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Beatriz Preciado: Chi protegge il bambino queer?

Ci accingevamo a tradurre questo articolo di Beatriz Preciado Qui défend l’enfant queer? apparso sul giornale francese Libération del 14 gennaio 2013, quando ci siamo accort* che una traduzione in italiano è già stata pubblicata.

Quindi la riproponiamo citando la fonte e sperando che faccia piacere alla traduttrice e al sito da cui la riportiamo. Ci auguriamo di non violare alcun copyright, anche se auspichiamo che mai più vengano posti copyright su quello che produciamo.

Specifichiamo queste cose perché ahimè ci siamo accorte che si diffonde sempre più nel web intorno a noi la pessima abitudine a non citare le fonti, dirette o indirette, da cui spesso si attinge (o si saccheggia) per pubblicare materiali, testi, traduzioni o riflessioni e elaborazioni politiche. Ne approfitto quindi per rinnovare l’invito ad un uso rispettoso dei saperi che mettiamo in circolo e che servano a fare rete senza censure.

Buona lettura!

Chi protegge il bambino queer?

di Beatriz Preciado

traduzione di Sara Garbagnoli, dottoranda in Sociologia alla Sorbona di Parigi.

«Gli integralisti cattolici, ebrei o musulmani, i sostenitori di Jean-François Copé senza più vergogna di esserlo, gli psicanalisti edipici, i socialisti naturalisti alla Jospin, i sinistrorsi eteronormativi e la mandria sempre più cospicua dei retrogradi si sono trovati d’accordo domenica scorsa per fare del «diritto del bambino ad avere un padre ed una madre» l’argomento cardine per giustificare la limitazione dei diritti delle persone omosessuali. È stato il loro giorno di uscita, un gigantesco outing nazionale degli eterocrati nazionali. Tutti costoro difendono un’ideologia naturalista e religiosa di cui conosciamo bene i fondamenti. La loro egemonia eterosessuale si è sempre retta sul diritto di opprimere le minoranze di sessualità e di genere. Siamo abituati a vederli brandire un’ascia. Il problema sta nel fatto che stavolta forzano i bambini a portare questa loro ascia patriarcale.

Il bambino che Frigide Barjot, madrina e portaparola della manifestazione omofoba del 13 gennaio, pretende di proteggere non esiste. I difensori dell’infanzia e della famiglia si richiamano alla figura politica di un bambino che loro stessi costruiscono, un bambino presupposto eterosessuale e dal genere conforme alla norma. Un bambino privato di qualunque forza di resistenza, di qualunque possibilità di fare un uso libero e collettivo del proprio corpo, dei suoi organi, dei suoi fluidi sessuali. Questa infanzia che pretendono proteggere richiama, piuttosto, terrore, oppressione e morte.

Frigide Barjot approfitta del fatto che per un bambino sia impossibile ribellarsi politicamente al discorso degli adulti: il bambino è un corpo al quale non viene riconosciuto il diritto di gestirsi, disciplinarsi.

Permettetemi di inventare, retrospettivamente, una scena enunciativa, di rendere possibile un diritto di risposta, in nome del bambino eterodisciplinato che sono stata, di difendere una diversa forma di gestione, di comprensione dei bambini che non sono come gli altri.

Sono stata il bambino che Frigide Barjot si vanta di proteggere. Oggi insorgo a nome dei bambini che questi discorsi fallaci intendono proteggere. Chi difende i diritti del bambino che è differente? I diritti del bambino che ama indossare il colore rosa? Della bambina che sogna di sposarsi con la sua migliore amica? I diritti del bambin* queer, frocio, lesbica, transessuale, transgenere? Chi difende i diritti del bambino di cambiare genere se lo desidera? I diritti del bambino alla libera autodeterminazione del genere e della sessualità? Chi difende i diritti del bambino a crescere in un mondo senza violenza sessuale, senza violenza di genere?

