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Donne uccise per mano maschile: analisi, contesti e soluzioni preventive!

Su Bollettino di Guerra Mara conta #99 vittime inclusi uomini e bambini vittime collaterali di delitti comunque mirati a offendere ed eliminare una donna.

Tra questi delitti quelli che hanno come oggetto le donne vengono comunemente classificati in quanto femminicidi, ovvero delitti che avrebbero come obiettivo donne che muoiono in quanto donne.

L’analisi dei delitti conteggiati però, di comune accordo a Bollettino di Guerra, va riclassificata perché se per femminicidio intendiamo quei delitti in cui le donne muoiono per istinto di proprietà maschile, ovverosia per quelle reazioni comunemente qualificate dai media inconsapevoli come “delitti passionali”, allora bisogna fare una cernita e capire bene di cosa parliamo.

A noi interessa innanzitutto capire, nell’ottica della prevenzione, di che morte muoiono queste donne, e successivamente anche di che morte muoiono gli uomini, spesso suicidi, per tentare di prevenire tutto ciò. Perché personalmente non credo che una politica repressiva sia utile ad impedire questi delitti e perché vanno ricontestualizzati per comprendere appieno la loro natura ed eventualmente adoperare i giusti dispositivi che potranno essere utili ad impedirli.

Di recente è stato presentato un Ddl a cura dell’On.le Serafini del Pd che propone tra le altre cose una pena con l’aggravante del femminicidio. Quasi nulla sulla prevenzione. Niente sull’analisi dei contesti sociali. Nulla su soluzioni alternative che non siano il carcere che come sappiamo nel caso in cui, e avviene spessissimo, colui che uccide poi si suicida, è non solo insufficiente ma si presenta di per se’ come una soluzione ridicola. Un disegno di legge che imita in malo modo la legge spagnola che in ogni caso non ha determinato nei fatti alcun cambiamento rispetto al numero delle vittime rimaste pressocché invariate come si può vedere dai dati leggibili qui, qui, qui, la qual cosa ha determinato critiche anche presso le femministe.

A fronte di tutto ciò sarebbe il caso di capire come potrebbe fungere da deterrente ai femminicidi una aggravante che andrebbe a pesare sui cadaveri di uomini che hanno già scelto di che pena morire. Per non parlare del fatto che, come dicevo già nella mia precedente analisi, una aggravante sui femminicidi va a sancire in modo evidente il fatto che uccidere una donna sarebbe più grave che uccidere qualunque altra persona.

Ma torniamo all’analisi dei delitti. La dividerò in più post perché vorrei tentare di ragionare categoria per categoria su quali possono essere, appunto, le possibili soluzioni preventive a partire da quelle che possono essere le cause.

I delitti conteggiati quest’anno possono dividersi in delitti per rifiuto dell’abbandono/peristintoproprietario, plausibilmente definibili in femminicidi, quelli per questioni economiche, povertà, disoccupazione, quelli realizzati per mano di uomini anziani che uccidono la moglie anziana e poi si suicidano, quelli dei clienti che uccidono le prostitute a seguito di aggressione/rapina, poi ci sono i figli che uccidono le madri e quest’anno ce ne sono una discreta quantità.

Comincio da questi aiutandomi con la rassegna stampa:

Sardegna: lui 33 anni, lei 59. Lui andava curato in una struttura specialistica, dicono. Disoccupato. Tenta il suicidio.

Lanciano: lui 69 anni, lei 93. Lui pare soffrisse di problemi psichici. Ovviamente disoccupato e privo di fonti di sussistenza.

Brindisi: lui 38 anni. Lei 77. Anche qui si parla di disturbi psichici. Lui è disoccupato.

Pordenone: lui 42 anni, lei 70. Problemi psichici e disoccupazione.

Tutto ciò avviene a fronte di situazioni in cui anche le donne anziane si trovano in grandi difficoltà economiche. Come si può vedere dal fatto che quest’anno ci sono stati alcuni suicidi, di numero assai inferiore rispetto a quelli che hanno riguardato gli uomini, per motivi economici. Uno addirittura compiuto da una anziana signora perché le era stata diminuita la pensione.

Ma continuiamo:

A Bologna: lui ha 57 anni e lei 88. Lei è molto malata. Lui poi si suicida. Avevano problemi economici.

Torino: lui 32 anni e lei 61. Scrivono che lei insisteva affinché lui trovasse un lavoro. Dunque non ne aveva uno.

Catania: lui 38 anni, e dei genitori non si specifica l’età. Uccide madre e padre e si suicida. Anche qui possiamo immaginare che se quest’uomo viveva ancora con i genitori un motivo ci doveva pur essere.

Genova: lui 27 anni, i genitori rispettivamente 62 lei e 65 il marito. Uccisi dal figlio ma non se ne legge la ragione.

Castello D’Annone: lui 49 anni e lei 79. La madre era malata. Lui era depresso. Uccide la madre e si suicida.

Lucca: lui 41 anni e lei 80. Si scrive che lei avesse dei problemi di salute e che con il figlio litigassero spesso. Lui l’accoltella.

Gela: lui 38 anni e lei 73. Disoccupato. Covava rancore, scrivono, e litigava con la donna. L’accoltella e le devasta il volto a colpi di spilloni. Poi tenta di uccidere anche il carabiniere.

Ecco, questo genere di delitti, che sottratti alla quota totale ad oggi fa -13, finiscono generalmente con il proscioglimento dell’assassino per infermità mentale che vuol dire che l’omicida finisce in un ospedale psichiatrico giudiziario per una decina d’anni. Ovvero si stabilisce di curarlo dopo l’assassinio in modalità obbligata.

