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Precarietà e gratuità della politica

Dal blog di Malafemmina, diario di una precaria qualunque, una sorella che racconta le sue giornate precarie, i suoi affetti precari, i suoi lavori precari, la sua vita precaria. Oggi ha raccontato la politica vista da chi vorrebbe cambiare il mondo ma non può o comunque gli è molto difficile. Per cui, come dice lei, finisce sempre che il dibattito resta chiuso tra chi lavora e ha qualche soldo e chi fa lo studente ed è comunque sostenuto dalla famiglia. A chi non è in grado neppure di autorappresentarsi, a chi usa le nuove tecnologie per accorciare le distanze e per fare politica a costi minori e nonostante tutto, quasi non spetta neppure il diritto di critica.

La precarietà è un argomento che ci accomuna tutti, proprio in questi giorni ne stiamo discutendo nella nostra mailing list a proposito dei tre giorni, gli Stati Generali della precarietà, che ci saranno a Roma dal 15 al 17 aprile, per pensare uno sciopero precario. In attesa che qualcun@ di noi faccia un report sulle tante importanti cose di cui stiamo discutendo, io condivido il post di Malafemmina (che ringrazio per avermi permesso di ripubblicare il suo post!) che mi sembra condivisibile per tantissimi aspetti. Buona lettura!

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Volevo cambiare il mondo ma sono precaria

Ieri pomeriggio sono stata alla manifestazione contro la guerra. Ebbene si, perché una precaria che fa fatica a tirare avanti, attualmente con due lavori senza prospettive, tra una cosa e l’altra deve pur trovare il tempo per compiere il proprio dovere militante.

Non importa se in piazza incontri tante persone che lavorano stabilmente, che quando gli parli di precarietà neppure capiscono cosa sia, che certe volte la politica la fanno per mestiere, che possono permettersi il lusso di andare nella capitale a manifestare perchè possono pagare il biglietto del treno sempre più caro, che possono permettersi di partecipare a meeting, incontri, momenti di riflessione collettiva, che poi significa che a dettare le parole d’ordine sono quasi sempre quelle persone che hanno più denaro e che quelle come me non hanno neppure il diritto di critica, semmai mi venisse voglia di avanzarne una.

Quelle come me sentono comunque il dovere di non rinunciare alla lotta. E quando ci si parla si tiene saldamente in alto il pugno chiuso per meglio dimostrare la buona volontà. Pazienza se quel pugno, dopo una pessima giornata faticosissima, se ne sta un po’ ripiegato a metà, come se per sostenerlo si avesse bisogno di un tutore. Ecco si, alla prossima manifestazione i manifestanti di ceto superiore dovranno recuperare delle aste da attaccare all’arto dei precari perchè davvero non ci si fa a tenerlo in alto per troppo tempo.

La precarietà è come scrivere un segno + davanti alla forza di gravità. Ti piega la schiena, ti pesa sulle palpebre, ti viene perfino il seno un po’ più basso, un gluteo cadente, tant’è che per sostenere i muscoli noi precari ci vedi in giro in bicicletta, perché siamo giovani e forti e finchè dura e non ci viene un infarto alleniamo i nostri corpi al the day after, quel giorno in cui ci vedrai in tenuta da guerriglia, a raccattare pezzi di roba usata e cibo avanzato, senza mai dimenticare di sorvegliare le carcasse di quelli che non ce l’hanno fatta, perchè gli eroi sono pur sempre eroi.

Se mi chiedi perchè mi interessa quello che avviene nel mondo ti rispondo: e che ci vuoi fare, sono affezionata. Una che non riesce mai a farsi soltanto gli affari propri. Perchè quando hai problemi ti si attiva la solidarietà a 360 gradi. Diventi ipersensibile. Anche un po’ arrabbiata. Almeno così è per me. Poi ci sono quelli che curano solo il proprio giardino e guardano ogni altro essere umano come si guarda un parassita da schiacciare.

La cosa difficile di questi tempi è trovare uno spazio per raccontare qualcosa di se’. Portare in piazza se stessi, le proprie rivendicazioni.

Chi sono io? Chi sei tu? Perchè devo fare finta di essere felice e realizzata anche quando cammino fianco a fianco a qualcuno che dice di comprendere i disagi dell’umanità?

Ma comprendi solo i disagi di quelli che stanno a diecimila chilometri da te o posso raccontarti anche i fatti miei?

Non parliamo poi del fatto che oramai è diventato un problema anche la gratuità della politica. Se vuoi uno spazio lo devi pagare. Se qualcuno lo occupa viene malmenato. Se ti dai appuntamento per strada ti denunciano per adunanza sediziosa. Così tutti ce ne dobbiamo stare a casa o siamo costretti a frequentare posti che neppure ci piacciono e se ci piacciono non abbiamo tempo di viverceli fino in fondo.

Sono andata alla manifestazione, bicicletta al traino, saluti agli amici, pugno-etto-ino per dire che si eccomi sono tanto militante anch’io, ho ricevuto la mia solita collezione di volantini di gente che ho sempre visto in piazza e che ogni anno si presenta con una sigla diversa.

Ci sono tutti i sottoinsiemi del vecchio partito comunista. Volantini di sinistra ecologia e libertà, rifondazione comunista, comunisti italiani, partito comunista dei lavoratori, proletari, marxisti/leninisti, mancano quelli di sinistra critica, c’è un anarchico, tutti, tranne l’ultimo, a contendersi la falce e il martello o il rosso della bandiera che in certi casi è frainteso con una neutra bandiera della pace.

C’è un signore anziano con un microfono che urla slogan che penso risalgano al tempo di mia nonna. Quando recita il suo rosario diventa tutto rosso. Ho il timore che esploda.

C’è il gruppo che comunemente viene chiamato dei “centri sociali”, tanti, forse tutti precari o forse no. Tanti sicuramente ancora studenti e quindi hanno più tempo e voglia di fare quello che fanno.

Un po’ li invidio perchè a me non è rimasto più neppure il tempo per dedicarmi a cose che pure mi interesserebbero. Si fa fatica a essere precarie come me o come qualche mia collega che s’è fatta pure un figlio e se lo deve mantenere senza sapere dove sbattere la testa.

Si fa una tale fatica che il tempo per se stesse, la propria vita, gli affetti, l’intimità, e poi le rivendicazioni, diventano un lusso.

Anche tenere un blog diventa un lusso e io me lo sono imposto perchè per me è un esercizio di narrazione quotidiana. Voglio guardarmi allo specchio, senza dimenticare chi sono, serve a tenere lucida la testa, se volete, come se fosse una sessione di autocoscienza. Serve a dire a me stessa che non voglio essere invisibile.

Ma la domanda che mi frulla in testa è forse banale. Io ve la giro lo stesso. Come fa l’Italia a diventare migliore, a cambiare, se tante persone precarie come me non hanno la forza, la possibilità, di lottare o se il massimo che possono fare è lottare per la propria sopravvivenza?

Domenica, 3 aprile 2011

Malafemmina, precaria

Posted in Fem/Activism, Omicidi sociali, Pensatoio, Precarietà, R-esistenze, Scritti critici.