Da Abbatto i Muri:
Per fortuna c’è Il Garantista e Angela Azzaro che raccontano un’altra storia a proposito delle misure cautelari per gli accusati di stalking. Perché stiamo parlando di accusati, in attesa di giudizio, e a me continua a sembrare grave il fatto che le donne impegnate nella lotta contro la violenza ritengano corretto adoperare la carcerazione preventiva per salvare le donne dagli abusi.
Un accusato di stalking non è un condannato e se siamo noi, le donne, che come sempre lasciamo che lo Stato sottragga diritti a tutti noi in nome delle donne, legittimando un istituto liberticida, stiamo prestando il fianco ad una modalità repressiva e ad una tendenza giustizialista e carceraria grazie alla quale si reputa colpevole qualcuno già solo dall’accusa.
Non funziona così. Un’accusa non può essere in generale il pretesto per prestare il fianco a tendenza forcaiole, perché si è innocenti fino a condanna e la presunzione di innocenza vale per chiunque. Tra l’altro trovo che questo ragionamento si presti a quella modalità istituzionale che sceglie la repressione, il duro braccio della legge, il paternalismo come soluzione, evitando accuratamente di parlare di prevenzione e di valorizzare l’esperienza delle donne in fatto di antiviolenza.
Non è la galera che tiene in vita le donne perché è già successo che smessa perfino la condanna, dopo anni di carcere, un uomo è uscito e ha massacrato la ex. Quello che serve, come giustamente scrive Angela, è semmai che si investa in prevenzione, che ci si adoperi affinché una donna che subisce violenza abbia un luogo dove andare, che sia indipendente economicamente e che l’uomo che è stato denunciato sia messo in condizione di distogliersi dalla sua ossessione, se ce l’ha, che sia messo in condizione di fare altro, di occuparsi di se’, dei propri interessi, di maturare altre prospettive, perché se non si ragiona di antiviolenza nel modo giusto, senza prestare il fianco all’emergenzialità che altro non fa che legittimare nuovi provvedimenti per autorizzare una spesa pubblica che riguarda aggeggi repressivi, vedi i braccialetti elettronici, si finisce soltanto per compiere errore dopo errore. Vi lascio alla lettura del pezzo e nel frattempo, se vi piace, pensate ai tanti compagni e alle compagne, finite in galera, con la carcerazione preventiva, per altri reati. Perché la carcerazione preventiva è un istituto brutto di per se’ e perché delegare ai tutori e alla privazione di diritti la salvezza delle donne non è una buona pratica, penso. Non lo è. Buona lettura!
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Stalker a spasso o innocenti in galera?
di Angela Azzaro (da Il Garantista)
Stalker scarcerati per decreto (come titola il Corriere della sera) o l’ennesimo uso del serissimo tema della violenza sulle donne per aumentare l’allarme sociale? Il dato di partenza è il nuovo decreto per il risarcimento dei detenuti che, tra le altre misure, prevede che <non può applicarsi la misura della custodia cautelare in carcere se il giudice ritiene che, all’esito del giudizio, la pena detentiva da eseguire non sarà superiore ai tre anni>. In questa casistica rientrano anche le accuse di stalking. Il Corriere riporta un esempio. Il giudice chiede a un imputato, a cui non può applicare la custodia cautelare, di non avvicinarsi a casa della moglie, ma quello gli risponde picche perché non sa dove andare. Il risultato è così che l’accusato di stalking deve tornare a casa di colei che molto probabilmente perseguita. Prima andava in galera, adesso può tornare in libertà, colpevole o innocente sia.
Si tratta di un caso estremo che però ci aiuta a ragionare. La domanda è infatti: l’unico modo che abbiamo di proteggere le donne è quello di mandare l’uomo in galera (in attesa di sentenza definitiva) oppure esistono altre strade che non siano quelle di una stortura del diritto? È una domanda complicata, perché come ben sappiamo ci sono in gioco le vite di tante donne. Ma proprio per questo il ragionamento va fatto.
I magistrati di Milano, da cui parte l’allarme, propongono di modificare il decreto prima che diventi legge, escludendo una serie di reati, tra cui lo stalking. Chiedono cioè di considerare quel reato qualcosa di speciale che richiede una corsia preferenziale.
La storia che abbiamo preso in prestito dal Corriere indica però anche un’altra strada: quel marito in attesa di giudizio potrebbe trovare alloggio in una casa famiglia o in una struttura specifica riservata a quel tipo di reati. O ancora, se quel marito vuole proprio tornare a casa perché si dichiara innocente e il giudizio definitivo non è ancora arrivato, si mette la moglie in condizioni di avere una nuova abitazione e, se è il caso, un lavoro che le dia reddito e la sottragga dalla dipendenza dal marito o compagno. Ma mentre sulla strada della custodia cautelare (applicata quindi su una persona che per la Costituzione è innocente) in pochi hanno dubbi, soprattutto a livello istituzionale, le altre due scelte vengono considerate pie illusioni. Eppure sono le due strade che davvero potrebbero intervenire per salvare vite umane e per tentare di cambiare la testa delle persone. Non punizione come vendetta, ma misure alternative che consentano di mettere le vite in salvo, dando anche un’opportunità di cambiare ai violenti. Questo approccio, che in altri Paesi viene perseguito, in Italia non ha spazio.
Renzi continua ad ignorare il tema delle Pari opportunità, non tanto dal punto di vista ideologico (non ci interessa qui aprire il dibattito se siano giuste o meno) ma rispetto agli obiettivi che perseguono. Tra questi ci sono i soldi ai centri antiviolenza, di cui non si vede traccia e che pure erano stati stanziati con la legge sul “femminicidio”. Quei soldi dovrebbero servire anche a questo, a creare cultura e politiche concrete contro la violenza sulle donne, senza perdere di vista lo Stato di diritto.