film però trovo comunque una serie di ruoli codificati: lui che è un riflessivo, comprensivo tra tanti uomini sadici, mostri che rappresentano una rarità tra gli uomini che odiano le donne e che fanno loro male tutti i giorni in modi assai meno plateali. Nel film tutto sembra giustificare la tesi del maschio malvagio per turbe infantili. Quello che è stato educato ad eccitarsi da piccolo violentando femmine da strangolare, l’altro che riproduce la misoginia assieme ad una serie di deliri religiosi e nazisti. Tutta gente ben inserita nella società, ricconi, uomini ritenuti affidabili in una zona oscura che sembra vagare per la svezia impressa nel volto della protagonista. Lei è passionale, una specie di animale che soddisfa i suoi istinti, che non comunica sensazioni, che non elabora ma vive per schemi in un suo particolare pianeta in cui il male e il bene sono immediatamente riconoscibili. Corpo magro e senza forme. Niente seno perchè le donne così nella cinematografia non possono essere delle bonazze con un po’ di tette. Ossuta, spigolosa, riassumibile nel meraviglioso tatuaggio sulla schiena, un po’ piromane e assai problematica. Ha una memoria visiva ed è costretta a stare nel ruolo della creatura rabbiosa per ritrovare femminilità solo in associazione con soldi e una truffa dal sapore hollywoodiano. Tutto abbastanza avvincente ma niente di eccezionale.
Antichrist, di Lars Von Trier, mette assieme tutti i pensieri misogini diffusi dai grandi "pensatori" (da aristotele a schopenahuer, da nietzche ai preti domenicani autori del malleus maleficarum) e da’ voce alla paura che l’autore ha del femminile.
Lars Von Trier è un personaggio controverso. Cupo, depresso, soffre di attacchi di panico sin da piccolo, ansioso. Il mondo delle donne lo terrorizza e lui lo esorcizza attraverso i suoi film, una scena dopo l’altra, inserendo le sue protagoniste in storie claustrofobiche che è bene non vedere mai la mattina a colazione o comunque a digiuno. Von Trier bisogna vederlo dopo i pasti, possibilmente nel tardo pomeriggio per evitare di farsi prendere dalla voglia di drogarsi pesantemente o di crollare in un sonno profondo sul divano.
Superate queste umane difficoltà, consapevoli di tuffarvi in un mondo che non può che scombussolarvi e di riemergere sempre un po’ diverse da come eravate prima dell’apnea, i suoi film sono il modo più artistico e complesso di fare un viaggio all’interno della testa di un uomo che si fa delle domande e prova a darsi delle risposte.
Il mondo di Von Trier non è come quello di Almodovar, sensuale e passionale, con una visione estetica solare e profondamente emozionante. Von Trier è paura di perdere il controllo, come cadere nel vuoto, come essere intrappolate in un incubo in cui qualcuno vi insegue per farvi del male e voi non riuscite a scappare e ad urlare. Von Trier produce reazione e mentre fa bene a se stesso, credetemi, fa bene anche a noi.
Tutto di ciò che lui ha diretto val la pena di essere visto. Dall’antiautoritarismo de "Gli Idioti" all’ateismo, anticlericalismo de Le onde del destino, dalla decostruzione e demistificazione del modello di vita americano con Dogville all’eccezionale Dancer in the dark e poi all’attuale Antichrist.
Le sue protagoniste sono quasi sempre donne. Persone vive, forti, fragili, in balìa di uomini vigliacchi, paurosi, deboli o prepotenti. Sono protagoniste che quasi sempre fanno una brutta fine, come fosse necessaria la loro morte simbolica per fare emergere la bruttezza di tutto il mondo circostante. Una specie di sacrificio necessario. Le onde del destino termina con la lapidazione di una donna. Dancer in the dark finisce con una donna che è costretta ad uccidere. Dogville si conclude con uno sterminio di massa ed è la donna a ordinarlo. Ricorre frequentemente, di film in film e talvolta nella stessa opera, la definizione di ruoli estremi. La donna è santa o puttana. Vittima o criminale. La sua reazione finisce per essere appiattita ai metodi machisti. L’insieme di motivi che la portano ad una reazione sono parte di quella complessità che l’autore rinuncia a esplorare fino in fondo per arrivare al paradosso. Il male che giustifica altro male, cantilena tipicamente maschile, nei film a protagoniste femminili diventa un tratto stridente come a esprimere per le donne l’impossibilità a realizzare comportamenti differenti. Non c’è alternativa o non la vede l’autore. E il contrasto ci invita ad una riflessione perchè noi una alternativa vogliamo averla e la cerchiamo da sempre.