L’onnipresente discorso di Frigide Barjot e dei protettori dei «diritti del bambino ad avere un padre ed una madre» mi fanno pensare al modo di esprimersi del nazional-cattolicesimo della mia infanzia. Sono nat* nella Spagna franchista dove sono cresciut* in una famiglia eterosessuale, cattolica di destra. Una famiglia esemplare, che i destrorsi di oggi potrebbero erigere ad emblema della virtù morale. Ho avuto un padre ed ho avuto una madre. Hanno scrupolosamente adempiuto alla loro funzione di garanti domestici dell’ordine eterosessuale.

Nei discorsi che si sentono oggi in Francia contro il matrimonio e la procreazione medicalmente assistita per tutt* riconosco le idee e gli argomenti di mio padre. Nell’intimità del nucleo familiare, mio padre esprimeva un sillogismo che invocava la natura e la legge morale per giustificare l’esclusione, la violenza e addirittura la messa a morte di omosessuali, travestiti, transessuali. Cominciava così: «un uomo deve essere un uomo e una donna deve essere una donna, come Dio ha voluto », continuava con «ciò che è naturale è l’unione di un uomo e di una donna, per questo gli omosessuali sono sterili » fino all’implacabile chiusa: «se mio figlio o mia figlia fossero omosessuali, preferirei ucciderli ». La figlia ero io.

Il-bambino-da-proteggere di Frigide Barjot è il prodotto di un dispositivo pedagogico che fa paura, il sito dove proteggere le proprie proiezioni fantasmagoriche, l’alibi che permette all’adulto di naturalizzare la norma. Quella che Foucault chiamava «biopolitica» è vivipara e pedofila. La riproduzione della nazione ne dipende. Il bambino è un artefatto biopolitico che garantisce la normalizzazione dell’adulto. La polizia del genere sorveglia la culla dei nascituri per trasformarli in bambini eterosessuali. La norma fa le ronde attorno ai corpi più giovani. Se non sei eterosessuale, ti aspetta la morte. La polizia del genere esige qualità differenti dal bambino e dalla bambina. Lavora i corpi fino a far pensare gli organi sessuali come meramente complementari. Prepara la riproduzione dell’eterosessualità, dalla scuola al Parlamento, la industrializza. Il bambino che Frigide Barjot vuole proteggere è la creatura prodotta da una macchina despotica: un destrorso in miniatura che fa campagna per la morte in nome della protezione della vita.

Mi ricordo del giorno in cui a scuola dalle suore, erano le Suore Servitrici Riparatrici del Sacro Cuore di Gesù, Madre Pilar ci ha chiesto di disegnare la nostra futura famiglia. Avevo 7 anni. Mi sono disegnata sposata con la mia migliore amica Marta, tre bambini e molti cani e gatti. Già immaginavo un’utopia sessuale nella quale esistesse il matrimonio per tutti, l’adozione, la procreazione medicalmente assistita … Pochi giorni dopo la scuola ha spedito una lettera a casa mia, consigliando ai miei genitori di portarmi da uno psichiatra per poter risolvere al più presto un problema di identificazione sessuale. Numerose rappresaglie hanno seguito questo fatto. Il disprezzo e il rifiuto di mio padre, la vergogna e il senso di colpa di mia madre. A scuola si diffuse la voce che ero lesbica. Cortei di destrorsi alla Copé e di frigidobargiottiani si tenevano quotidianamente davanti alla mia classe. «Sporca lesbica, dicevano, ti violenteremo così impari a scopare come Dio vuole.» Avevo un padre ed una madre, ma sono stati incapaci di proteggermi dalla repressione, dall’esclusione, dalla violenza.

Ciò che mio padre e mia madre proteggevano non erano i miei diritti di bambino, ma le norme sessuali e di genere che erano state inculcate loro nel dolore, attraverso un sistema educativo e sociale che puniva qualunque forma di dissidenza attraverso la minaccia, l’intimidazione, il castigo e la morte. Avevo un padre ed una madre, ma nessuno dei due ha potuto proteggere il mio diritto alla libera autodeterminazione di genere e di sessualità.

