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Il gineceo

E’ vero. Tante femmine del sud sono spesso bugiarde. In mezzo a quelle bugie ci sono cresciuta e c’è voluto un bel po’ per rifiutarle e scegliere un metodo di comunicazione diverso.

Ne ho conosciute tante di donne bugiarde, una in particolare perché la vedevo quasi tutti i giorni, che inventava tante di quelle sciocchezze che il giorno dopo, all’ennesima menzogna, non si rendeva nemmeno conto di essersi contraddetta.

Non è una questione di dna. E’ più l’arte della dissimulazione, una specie di aggiustamento della verità alla maniera in cui le hanno insegnato per fare in modo che tutto vada come deve andare.

C’è Salvatrice che per tutta la vita non ha fatto altro che mentire. Lo ha fatto così a lungo che ora, a settanta anni compiuti, quando oramai non ce ne sarebbe più bisogno, continua a dire bugie e a meritarsi il mio sguardo di comprensione profonda. Perché una donna così, puoi scegliere di non imitarla, ma non puoi rifiutarti di capirla.

E’ cresciuta in una famiglia in cui i ruoli erano precisi, sua madre era la guardiana del castello e suo padre quello che andava al mattino a zappare la terra. Quando lui tornava a casa voleva trovare tutto a posto. E sua moglie mentiva. Gli diceva che non era successo niente. Sua moglie mentiva anche quando in realtà non ce n’era bisogno. Trucchi appresi durante la guerra. Rubava un pugno di pasta cruda dai pacchi già aperti, di modo che il marito non se ne accorgesse, e la nascondeva sotto al letto, tra le reti molli e i materassi di lana, avvolta in un telo di stoffa, fino a quando il marito non si accorgeva che c’era un motivo per cui dormiva male.

Quando le chiedevano: “Ma perché lo fai?”, lei rispondeva che “non si sa mai…” e si preparava ad affrontare così le sue ansie di futuro.

I figli non furono mai una benedizione. Non come si diceva alla parrocchia. La madre di Salvatrice sgravava almeno una volta ogni tre anni. Tanti figli morti, e qualcheduno vivo, tanti da contarsi sulle dita di una mano. Per evitare di fare figli quella donna doveva inventarsi dei malesseri indicibili, perfino contagiosi. Sveniva di timor da gravidanza ogni volta che suo marito cercava di toccarla e allora lui la lasciava in pace, fino alla fine della stagione. Qualche mese dopo tutto era punto e accapo.

Salvatrice nacque così, tra una finta malattia e un espletamento fisiologico paterno, e fu maledetta perché era la quarta femmina e delle femmine in quella casa non sapevano che farsene perché non erano buone a lavorare la terra.

A Salvatrice fu però permesso di frequentare una signora che piano piano le insegnò a ricamare. Iniziò presto, che ancora le dita non erano più lunghe degli aghi che maneggiava. Ad ogni nuovo disegno pregava di non macchiare il lino. Chè era di quello buono e una delle prime volte che l’ago le si conficcò sulla pelle lo dipinse di rosso sangue e la maestra di ricamo fece quello che la sua insegnante aveva fatto a lei. La mise a testa in giù a colare sangue su una bacinella bianca. Salvatrice doveva osservare ogni goccia e fu così che in effetti imparò a contare. Una, due, tre, quattro…

Quando lei conobbe quello che poi divenne suo marito aveva appena quattordici anni. Lui ne aveva dieci di più e se la portò via per fare una famiglia.
Non le permise più di andare a scuola di ricamo, ma lei sapeva che le sarebbe stata utile e allora fece quello che le aveva insegnato sua madre. Cominciò a mentire “a fin di bene…”, le diceva la vecchia stanca, che era vecchia di troppe gravidanze perché in realtà aveva solo poco più di cinquant’anni.

Salvatrice andava a ricamare mentre il marito andava a lavorare. Per non insospettirlo lei si svegliava di notte e preparava di nascosto il pranzo per il giorno dopo. Poi lo nascondeva come sua madre aveva fatto con la pasta cruda.

Quella volta che il marito la scoprì a mentire era una domenica di agosto. Il sole era così caldo che lui tornò a casa prima del tempo. Trovò le pentole già pronte ma non trovò la moglie. Si mise al tavolino e l’aspettò a lungo. Salvatrice vide la motoape e cominciò a pensare a una versione credibile.

Le raccontò così di un malore di una signora che viveva in un luogo sperduto del paese. Il marito disse “se è vero, portami da lei” e Salvatrice allora inventò una bugia più grossa perché tutto sarebbe stato meglio della verità. Gli disse che era rimasta incinta e che aveva forti dolori tutti i giorni e perciò era andata ad abortire dalla mammana nella collina. Per sostenere la sua tesi gli mostrò i panni pieni del suo sangue e per una volta la scampò perché il marito non capiva la differenza tra una mestruazione e una emorragia.