Antichrist parte da uno studio dei testi antichi. I testi moderni sono l’eco dei testi passati. Le parole nuove continuano a basarsi sul vecchio concetto della malvagità della donna. La sessualità femminile è sotto accusa dal Levitico al malleus maleficarum. Nel De Generatione animalium Aristotele diceva: "La femmina è un maschio mutilato". Friedrich Nietzche in Al di la del bene e del male – aforismi e interludi – diceva: "Quando una donna ha inclinazioni dotte qualcosa nella sua sessualità non è in ordine". Tertulliano in De cultu feminarum, rivolgendosi alle donne, diceva: "Sei l’ingresso e l’uscita del diavolo. Sei il primo trasgressore della legge di dio".
Il film parte dal presupposto che le donne facciano proprie le tesi sulla malvagità delle donne, sulla loro sessualità vista sempre come cosa negativa. Von Trier è intimamente convinto che le donne abbiano molta paura della propria sessualità. La paura è ovviamente stata indotta dal terrore che gli uomini mutrono verso le donne.
Nei testi passati la donna viene descritta come un essere dominato da istinti, impulsi, desideri. Nessuna razionalità e un gran legame con la natura assieme alla quale vive in sinergia e respira all’unisono nei tempi di creazione, gravidanza, parto. Sarebbe il corpo a guidare le donne e non il contrario. Le donne respirano con libertà, gli uomini si sottoporrebbero perennemente ad una disciplina ed un autocontrollo che come tutte sappiamo non deve essere così efficace dato il numero di donne morte per mano di uomini che piuttosto che controllare se stessi tenevano a controllare le loro vittime.
Il corpo delle donne tuttavia è come se sfuggisse all’uso che il genere etero maschile da sempre vuole farne, appare come incontrollabile, guidato da cicli "naturali", le mestruazioni, l’ovulazione, la fecondità, la menopausa, che nella mente dei misogini dovrebbero restare tali. Per fortuna esistono contraccettivi e interruzione di gravidanza a dimostrare che gli uomini non controllano alcunchè di se stessi e che pretendono che la donna subisca tutte le conseguenze della "norma" in-naturale.
La protagonista di Antichrist lavora su una tesi elaborata attraverso testi che cercano la prova della malvagità della donna. Come si può vedere dal prologo rappresentato nel video tutto inizia da una fatalità. Un uomo e una donna fanno sesso e nel frattempo il loro bambino scende dalla culla, si arrampica su una finestra e si lancia nel vuoto.
Non serve dire che questo film è stato accolto malissimo in italia. Strali, fulmini e saette dalla chiesa cattolica, maledizioni dai puritani e sarcasmo dai maschilisti. La maggior parte di questa gente del film non ha capito niente e si è soffermata alla visione del pene dell’attore protagonista in un film in cui la vagina non si vede mai se non come intuitivo obiettivo terminale di penetrazione. L’altra cosa che ha terrorizzato è la rappresentazione del femminile sessuato, come fosse satana in persona.
Dopo la morte del figlio la donna crolla e Von Trier la fa diventare un tramite per mostrare attraverso le immagini (eccezionali) cos’è una depressione, cosa sono gli attacchi di panico, come si realizzano le terapie, viaggi sciamanici, visualizzazioni o altro.
Fondamentale sapere che Lars Von Trier proietta la sua fragilità in un personaggio femminile e colloca il maschile tra i soggetti razionali la cui perdita di controllo sarà il tratto progressivo che scandirà il film.
La prima scena è ricca di un simbolismo che in un modo diverso ho provato a esprimere in una storia che ho intitolato "Legittima difesa!". Una madre è innanzitutto una donna che ha egoismi, passioni come qualunque essere umano. Alla madre tuttavia non è consentito anteporre il proprio piacere alle esigenze del figlio e tra sensi di colpa ed egoismi non svelati il gioco spesso si riduce ad una battaglia tra madre e figlio semplicemente per restare in vita. Come se la vita del figlio rappresentasse la morte della madre. Come se la madre fosse obbligata a difendersi dal figlio che altrimenti le succhierebbe tutto, fino all’ultima goccia di esistenza.
