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Se non ora quando o le féminisme caviar

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Da quel bell’esperimento editoriale che è XXD (Rivista di varia donnità) dal cui sito potete scaricare la ricca rivista e gustarvela come volete, prendiamo in prestito questo post scritto da chi è stat@ a Siena e ne parla… Buona lettura!

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di Stefania Prandi

Comincio dalla fine e mi si perdoni il tono recriminante, ma non riesco a farne a meno. La fine di “Se non ora quando”, per me che sono andata via da Siena domenica mattina presto (per tornare a Milano in treno e spendere poco ci ho messo più di 7 ore. Ma chi ha avuto l’idea brillante di fare l’incontro nella scomodissima Siena?), è stata la sera di sabato alle 20.30. La fine è stata una piazza del Duomo riempita per un quarto da donne perlopiù di mezza età che urlavano, un po’ scomposte, “se non ora quando” con palloncini rosa in una mano e bolle di sapone nell’altra. Io le guardavo e mi chiedevo che pubblicità sembrassero. In genere adoro le manifestazioni ma questa a che cosa doveva servire, esattamente? Questa domanda, che mi tormenta anche adesso, mi è venuta in mente appena arrivata nello splendido giardino di Sant’Agostino a Siena, dove era stato allestito il set per la rappresentazione di “Se non ora quando”. Non posso definire altrimenti il dispiegamento di nomi e cognomi famosi e di giornali e televisioni mainstream. Guardavo la piazza e poi la rappresentazione mediatica sui siti di Repubblica e del Corriere della Sera (dal computerino che avevo con me) e mi chiedevo: a che cosa serve tutto questo?

La piazza era piena. Mille persone. Magari anche di più. Quel che è certo è che c’erano le donne dell’Italia che conta. Sedute in prima fila, in piedi nelle retrovie e sul palco a parlare. C’era la Camusso che ha appena fatto un accordo con i sindacati fake Cisl e Uil per aumentare il potere contrattuale delle aziende (e ne avevamo proprio bisogno). C’erano la Turco, la Bindi e la Bongiorno – che è stata, per chi l’avesse dimenticato, l’orgogliosa avvocata del mafioso Andreotti – che hanno promesso di impegnarsi per difendere i diritti delle donne. Mentre parlavano mi chiedevo: ma perché promettete? Cosa fate quando siete in Parlamento? Che cosa avete fatto per quel tesoretto dell’Inps di 4 miliardi di euro? Avevate bisogno di vedere i palloncini rosa per ricordarvi che le donne in questo paese sono discriminate? Soltanto ora vi ricordate di essere femministe?

Pardon, ho pronunciato la parola bandita. Perché il termine femminismo, alle donne dell’Italia che conta, piace poco. Meglio trovare parole nuove, più politically correct, come “risveglio delle donne”, come se fosse la prima volta, come se non fosse successo niente fino ad ora, come se all’estero non ci fosse un dibattito vivacissimo, come se non fossero state scritte tonnellate di libri sull’argomento. Le donne dell’Italia che conta, quando ho chiesto di poter lasciare i volantini della rivista femminista Xxd per cui scrivo sul tavolo dove c’era il materiale informativo di “Se non ora quando”, hanno storto il naso e alzato le spalle. Se proprio vuoi, mi hanno detto, senza nemmeno guardarmi in faccia. Speravo che mi chiedessero almeno: che rivista é? Ma si sa, senza un pedigree, nell’Italia che conta, non sei nessuno. Se ti va bene sei una faccia senza un nome, sennò un nome senza un cognome. Grazie! Lo sapevo già e non mi servivano 14 ore di treno in due giorni per ricordarmelo.

Ma sabato a Siena c’era anche qualcosa di meraviglioso. C’erano le donne che avevo visto nelle piazze del 13 febbraio, le donne che quando parlano di precariato e maternità impossibile – due temi ricorrenti nella giornata di sabato – sanno che cosa stanno dicendo perché lo vivono o l’hanno vissuto sulla loro pelle. C’era il bellissimo gruppo delle Archeologhe che (r)esistono. C’erano le donne che si battono contro la mafia, le donne di Arcilesbica, le donne di Punto G e tantissime altre. C’erano le donne dell’Italia “che conta davvero”. E il problema è proprio questo: le donne “dell’Italia che conta davvero” possono continuare a farsi rappresentare da quelle “dell’Italia che conta”? Non c’è altro modo? Possiamo davvero sentirci parte di un movimento dove chi parla di precarietà o di maternità lo fa perché l’ha sentito dire dalla colf? Io, se nascesse un partito formato da sole donne che contano come la Camusso e la Bongiorno (e tutte le altre che potete vedere nelle varie photogallery online), non lo voterei di certo.

“Se non ora quando” ha fatto riunire le donne nelle piazze lo scorso inverno. Ci ha ricordato che siamo tante, che siamo arrabbiate e che abbiamo molto da dire. Ma ora basta con questi slogan patetici, questi palloncini e queste bolle di sapone. Basta con questo femminismo caviar. Se ci vedessero Virginia Woolf, Shulamith Firestone, German Greer, Luce Irigaray, Elisabeth Badinter, Judith Butler, Rosy Braidotti ed Erica Jong (solo per citarne alcune e omettendo le italiane), che cosa penserebbero di noi?

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Posted in Fem/Activism, Pensatoio, Scritti critici.


3 Responses

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  1. Ema says

    Concordo con Marisa.
    Molte di coloro che sono tra chi conta ci sono arrivate nuotando controcorrente in un mare maschile. Ci sono arrivate e non se ne fregano di chi a nuotare controcorrente non ce la fa, non puà o non vuole.
    Chi pensa ancora (eh sì non è una novità…) di dover essere fuori dal sistema perché il sistema si rovescia non si riforma…lasci il proprio pensiero alle nipoti che potranno riproporlo pari pari.

  2. Serenella says

    Io faccio parte del gruppo di Siena e sono stata critica sul modo nel quale la manifestazione e’ stata organizzata, troppo attenta all’immagine
    Ho trovato inopportuna, da donna di mezza eta’, forse, l’idea di scendere in Piazza del Campo con i palloncini e le bolle e, infatti, mi sono defilata, cosi’ come non sono voluta salire a ballare sul palco, alla fine
    Questione di diverso sentire, evidentemente
    Tuttavia, confesso che l’evento mi e’ piaciuto e, anche se anch’io non ho apprezzato molto la giornata di sabato (a partire dal nostro Sindaco che pare veda le donne solo come sante, beate e volontarie dell’assistenza, alla Bongiorno con l’idea della class action, a dir poco demenziale), domenica ho sentito una vera possibilita’ di fare rete e di unirsi per obiettivi comuni
    Evitiamo il disfattismo, critichiamo senza vergogna, non scordiamoci delle madri del nostro pensiero, tutte quelle che citi e le altre, prima e dopo, a farsi da Christine de Pizan (ci voleva la Sandrelli perche’ se ne parlasse, poco, in Italia!)…ma non ci areniamo nei particolarismi e nella diffidenza reciproca

  3. marisa zoppolato says

    Ma non riusciamo proprio a stare tutte insieme? Le donne più conosciute e quelle non conosciute? Ma che vogliono la stessa cosa. E ringraziamo il cielo che le facce conosciute rendono il movimento più appetibile per i media e danno alle donne quella visibilità che altrimenti non avrebbero. La cosa che non sopporto delle donne, di cui mi occupo a vari livelli da tanti, tantissimi anni, è la loro incapacità a fare veramente squadra. Ognuna con le proprie capacità, tempo e competenza.