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La prima violenza contro le donne? La dipendenza economica!

E’ uno scritto di ath.hellè consegnato ad Antonella MenoePausa in risposta a un suo post. Antonella lo vuole condividere perché è importante quello che c’è scritto e preferisce usare noi come veicolo per darle un po’ più di visibilità. Allo stesso tempo segnaliamo un altro commento che le arriva da un ragazzo, giovane, precario, che pure ha perso ogni speranza per il futuro e fa male leggere cose così. Buona lettura!

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Tieni.

un’intera esistenza in cui l’alternativa professionale che ci renderebbe economicamente indipendenti è pressocchè nulla.
E per convincerti ti rendono difficile trovarti un buon lavoro

Concentriamoci su questo. Non sulla sessualità. Più parli di cazzo più gli dai importanza.
Immeritata.
Il problema è “un buon lavoro” uno stipendio che permetta di vivere “indipendentemente”.
Non la mancia a fine mese, o giusto quanto basta a coprire la rata del mutuo, tanto la famiglia la mantiene lui col suo di stipendio che comunque vada è sempre un 27-30% in più del tuo, così a priori. Anche a parità di livello/mansione.
Nessuno insiste più a che le ragazze si sposino. Quello è trapassato remoto, almeno qui al nord.
Ma le ragazze che entro i 35 anni non trovano lavoro sanno che dopo non troveranno più nemmeno chi le mantiene.
E nel frattempo magari i genitori muoiono.
Del cazzo importa una sega a tutte.

Qualche esempio:
Eva aveva il posto fisso da 15 anni. Nel 2008 la sua ditta è andata all’est.
E’ iniziato così il suo calvario precario. Lavora da 3 anni a contratti bimestrali rinnovabili. Stop & Go. Ha 36 anni.
Dal 2011 a oggi ha perso entrambi i genitori.
Se perdesse anche quel lavoro?
Pur essendo lei una allergica al matrimonio non me la sento di escludere che non cederà al primo con lavoro sicuro che passa.
Sempre se a 36 anni ce la fa. Potrebbe farcela se ne trova uno senza appartamento, è l’unica cosa che lei ha da scambiare ormai.

Rebecca, 25 anni, diplomata, negli ultimi 6 anni non è riuscita a trovare non solo un lavoro fisso, ma nemmeno uno precario continuativo.
All’ossessione per il matrimonio ci è arrivata da sola. Sua madre avrebbe preferito che studiasse.
Ma lei dice che ha un patrimonio (la giovinezza) che può vendere solo ora, e che l’università non significa “lavorare” ma solo procrastinare.
Sua sorella 20 anni ragiona diversamente ma non tanto.
Si è fatta il liceo e ora fa l’università, non le importa se quel che studia lo farà come lavoro o no, intanto si evita lo stress che invece vive la sorella e poi comodamente si sceglie il cavallo giusto:
ha appena sostituito il fidanzato storico operaio con uno più abbiente.
e secondo me se compare di meglio all’orizzonte verrà sostituito anche questo. Freddamente.
Questa, come si laurea si sposa.
Si sposerà bene e soprattutto non lavorerà un solo giorno della sua vita.
Una grande opportunista.
L’altra invece poverina è una idealista che sta facendo di necessità virtù.

Insomma un po’ come la differenza tra la prostituta di strada e l’escort di lusso.
Ma tant’è.
Del sesso non importa a nessuna delle tre.

Lavoro non ce n’è. Si punta sui “cavalli”.

30 anni fa avevo una cugina più grande (è ancora viva eh?) era una delle pecore nere della famiglia.
Io ovviamente la adoravo. Era alta, bella. In paese si diceva che picchiasse i ragazzi e la desse via.
Quando avevo 14 anni lei per me era un mito. Così apparentemente “libera”.
Un giorno avrò avuto 18 anni la vedo in birreria con un’altra ragazza e due ragazzi spaventosamente brutti.
Mi saluta e nota che guardo i due mostri con perplessità.
Mi prende da parte e mi dice: – …eh lo so…fan paura eh?.. ma sono pieni di soldi “da far spavento”…
Al mio sguardo interrogativo aggiunge: – ..tesoro, se dobbiamo passare per troie che ne valga almeno la pena.
Non dimenticherò mai questo colloquio. 30 anni fa. E non è cambiato niente.

Si sarebbe poi sposata e separata più volte, attualmente sta con l’ennesimo.
Il paese ormai è vaccinato.
Di sicuro ha mantenuto fede alla sua reputazione.