Il bambino che muore mentre lei ha un orgasmo, la coincidenza tra questi due momenti è significativa di un capovolgimento delle mistificazioni di cui le donne sono sempre state oggetto. Le madri non rinascono quando i figli vengono al mondo. Sono i figli a nascere. Le madri muoiono come donne e restano intrappolate in un ruolo dal quale difficilmente potranno uscire. Di conseguenza – ragionando sempre per estremi simbolici – la morte di un figlio rappresenterebbe la rinascita della madre in quanto donna.
Il seguito del film rappresenta la presunzione di un uomo – un terapeuta – che contravviene a qualunque principio deontologico per portare avanti la terapia della moglie. E’ un uomo come tanti che trae forza dall’avere sotto il suo controllo una moglie fragile nel momento in cui lei si affida a lui. Diversamente non gli interessa avere a che fare con una donna autonoma e forte.
E’ un uomo che riesce a vedere la moglie solo in due modi: vittima, dunque santa da accudire e salvare, o carnefice da uccidere. Nella sua sovrumana competenza professionale non riesce a cogliere la contraddizione nelle azioni della moglie. Non la capisce mentre lei usa il sesso come anestetico o mentre lei interpreta i sentimenti conflittuali che le appartengono con le stesse parole misogine che ha studiato.
Lui passa dalla totale deresponsabilizzazione per la morte di suo figlio alla ricerca di un’unica responsabilità insita nella malvagità della moglie. Ed è nella espressione di questa malvagità che Von Trier è geniale. Riesce infatti a ricostruire momenti che una madre può realmente vivere in maniera conscia o inconscia.
Come impedire ad un figlio di andare in giro con il rischio di farsi male, di scappare mentre la madre cerca di studiare e finire al sua tesi? Mettendogli le scarpe al contrario, ovviamente.
E non è questa la rappresentazione di una cattiveria di necessità che si svela in mille altre piccole cose? Da quelle che sigillano i figli dentro i boxer, a quelle che li chiudono in uno stanzino per non sentirli piangere, a quelle che li imbottiscono di tranquillanti, camomilla, cucchiai di sciroppo per farli dormire, a quelle che li picchiano e che incidentalmente li picchiano troppo forte e finiscono per diventare centinaia di migliaia di signore franzoni alle quali nessuno riconosce il diritto a poter ammettere il proprio umano egoismo. Relegate alla cura dei figli mentre gli uomini si occupano d’altro giustificati dall’alibi del vecchio cacciatore che deve portare la selvaggina in casa lasciando alla moglie tutte le incombenze che derivano da quel ruolo. Tante donne sole che altri hanno deciso dover essere pienamente soddisfatte di quella vita.
Come fare ad avere un orgasmo se tuo figlio piange continuamente, se non ti lascia un minuto per te, se non concepisce il distacco da una madre della quale il figlio si impadronisce fin dalla nascita in un rapporto morboso che la pedagogia cattolica e conservatrice vuole preservare per non concedere un distacco mai, neppure in età adultà giacchè le mogli finiscono per essere sostitute delle madri di uomini che non sono mai cresciuti? Ignorandoli o peggio facendo loro del male.
Non accade sempre per fortuna, ma può accadere e gli uomini che dicono di voler fare i padri invece che assumersi la loro responsabilità, condividere i compiti di cura e comprendere fino in fondo i conflitti che vive la loro compagna riescono soltanto a giudicarla come "cattiva madre", "donna malvagia", "infanticida".
Da questo film si trae una grande lezione che gli uomini dovrebbero ascoltare: un figlio è una responsabilità sociale, collettiva e innanzitutto dell’altro genitore. Se un figlio muore è responsabilità di tutti. Se una madre non ce la fa è responsabilità di tutti.
La chiusa del film la lascio a voi sebbene sia non fondamentale alla comprensione di tutto. Non c’è un lieto fine ma tra una scena splatter e una allucinazione alla shining c’è la rivolta delle donne, tutte le donne, contro l’ottusa presunzione, la superficialità, la prevedibilità e la banalità di tanti uomini.
Chapeau per Lars Von Trier.
A proposito del ruolo femminile, vi consiglio di leggere il libro “Madame Bovary” di Flaubert oppure di guardare il film omonimo…
Un bacio a tutte/i!
Per quanto concerne “Uomini che odiano le donne” sto finendo di leggere tutta la trilogia ed ho visto entrambi i film (Uomini che odiano le donne e La ragazza che giocava con il fuoco).