Salvatrice fu lungamente disprezzata come femmina che non sapeva addomesticare l’utero. Aveva il ventre bizzoso, non obbediente, non sapeva fare figli, come le diceva suo marito. E il prezzo di quella bugia fu una prima gravidanza il mese dopo e una ancora dopo un anno e mezzo e ancora una poco dopo la nascita del suo secondo figlio. Due femmine e un maschio. Il maschio venne dopo altri tre tentativi di figli tutti nati morti, cosa che avvalorava le accuse di inutilità uterina rivolte a Salvatrice.

A lei non importava perché aveva già imparato l’arte del ricamo e suo marito le concesse almeno di poterla praticare in casa per fare i corredini dei bambini.

Disegnava quelle lenzuola come se fossero tele e ogni ricamo era un capolavoro unico, a tal punto che quando li videro le vicine chiesero che ne facesse per loro, per le figlie, per le figlie delle figlie.

La prima volta che finì un lavoro e fu pagata il marito la accusò di volerlo umiliare e andò a restituire fino all’ultimo centesimo. Dalla volta dopo non gli disse niente. Prendeva i soldi e li nascondeva sotto il letto, dentro la federa del cuscino, in mezzo alla lana del materasso “per i tempi bui… a fin di bene”.

Bugia dopo bugia, perché tante bugie vengono dai divieti, Salvatrice fece crescere i suoi figli. Il maschio seguì la strada paterna, ma le figlie non avevano molte alternative a meno che non seguivano un corso di studi.

Il padre era geloso, non aveva molta voglia di dividere quelle donne con il mondo. Non aveva molta voglia di assumersi le responsabilità di scelte difficili. Qualche volta preferiva non sapere, per poter interpretare poi la parte dell’uomo tradito, della vittima delle donne di casa, come fossero loro a comandare con sotterfugi, invece che lui a preferire punizioni e divieti  alla consapevolezza di ciò che stava avvenendo.

Il padre preferiva avere sempre una carta in più da giocare. Voleva sedere nel posto a capotavola, essere riverito e adorato, vedere pratiche dell’obbedienza e gli piaceva, oh come gli piaceva, vedere gli sforzi di quelle poverette che tentavano di esistere tenendolo al sicuro dalle delusioni e dalle responsabilità.

Le spalle più grandi erano quelle di Salvatrice. Avrebbe potuto reggere il peso di un palazzo intero. A lui gli elogi e a lei i rimproveri. La sua vita era un eterno sotterfugio come di chi scava buche sotterranee per vivere mentre pratica l’obbedienza in superficie. Strategie per aggirare la sottomissione che ho visto realizzare in mille casi.

A lui diceva che le figlie avevano ottimi voti e che avevano ottenuto borse di studio. Nel frattempo lei pagava tutto e ogni libro le costava notti insonni a ricamare federe e lenzuola. Peccò di menzogna anche quando la prima figlia confessò di essersi innamorata di un compagno di scuola. Combattuta tra le dicerie che giudicano le madri ruffiane colpevoli dell’immoralità delle figlie, e il bisogno di non negare a sua figlia l’opportunità di vivere la sua vita. Senza l’appoggio di quel marito assente, che preferiva non vedere e non sapere per poterle addossare tutte le colpe. Salvatrice si raccomandò con sua figlia “mi raccomando figlia mia, torna in orario…” e inventò che era lei a mandarla a fare delle commissioni.

Si beccò tutti i rimproveri del marito e l’ultima volta che lui le disse che lei era una donna inutile la sua seconda figlia la guardò come si guarda una vigliacca.

“Perché non gli dici la verità? Perché continui a proteggerlo, mamma?” le disse quella figlia ribelle. “Non ti ci mettere anche tu… fatti gli affari tuoi…” rispose Salvatrice, senza sapere che quella figlia stava scegliendo già per sé un altro modo di comunicare.

Le due figlie litigarono a lungo perché la piccola disse alla grande che era una vigliacca ad addossare tutto alla mamma. E la grande, che era accecata dall’amore, non volle sentire ragioni e dichiarò che era un accordo tra lei e sua madre. Nessuno doveva metterci il becco.

Quando un bel giorno tornò a casa dicendo che lasciava l’università per maritarsi e fare un figlio, la madre si sentì tradita. Ciononostante le cucì il corredo e quando fu il momento disse al marito che la figlia aveva trovato marito e che spettava a lui l’ultimo parere.

Salvatrice conosceva l’arte della lusinga e sapeva come fare sentire quell’uomo valorizzato. Non come lui che la chiamava fallita ogni volta che le ricordava di aver dato alla luce i figli morti.

Un pover’uomo, il marito di Salvatrice, che veniva protetto dalla realtà, come si fa con certi depressi, che tu gli dici che si svegliano e fanno solo una cosa mentre c’è chi per loro pensa a tutto il resto. Però li conforti e li fai sentire i padroni della casa perché se gli ricordi che in qualcosa hanno fallito diventano violenti e quella violenza Salvatrice proprio non la sapeva gestire.

Di questo erano fatte le “donne di una volta”, quelle che non pretendevano da tanti uomini una condivisione alla pari delle responsabilità, che prendevano sulle spalle tutto il carico delle pene e delle conseguenze. Diverse, per fortuna, dalle donne di oggi che se un uomo non si comporta alla pari allora lo lasciano in riva al fiume perché la corrente della vita è forte e le nuove donne vogliono percorrerla alla pari. Nuotando libere, con accanto un punto di riferimento stabile, che se traballa trova un punto d’appoggio nella sua compagna ma se è lei a traballare deve essere pronto a sostenerla.