Tutte puttane volontarie? Vedete entusiasmo voi in queste storie?
Credo che anche a lei giunta a un certo numero di partner, del sesso importi meno di una sega…meglio sarebbe stato un lavoro che permettesse l’indipendenza.
Invece ha sempre avuto lavori dove da sola a fine mese non ci arriva, pure se a contratto, pure se full time.
Le donne non sono troie, parassite, in vendita, ma a qualcuno fa molto comodo che le cose vadano così.
Fa comodo che la donna non lavori, o se lavora che il suo stipendio venga vincolato a un mutuo, oppure finisca nel calderone di un conto corrente comune a firme congiunte, oppure che sia un ridicolo part time perchè i figli si sa portano il cognome del padre ma stanno sul groppo della madre. Comunque sia si chiama controllo.

Spesso sentiamo parlare di “violenza economica” nei confronti delle donne. Controllo appunto.
Farò un esempio personale di violenza economica, una volta qualcuno per mettermi in difficoltà mi disse che non avrebbe più dato i soldi in casa e mi tirò per terra una banconota dicendomi “se te ne servono altri d’ora in poi li chiedi”
Si vide tornare indietro svolazzando la banconota e si sentì rispondere con serenità che io per me avevo soldi miei e che già che c’era poteva pure sollevarmi dal fare la spesa che a me faceva solo un favore.
Ma io “potevo” permettermelo. Ogni cosa era distinta.

Una cosa mi fa sorridere, quando avevo 30 anni e lavoravo in fabbrica le mie colleghe coetanee si misero a sposarsi tutte in batteria. Molte di loro erano felici perchè “finalmente non avrebbero più dovuto dare lo stipendio in famiglia” e si sarebbero riappropriate del frutto del loro lavoro. Non si sposavano per amore ma per avere più libertà. E la libertà era il loro stipendio finora negato dalla famiglia d’origine che per la donna spesso era la prima galera.
Illuse. Non sapevano che sposandosi sarebbero passate da un padrone all’altro.
Questo però ci richiama a un meccanismo che comincia nella casa d’origine e non stiamo parlando di patriarcato.
Vengo dal profondo nord e questo andazzo deriva dalle madri.

Io ricordo ancora la piazzata che mi fece mia madre quando annunciai che mi ero aperta un c/c mio che avevo chiesto alla ditta di versarmi lo stipendio lì e che rimanevo disponibile a versarne una quota in casa per vitto e alloggio. (quota che versai per più di 10 anni)
Avevo credo 20anni. Mi sono sentita dire che ero una vergogna. Gridava come una ossessa.
La verità è che da quel momento mia madre (e tantomeno mio padre) non avrebbe più potuto mettere becco nelle mie decisioni/spese/iniziative. Era questo il vero fastidio. L’indipendenza. Che è innanzitutto “economica”.

Avevo acquisito il diritto a sbagliare da sola. Dopo anni in cui mi ero sentita dire che se me ne andavo da quella casa me ne sarei andata con gli stracci che avevo adosso (lavoravo cazzo!) ora sapevo che non sarebbe stato così.
La cosa negativa è che avrei impostato il resto della mia vita come una acquisizione di posizioni e di proprietà. Rinunciando alla spontaneità e al rischio, calcolando ogni mossa scrupolosamente per vincere la battaglia con mia madre che aveva profetizzato la mia rovina per essere andata contro le regole.
Il germe dell’insicurezza economica ormai era stato instillato.
Mia madre non mi perdonò mai questa cosa e più tardi cercò di ricreare una situazione di dipendenza cercando di convincermi a investire i miei risparmi in un mutuo per un appartamento. Indubbiamente un investimento ma io volevo essere certa di poter prendere il volo in qualsiasi momento.
Si sarebbe vendicata poco prima di morire creando vistose differenze di trattamento in sede ereditaria nonostante io me ne fossi andata senza mai chiedere una lira. Infantilismo direi.

Il cazzo non è uno scettro. Non può imporsi così per “natura”.
Il dominio, il controllo si impone creando dipendenza, e la dipendenza è per sua natura economica.
Si chiama fame, si chiama affitto, si chiama freddo, si chiama necessità, si chiama stipendio femminile ridicolo.
E’ lì che il cazzo diventa moneta di scambio “tanto quanto” la fica.

Una vittoria la mia? No nel momento in cui le mie stesse colleghe mi guardarono con sospetto e sostennero la stessa teoria di mia madre. Lo stipendio andava “consegnato” ai genitori.
Le prime nemiche delle donne siamo noi stesse.
Oggi sono contenta del mio conto (anzi ne ho 2), della mia carta di credito, dei miei titoli solo miei, e presto entrerò in possesso anche di un immobile a mio nome.
So anche che ad altri questo darà fastidio. Perchè li costringerà a rivedere equilibri di potere.
Poter ricordare continuamente che si ha denaro proprio e una casa propria è un ottimo deterrente all’arroganza.
Mi preoccupa solo la situazione del mercato del lavoro.