Penso, al contrario di quanto è stato scritto, che si tratti di una delle opere più femministe che siano state mai prodotte i questi ultimi anni (anche se scritta da un uomo).
Sia nei libri che nei film c’è una critica, non molto velata, al “patriarcato”: i libri non risparmiano critiche dure al mondo dell’ alta finanza (completamente dominato dagli uomini ed apertamente misogino), dell’ imprenditoria, di partiti conservatori, etc.
Il giallo parte dalla scoperta di uno scandalo finanziario che trascinerà, subito dopo, l’ intero sistema amministrativo e politico della Svezia. Obbiettivo della trilogia era proprio DIMOSTRARE come, anche in nazioni “progressiste” e progredite” come la Svezia, non si eviti di “risparmiare” il sacificio-femminile sull’ altare del potere finanziario-politico el moderno-patriarcato-occidentale.
Infatti si scoprirà, al termine di ogni tomo, che la “misoginia” fa parte di un’ “industria”, un sistema di vita, un ordine di valori che richiede, per ricrearsi, il sacrificio totale di una parte dell’ umanità.
Lisbet Salander, in realtà, è l’ emblema della vera donna libera ed emancipata (e per questo molto “scomoda” ed “irritante”): completamente autonoma ed autarchica (non ha mai bisogno di nessuno), che non chiede mai di essere difesa ma si difende benissimo da sola, che se ne infischia altamente di ciò che gli altri e la società affemano di lei e che vive la propria sessualità liberamente e senza vincoli sentimentali (sia con uomini che con donne).
Insomma: il genere di donna emancipata che incarna l’ incubo ed il terrore di mezzo pianeta (anche di alcune donne).
Una ragazza apparentemente cupa ed algida ma, in raltà, non lo è affatto: infatti dona la sua esistenza esclusivamente alla ricerca di ideali e valori superiori: la giustizia!
Io ho letto “Uomini che odiano le donne”, e consiglio vivamente il libro (tutta la trilogia).
Quanto alla protagonista, a parer mio non è tanto vero che non ha femminilità, anche se al di fuori dei canoni classici.
Quello che mi piace è la sua filosofia del cercare giustizia da sè, il non accettare di calarsi o farsi calare nel ruolo della vittima.
E’ giusto appellarsi ad ogni mezzo legalmente disponibile per non subire violenza, ma è anche vero che ognuno deve pretendere il rispetto di sè in prima persona, altrimenti nessuno lo potrà mai dare. In particolare la scena del dildo nel didietro al suo stupratore (che a me è piaciuta assai) l’ho vista molto come metafora, cioè piuttosto che non essere vittima si trasforma lei stessa in carnefice del proprio carnefice.
Tesi discutibile? per molti probabilmente sì, e certo non accettabile dalla morale cattolica.
Ma, come disse qualcuno “nessuno ti può umiliare se tu non glielo permetti”.
Questo non è ‘far west’, ma la presa di coscienza che il rispetto non deve essere ‘concesso’ dagli altri, ma preteso per sè stessi, sempre.
Forse è utopistico, ma mi piacerebbe vedere qualche volta ‘rovesciati’ i ruoli di vittima/carnefice.
Parlo da uomo e probabilmente per me è facile dire queste cose, ma tanto per fare un esempio, mi fa una pena infinita vedere le vittime di stupri intervistate di spalle, quasi fossero loro a doversi vergognare della violenza subita.
Sarebbe bello vedere una di queste andare in persona a testa alta a farsi intervistare e a snocciolare nome e cognome dei suoi stupratori, senza paura, andare ai talk show e costringere semmai questi ultimi ad emigrare dal loro paese.
Sempre nel libro mi è piaciuta la figura del giornalista, un uomo che ama le donne senza usarle, che vive relazioni al di fuori dei canoni socialmente riconosciuti ma non per questo superficiali, che è a suo modo ‘donnaiolo’ ma senza doversi per forza calare nei panni del macho.
Purtroppo, se la distanza tra l’italia e la Svezia è solo di 2000 kilometri vi è un gap di un’eternità a livello culturale, che non verrà colmata nemeno in dieci vite.
Però, se come me avete avuto la fortuna di aver vissuto un po’ di tempo all’estero, garantisco che vedere coi propri occhi un’altra realtà aiuta a formare il proprio metro di giudizio
Complimenti per questo articolo 🙂
(Mi ha fatto riflettere su come mi comporto con mia madre… grazie.)