Ho fuggito questo padre e questa madre che Frigide Barjot esige che io abbia, ne dipendeva la mia sopravvivenza. Così, benché io abbia avuto un padre ed una madre, l’ideologia della differenza sessuale e dell’eterosessualità normativa me li hanno confiscati. Mio padre fu ridotto al ruolo di rappresentante repressivo della legge del genere. Mia madre fu destituita da tutto ciò che avrebbe potuto rappresentare al di là della sua funzione di utero, di riproduttrice della norma sessuale. L’ideologia che sostiene ora Frigide Barjot (e che allora si articolava con il franchismo nazionalcattolico) ha spogliato il bambino che ero dal diritto di avere un padre e una madre che avrebbero potuto amarmi e occuparsi amorevolmente di me.

È stato necessario molto tempo, sono state necessarie molte lotte e molte battaglie per andare oltre una tale violenza. Quando il governo socialista di Zapatero nel 2005 propose la legge che riconosceva il matrimonio omosessuale in Spagna, i miei genitori, sempre cattolici praticanti di destra, hanno manifestato in favore di questa legge. Hanno votato socialista per la prima volta nella loro vita. Non hanno manifestato solo per difendere i miei diritti, ma anche per rivendicare il loro diritto di essere padre e madre di un bambino non-eterosessuale. Per il diritto ad essere genitori di tutti i bambini, indipendentemente dal loro genere, dal loro sesso, dal loro orientamento sessuale. Mia madre mi ha raccontato che aveva dovuto convincere mio padre, più reticente. Mi ha detto «anche noi abbiamo il diritto di essere i tuoi genitori ».

I manifestanti del 13 gennaio non hanno difeso il diritto dei bambini. Difendono il potere di educare i bambini secondo la norma sessuale e di genere, di educarli come presunti eterosessuali. Costoro sfilano nelle strade per mantenere il diritto di discriminare, di punire, di correggere qualunque forma di dissidenza o di deviazione, ma anche per ricordare ai genitori di bambini non-eterosessuali che il loro dovere è quello di vergognarsene, di rifiutarli, di correggerli. Noi difendiamo invece il diritto dei bambini a non essere educati come forza-lavoro e forza-riproduzione dell’ordine sessuale eteronormativo. Noi difendiamo il diritto dei bambini di non essere considerati come futuri produttori di sperma, come futuri uteri. Noi difendiamo il diritto dei bambini ad essere delle soggettività politiche irriducibili ad una identità di genere, di sesso, di razza.»

Posted in Affetti liberi, fasintranslation, Scritti critici.

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3 Responses

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  1. lafra says

    ciao sara! ma grazie a te della traduzione e di aver permesso di circolare un po di parole di preciado che fanno sempre bene. si vedeva la volontà di farla arrivare il prima possibile 😉 io ho un po rimurginato sulla differenza tra proteggere e difendere, l’uso del secondo termine mi sembrava solo esprimesse una volontà di lotta più forte e avesse una valenza maggiormente rivendicativa. proteggere crea l’immagine del tutore e del protetto, che è la formula che spesso si usa coi bambini (e, purtroppo, anche con le donne quando si parla di violenza ad esempio). però qui si parla di una lotta in difesa dei bambini ma anche dei loro diritti e del loro futuro a cui cmq partecipano perché è tutta giocata sulla loro pelle. un abbraccio

  2. sara says

    grazie per la condivisione! scusate imprecisioni ed errori: ho tradotto al volo e stanca dopo il lavoro per poter condividere al più presto con alcun* amic* questo straordinario intervento politico e teorico. poi la trad ha cominciato a circolare. spero di non aver tolto troppo alla forza di bp.

  3. lafra says

    In realtà nel titolo al posto di “proteggere” io avrei messo “difendere” comunque.