Questi averi non li avrei mai messi in comune comunque. Quando non ti sei potuta fidare di tua madre non ti fidi più di nessuno.
La mia teoria secondo cui l’amico/a di oggi può diventare il nemico di domani troppo spesso si è rivelata corretta.
Le persone nel tempo cambiano, e anche le buone intenzioni. Meglio tenersi aperta una via di fuga.
Ho numerose amiche che si sono separate o vorrebbero farlo che oggi rimpiangono la comunione dei beni, il conto in comune, i propri risparmi affidati al marito. Oggi che scoprono di non avere i diritti che credevano. Ignoranza.

La prima libertà è dividere il mio dal tuo. Anche se il mio è meno anzi a maggior ragione.
La seconda libertà è rifiutarsi di vincolare solo il proprio stipendio (se lo si ha) a qualsiasi cosa (mutuo, rate ecc) magari per decenni: firmereste la vostra prigione. Solo vostra.
La terza libertà è stabilire un budget mensile a cui partecipare insieme ma proporzionalmente al proprio stipendio (guadagno di meno = verso di meno – e non dimentichiamo il lavoro gratuito casalingo delle donne) in modo da mettersi da parte qualcosa in modo indipendente. Nessuno conosce il futuro.
La quarta libertà è non lasciare che l’altro vi ricatti usando i figli. Se capiscono che non potranno far leva nè sui soldi nè sui figli, li disinnescherete, rimarranno disarmati. Imparate eventualmente a bluffare.

Ma la sola unica vera libertà è un buon lavoro che dia la possibilità di sfuggire agli errori fatti e di rifarsi una vita. Ma mi rendo conto che questo oggi (più di ieri) per le donne è un problema enorme.
Però a queste cose bisogna pensarci prima, piantarla di leggere le favole, credere al Principe Azzuro come a un cavalier servente (la serva la farete solo voi), sognare a occhi aperti la famigliola di Barbie e Ken, e introdurre accordi prematrimonio/convivenza privati: i “patti chiari amicizia lunga” senza i quali “meglio sola che male accompagnata”.
Mai tagliarsi i ponti alle spalle e mettersi anima e corpo nelle mani di qualcuno che per quanto amato rimarrà per sempre comunque un estraneo.

Esiste una alternativa al matrimonio/convivenza per indigenza, per stipendio femminile ridicolo.
L’ho scoperta anche io tardi, ai miei tempi internet non esisteva e l’ignoranza faceva comodo.
Esiste la possibilità di essere solidali, di unire le proprie forze economiche, di condividere in più donne le spese di un appartamento come da studentesse così anche da 40enni.
Le donne hanno commesso un errore di ingenuità in passato, credendo alle loro madri che dicevano che ci si sposava perchè in due la vita costava la metà e così ce la si poteva fare.
Hanno dimenticato di dire che quei due potevano essere anche due donne, o anche più di due.
Amiche, coinquiline, colleghe.
Fossimo state meno insicure, meno “indottrinate” e più solidali, avremmo reso l’uomo “economicamente” meno necessario molto prima.
Ma possiamo ancora farcela.

Posted in Critica femminista, Personale/Politico, Precarietà, R-esistenze, Storie Precarie.


4 Responses

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  1. Nicoletta says

    Dalla cronaca di oggi 17/2/2012:
    “Non mi toglierete anche Marianna” Si getta dalla finestra con la figlia
    http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/cronaca/articolo/lstp/442843/

    Dall’articolo, sembrerebbe un suicidio+omicidio dovuto a difficoltà economiche.

  2. marika says

    vero!!! il faccio la chef, madre di un figlio 13enne che ho cresciuto da sola, ho una casa mia, un compagno di cui non ho bisogno econmicamene, introiti personali….insomma me la cavo, ma continuano a pagarmi la metà di quanto si paga un uomo e continuano a chiedermi orari doppi rispetto a quelli che si richiedono ad un uomo( che pure ha la moglie a casa che lava, cucina, stir e pulisce…)io non ho l totale indipendenza, devo molto ll’eredità lascita da mio pdre e alla mia cparbietà a non voler dipendere da nessun, a costo di fare la fame, maa laa verità è che basta essere femmine per essere sottopagate, per quanto brve si possa essere…..

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  1. Must read « psikosomatica linked to this post on Febbraio 20, 2012

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  2. Costringere le donne alla dipendenza economica è una violenza « Meno e Pausa linked to this post on Febbraio 16, 2012

    […] La prima violenza contro le donne è la dipendenza economica, dicono le amiche di Femminismo a Sud. E cos’altro può essere se non questo? Share this:TwitterFacebookLinkedInEmailLike this:LikeBe the first to like this post. […]