A persone così secondo voi serve una pena aggravata o comunque funge da deterrente una norma repressiva? Se l’obiettivo è tenere in vita queste donne, questi genitori, e possibilmente salvare la vita, o renderla migliore, anche ai loro assassini, prima che essi compiano qualunque delitto, non si dovrebbe agire nell’ottica della prevenzione?

Come si previene un delitto del genere? Non è un delitto contro la donna in quanto donna. Sono uomini più o meno approssimativamente tutti della stessa età che capitano in casa con la madre o comunque con i genitori adulti o anziani, talvolta bisognosi di assistenza, per motivi prevalentemente economici e con conseguenti o anche precedenti problemi in ordine a impossibilità ad affrontare i disagi.

Possiamo girarci attorno quanto vogliamo ma qui io vedo due possibili soluzioni: lavoro, recupero di questi soggetti la cui vita non deve essere un granché, possibilità di ricostruzione dell’esistenza, distanza dai nuclei familiari, autonomia, perché le dipendenze creano mostri.

Un figlio adulto costretto a restare a casa con i genitori e con l’impossibilità di realizzare una qualunque prospettiva ha un gravissimo problema. Non ha alcuna giustificazione ma il conflitto agito in quella casa dovrebbe essere a carico di istituzioni che ne comprendano la ragione.

So bene che più spesso accade che sia una donna a prendersi cura dei genitori anziani e malati. Esistono anche donne obbligate a tornare a casa dai genitori per via della disoccupazione, tante situazioni di depressione, e non sappiamo quante e quali situazioni di violenza sono comprese in quelle vite, dove di delitti forse ne avvengono meno ma non è escluso che ne avvengano.

Quello che resta evidente è che nei provvedimenti proposti o nelle soluzioni tanto sbandierate non si tiene conto del fatto che il problema della dipendenza economica nelle famiglie incide moltissimo e che la salute mentale di questi uomini dovrà essere affrontata in termini di responsabilità sociale.

Se invece che farmaci si desse a questi uomini, disoccupati, tendenti alla depressione, la possibilità di trovare strutture aperte in cui poter lavorare, studiare, riqualificarsi, recuperare se stessi e reinventarsi? Se si investisse in strutture preventive invece che in strutture punitive? Se vi fossero più luoghi di recupero della psiche e della vita umana invece che carceri?

Utopia? Probabilmente si. Ma il punto è che se vogliamo salvare la vita di queste donne, che io vedo morire da troppo tempo senza che nulla cambi, e con loro muoiono gli uomini, che dopo si suicidano, o muoiono i figli, o comunque si distruggono intere famiglie che restano lì concentrate a immaginare che tutto possa risolversi con la “certezza della pena”, una pena che interviene dopo la morte di qualcuno e non prima, se vogliamo fare qualcosa prima allora bisogna capire cosa prima avviene.

Bisogna togliere i coltelli dalle mani di chi potrebbe usarli, impegnare le mani di chi potrebbe usarle per strangolare qualcuna, togliere via i lacci a chi vorrà impiccarsi e immaginare un mondo futuro in cui invece che salvare una sola vita, quella della vittima, bisognerà salvare anche quella del carnefice. Perché se non salvi il carnefice, posto che quel carnefice sia inequivocabilmente tale e che non sia il prodotto di una serie circostanze che concorrono a renderlo un assassino, non salverai neppure la vittima.

Se non salvi lui, non puoi salvare lei. O li salvi entrambi o la scia di violenza continuerà all’infinito di eredità in eredità, mentre noi continueremo, qui, solo a contare tristemente cadaveri senza conoscere le storie, le vite, le situazioni di ciascuno di loro.

To be continued… 

Posted in Critica femminista, Omicidi sociali, Pensatoio.


5 Responses

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  1. laura a. says

    bellissimo post.

  2. simona musolino says

    Il mio contributo l’ho già dato scrivendo un libro : Simona Musolino, Le ali dipinte -Appartenenze e sessualità- ed. Sensibili alle foglie 2012 recensito da Le monde diplomatique. Spero possa essere ancora un piccolo contributo
    Saluto tutte
    simona

  3. Chiara Lo Scalzo says

    Proprio ieri pensavo la stessa cosa! L’insufficienza del reddito comincia ad essere un problema serio, che crea situazioni assurde e ad alto rischio.
    Vi porto un esempio: genitori anziani, madre malata. Il padre è prossimo alla pensione, ma nonostante anni ed anni di lavoro la sua busta paga non basta più a coprire le spese. La figlia single con bimbo piccolo torna a vivere coi genitori per dividere le spese: separati non arriverebbero alla fine del mese entrambi i nuclei, considerato che il costo del nido non è alla portata della busta paga della figlia.
    Non volevano vivere insieme, sono costretti a vivere insieme, e la conflittualità è alta, altissima. La madre anziana non accetta la scelta della figlia di tenere il bambino, in più è malata, il che non la rende più disponibile, e sono liti quotidiane, recriminazioni, urla, scenate quotidiane. Con un bambino piccolo che le subisce.
    Noi vicini pensiamo che l’unica soluzione sarebbe che si separassero, condividere quello spazio ristretto non può che peggiorare le cose, ma che fare? Una colletta servirebbe? Non credo proprio…
    Così ascoltiamo le urla, terrorizzati che un giorno finisca male.
    I servizi sociali? Non gliene frega niente. La frase preferita loro è “non è di mia competenza”. Devo ancora capire quali sono le loro competenze…

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