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Gheddafi e le donne italiane

Ecco cosa fa la ministra alle pari opportunità mara carfagna assieme alla presidentessa della confindustria emma marcegaglia: fedelissime agli uomini che ispirano la politica più abietta che viene concepita dal nostro stato, reclutano 700 donne da offrire in pasto a gheddafi come alibi per i rastrellamenti, le deportazioni, i "respingimenti", la cattiveria promossa a metodo di governo, le violenze subite da tanti uomini e da tante donne nelle prigioni libiche. Questo è quanto sa fare la carfagna e la marcegaglia. Cumulare corpi di donne da usare per ogni occasione, persino per legittimare uno come gheddafi. Mara Carfagna, Emma Marcegaglia: non ci rappresentano. Se l’una rivendica lo status di ex dipendente mediaset, l’altra vanta il prestigio di non essere stata una soubrette. Importa poco. Pari sono. Veline di regime, entrambe. Ecco la lettera che altre donne stanno inviando per segnalare che le italiane non sono tutte intruppate nei casting del presidente del consiglio. [Leggi "Anatomia di Berluscolandia" – da El Pais]

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Lettera di protesta che abbiamo scritto per l’incontro tra Gheddafi e 700 donne italiane

Il Presidente libico Muammar Gheddafi, il “campione della libertà”
secondo Silvio Berlusconi, nel suo imminente viaggio di stato in
Italia, nel quale riceverà anche una laurea a Sassari,
ha chiesto e ottenuto che Mara Carfagna gli combinasse un incontro con
700 donne italiane. Mica è un Berlusconi qualsiasi che si porta sui
voli di stato in Sardegna appena 30 o 40 veline. [intro gc]

Pubblichiamo il testo di una lettera di protesta contro l’incontro
programmato per il prossimo 12 giugno tra il leader libico Gheddafi e
700 donne italiane scelte da deputate, imprenditrici e semplici
casalinghe guidate da Mara Carfagna e dalla presidente della
Confindustria, Emma Marcegaglia

Al Leader della Gran Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista 

(Per conoscenza, alle e ai rappresentati del governo italiano e dell’Unione europea)

Gentile Muammar Gheddafi,

noi non facciamo né vogliamo far parte delle 700 donne che lei ha
chiesto di incontrare il 12 giugno durante la sua visita in Italia.
Siamo, infatti, donne italiane, di vari paesi europei e africani
estremamente preoccupate e scandalizzate per le politiche che il suo
Paese, con la complicità dell’Italia e dell’Unione europea, sta
attuando nei confronti delle donne e degli uomini di origine africana e
non, attualmente presenti in Libia, con l’intenzione di rimanervi per
un lavoro o semplicemente di transitarvi per raggiungere l’Europa.

Siamo a conoscenza dei continui rastrellamenti, delle deportazioni
delle e dei migranti attraverso container blindati verso le frontiere
Sud del suo paese, delle violenze, della “vendita” di uomini e donne ai
trafficanti, della complicità della sua polizia nel permettere o
nell’impedire il transito delle e dei migranti.


Ma soprattutto siamo a conoscenza degli innumerevoli campi di
concentramento, a volte di lavoro forzato, alcuni finanziati
dall’Italia, in cui donne e uomini subiscono violenze di ogni tipo, per
mesi, a volte addirittura per anni, prima di subire la deportazione o
di essere rilasciati/e.

Alcune di noi quei campi li hanno conosciuti e, giunte in Italia, li hanno testimoniati.
Tra tutte le parole e i racconti che abbiamo fatto in varie occasioni,
istituzionali e non, o tra tutte le parole e i racconti che abbiamo
ascoltato, scegliamo quelli che anche Lei, insieme alle 700 donne che
incontrerà, potrà leggere o ascoltare.

Fatawhit, Eritrea: “Il trasferimento da una prigione all’altra si
effettuava con un pulmino dove erano ammassate 90 persone. Il viaggio è
durato tre giorni e tre notti, non c’erano finestre e non avevamo
niente da bere. Ho visto donne bere l’urina dei propri mariti perché
stavano morendo di disidratazione. A Misratah ho visto delle persone
morire. A Kufra le condizioni di vita erano molto dure (…) Ho visto
molte donne violentate, i poliziotti entravano nella stanza, prendevano
una donna e la violentavano in gruppo davanti a tutti. Non facevano
alcuna distinzione tra donne sposate e donne sole. Molte di loro sono
rimaste incinte e molte di loro sono state obbligate a subire un
aborto, fatto nella clandestinità, mettendo a forte rischio la propria
vita. Ho visto molte donne piangere perché i loro mariti erano
picchiati, ma non serviva a fermare i colpi dei manganelli sulle loro
schiene. (…) L’unico metodo per uscire dalle prigione libiche è pagare.”

Saberen, Eritrea: “Una volta stavo cercando di difendere mio fratello
dai colpi di manganello e hanno picchiato anche me, sfregiandomi il
viso. Una delle pratiche utilizzate in questa prigione era quella delle
manganellate sulla palma del piede, punto particolarmente sensibile al
dolore. Per uscire ho dovuto pagare 500 dollari.”

Tifirke, Etiopia: “Siamo state picchiate e abusate, è così per tutte le donne”. (Dal film “Come un uomo sulla terra”).

Siamo consapevoli, anche, che Lei e il suo Paese non siete gli unici
responsabili di tali politiche, dal momento che gli accordi da Lei
sottoscritti con il governo italiano prevedono ingenti finanziamenti da
parte dell’Italia affinché esse continuino ad attuarsi e si
inaspriscano nei prossimi mesi e anni in modo da bloccare gli arrivi
dei migranti sulle coste italiane; dal momento, inoltre, che l’Unione
europea, attraverso le sue massime cariche, si è espressa in diverse
occasioni a favore di una maggiore collaborazione con il suo Paese per
fermare le migrazioni verso l’Europa.

Facciamo presente innanzitutto a Lei, però, e per conoscenza alle e ai
rappresentati del governo italiano, alle ministre e alle altre
rappresentanti del popolo italiano che Lei incontrerà in questa
occasione, così come alle e ai rappresentanti dell’Unione europea, una
nostra ulteriore consapevolezza: quella per cui fare parte della
comunità umana, composta da donne e uomini di diverse parti del mondo,
significa condividere le condizioni di possibilità della sua esistenza.

Tra queste, la prima e fondamentale, è che ogni donna, ogni uomo, ogni
bambino, venga considerato un essere umano e rispettato/a in quanto
tale.

Finché tale condizione non verrà considerata da Lei né dalle autorità
italiane ed europee noi continueremo a contestare e a combattere le
politiche dell’Italia, della Libia e dell’Unione europea che violano
costantemente i principi che stanno alla base della sua esistenza e
fino a quel momento, quindi, non avremo alcuna voglia di incontrarla
ritenendo Lei uno dei principali e diretti responsabili delle pratiche
disumane nei confronti di una parte dell’umanità.

– Firmatarie:

Federica Sossi, Alessandra Sciurba, Isabelle Saint-Saens, Glenda Garelli, Anna Simone

Per adesioni individuali semir@libero.it

– elenco adesioni su Storie Migranti

da womenews.net

Posted in Fem/Activism, Omicidi sociali.