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Se viviamo e respiriamo lo dobbiamo alle sorelle che lottano!

Lea Garofalo è stata sequestrata un anno fa. Oggi sappiamo che fu torturata e sciolta nell’acido.

Lei si era schierata contro la ‘ndrangheta e della ‘ndrangheta faceva parte il suo ex convivente e padre di sua figlia.

L’ex convivente è il mandante del sequestro, della tortura e del barbaro modo di cancellare la vita di Lea Garofalo fino all’ultimo pezzo di carne.

Per tanto tempo l’uomo ha finto di cercarla. La sua finzione era per la figlia che voleva sapere dove era la madre e non avrebbe mai di sicuro immaginato che all’origine della scomparsa e di un delitto così cruento ci fosse il padre.

Lea Garofalo è morta due volte: per aver tradito la famiglia allargata fatta di omertà pesanti come quella della ‘ndrangheta e per aver tradito la famiglia ristretta fatta delle medesime colpevoli complicità come quella in rapporto all’ex convivente.

Un ex convivente che in un colpo solo ha sistemato due questioni: una pubblica, dimostrando che certi uomini consegnano volentieri la testa della propria compagna o ex compagna, a prescindere dal fatto che sia madre della propria figlia, per ottenere ruoli di prestigio in organizzazioni sociali più o meno lecite; una privata, sfogando il risentimento tipico degli uomini che desiderano distruggere la vita delle proprie ex che non sono rimaste al proprio posto a condividere per filo e per segno le azioni, le scelte, l’odioso carattere di certi maschi violenti.

Sulla violenza del suo ex convivente non c’è dubbio e non sorprende la modalità cruenta scelta per vendicarsi della donna giacchè ogni giorno vediamo uomini che non necessariamente fanno parte di organizzazioni criminali riconosciute perché fanno parte di quella più allargata dei maschi violenti, una associazione a delinquere dalle dimensioni spropositate, della quale nessuno vuole tenere debitamente conto quando si parla di difesa dei diritti delle donne che subiscono violenza.

Non c’è dubbio neanche sulla capacità di certi uomini di mentire e di realizzare con i propri figli rapporti falsati, fatti di bugie tese a mascherare le loro responsabilità, perché per prima cosa uomini di questo genere vogliono essere assolti, giudicati positivamente, come se qualcun altro a parte loro possa mai considerare davvero “giusta” la necessità dei violenti di fare pesare il proprio potere su tutti quelli che diventano vittime.

Essere l’ex convivente e madre della figlia di un criminale non è diverso dalla normalità alla quale siamo purtroppo abituate nella quale uomini apparentemente perbene gettano acido in faccia alla ex, la sequestrano, stuprano, perseguitano, accoltellano, strangolano, le danno fuoco, la torturano per vendicarsi del fatto che lei abbia deciso di vivere a prescindere da loro, anzi: nonostante loro.

Ed è di questa ribellione, di questa lotta per la libertà che troppe donne muoiono. E’ di questa lotta per la libertà da un sistema criminale, fuori e dentro casa, che Lea è morta.

Ma questo non è tempo di celebrare eroine di una resistenza che ci coinvolge tutte e che ci massacra ogni giorno. Non è forse vero che a Lea non hanno dedicato neanche un ora di televisione o una pagina degna di un quotidiano?

Perché in questo paese che rende lecita la violenza maschile contro le donne, alle donne non viene riconosciuto niente: neanche il diritto ad una meritata o ipocrita medaglia sociale, a nome e per conto di tutte le donne, che si ribellano, come lei, ad un doppio e terribile, sistema familista che produce vittime delle quali noi, in sicilia, sappiamo molto, perfino troppo per i nostri gusti.

Di Lea non sentirete parlare molto. Perciò ne parliamo noi. Perché ogni donna che si ribella è nostra sorella. Ogni donna che si ribella merita la nostra gratitudine perché nella sua lotta ci ha restituito, con il sangue e il dolore, un frammento di libertà e di ossigeno.

Se oggi viviamo un po’ di più e respiriamo, lo dobbiamo alle nostre sorelle di ieri. Se domani potremo vivere un po’ meglio e respirare, lo dovremo alle partigiane resistenti di oggi.
Perciò grazie a Lea e grazie a tutte le donne che lottano senza arrendersi mai.

Posted in Corpi, Omicidi sociali, Pensatoio, R-esistenze.


One Response

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  1. Rachel says

    non ci sono parole per descrivere.