Il marito di Salvatrice accolse la richiesta di sposalizio del genero e concesse la mano della figlia. Lo fece in una serata ufficiale, una festa con i parenti della sposa e dello sposo. Fu lui a condurla all’altare, mentre Salvatrice guardava quell’improbabile coppia, che tanta fatica le era costata, procedere al ritmo del fruscìo di un velo tanto lungo quanto lunga era stata la fatica impiegata nel ricamarlo.

L’altra figlia non fu mai un problema per Salvatrice. Chiarì che voleva un dialogo diretto con suo padre, senza mediazioni. E data l’importanza che gli dava fu oggetto di alcune confidenze.

Il padre le disse, con fare vittimista e patetico, come di chi cerca complicità, che era stato vittima di una cattiva moglie che gli aveva sempre detto tante bugie. Disse che quella moglie lui se l’era tenuta solo perché era stato magnanimo e poi per il bene di quei figli che non avrebbe potuto crescere da solo.

Fu in quel momento che quella figlia amò appassionatamente la madre. La adorò talmente che decise di chiarire al padre che se c’era qualcuno di magnanimo in quella casa era stata Salvatrice e così finì il suo dialogo padre/figlia perché lui in effetti non voleva dialogare. Voleva solo un palcoscenico e un pubblico che lo applaudisse. Voleva cullarsi nelle fantasie di un uomo che ancora, a una certa età. Continuava a rifuggire le sue responsabilità.

Il marito di Salvatrice morì in casa, servito e riverito da sua moglie che gli concesse un’ultima bugia “a fin di bene”. Gli disse che tutti i figli lo amavano tantissimo e che lui era stato un padre meraviglioso. Gli disse anche che lei non avrebbe potuto fare a meno di lui e che la sua vita non sarebbe stata più la stessa.

La vedo ora e in effetti capisco che è ancora così. Salvatrice non è in grado di fare le cose alla luce del sole. Usa dei trucchi, nasconde segreti, non si libera dalle sue bugie neppure quando è sola con se stessa, davanti allo specchio, mentre raccoglie i suoi morbidi capelli grigio perla. Mente alla sua seconda figlia, che io conosco bene, e che le dice spesso “non hai bisogno di mentire con me, mamma… guarda che non c’è niente di male se esci e vai a passeggio quando ti pare… puoi fare quello che vuoi…”.

La figlia non è particolarmente obiettiva. Nella sua concessione alla madre vuole anche ottenere un riconoscimento per sé. Vuole sentirsi dire che ha ragione lei. Ha ragione nel chiedere al suo compagno di affrontare la realtà senza vigliaccheria, perché lei è diretta, chiara, non lo protegge se non quando è necessario, non gli risparmia la verità, vuole condividere le responsabilità. E io le dico che deve trovare in sé quella sicurezza. Ha certamente ragione lei, ma non può aspettarsi che glielo confermi sua madre che ha ancora bisogno di una “ragione superiore” per fare le cose.

Così mi sono inventata anch’io “a fin di bene” una piccola bugia. Le ho chiesto di accompagnarmi una volta a settimana a fare un giro per mercatini. Perché lei è brava a scegliere le stoffe a poco prezzo e io mi diletto, tra una cosa e l’altra, nel cucito, per risparmiare. Vedessi che pezzi di tessuto che trova e che gomitoli di lana. Quando ne ha trovato uno con le striature in tutti i toni di rosa, viola fucsia e nero, per farci una sciarpa, avevo deciso che lei era una specie in estinzione, di quelle che trovano l’acqua nel deserto.

Salvatrice mi accompagna una volta a settimana perché le dico che io ho sete. Se non sapesse di soddisfare un bisogno non si concederebbe niente. Neppure una passeggiata nel suo quartiere.

E ora che ci penso, oggi è giorno di mercato. Salvatrice mi aspetta. E per favore, non ditele che ho mentito.

Ps: Gineceo nell’Antica Grecia era la parte interna della casa, riservata alle donne. Rispecchia la condizione subalterna della donna greca che doveva essere controllata dal marito che deteneva pieno diritto giuridico su di essa.

Posted in Fem/Activism, Narrazioni: Assaggi, Pensatoio, Personale/Politico.


6 Responses

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  1. ollyclito says

    Bello, bello, bello, bellissimo.

  2. Serbilla says

    Molto bello, molto chiaro : )

  3. davide says

    Non bisogna mentire se si vuole risvegliare le coscienze

  4. fikasicula says

    e di che :*

  5. reginazabo says

    Grazie.

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  1. Arums no subete » Post Topic » Donne… linked to this post on Ottobre 21, 2010

    […] una cazzata e l’altra che pubblico su ‘sto blog, vi invito a leggere un post di Femminismo a Sud, si intitola “Il gineceo”, che “nell’Antica Grecia era la parte interna della casa, riservata alle donne. Rispecchia […]