Da Abbatto i Muri:
Una volta non essere allineate era un valore. Ora è stigmatizzato in negativo, in funzione di una necessità di un nuovo ordine sociale, e anche alcune femministe lo chiamano “individualismo”. Il punto è che le più grandi ribellioni di cui sono a conoscenza hanno avuto inizio proprio da azioni individuali.
Allora dobbiamo scegliere. O mettiamo insieme tante libere individualità, muovendoci per affinità e ideali, mantenendo salda la nostra autonomia, con la disponibilità massima ad accettare le diversità e senza esercitare alcun autoritarismo che realizzi 5o misure di sovradeterminazione, oppure finiremo un po’ così, come ai tempi di Lenin o di Mussolini.
Parlando di azioni individuali: mi viene in mente Franca Viola, mia conterranea, che rifiutò di sposare l’uomo che l’aveva rapita e stuprata e che avrebbe voluto risolvere tutto con un matrimonio riparatore. Le donne dell’epoca, come anche quelle delle epoche successive, in quanto addette alla manutenzione del sistema patriarcale, avendone sposato e riprodotto e veicolato appieno le modalità, non le furono di certo così amiche. La sua azione individuale non sarebbe stata forse neppure possibile se non fosse stato per il fatto che suo padre, la sua famiglia, erano d’accordo con lei e la supportarono fino alla fine del processo che costò una condanna per il suo stupratore e i complici. La sua libera scelta costò a lei e alla sua famiglia moltissime minacce, intimidazioni mentre il paese, per lo più, le si rivoltava contro.
L’esposizione di una donna che rompe il clima di irregimentazione normativa, il codice di disciplinamento, in generale non ottiene grande solidarietà da parte di donne che, se necessario, fanno di tutto per privarla della possibilità di scegliere e per consegnarla, eventualmente, ad altre norme anche più costrittive. Quella di cui vi racconto è storia, dalle mie parti la conosciamo tutte, così come tutte sappiamo bene che in prima fila, a opporsi alle nostre istanze, troviamo spesso le vicine di casa, le compagne, le parenti, le donne, in generale, che obbediscono alle nostre rivendicazioni solo se la ribellione viene legittimata da un paternalismo tutelare, che si riflette nel comportamento di uomini salvatori, patriarchi, buoni, istituzioni, Stato, perché diversamente quella ribellione non trova solidarietà e viene ricacciata indietro.
Senonché all’epoca era necessario realizzare il percorso, per gradi, che fece Franca Viola, perché una donna all’epoca se voleva vivere, studiare, lavorare, sposarsi o anche no, doveva passare attraverso il consenso del padre e dello Stato, ma tante lotte sono servite a smarcarsi anche da questo meccanismo. Non devi avere per forza la famiglia solidale per dire no a qualcosa che non ti sta bene. E’ dura essere sole nelle proprie battaglie di autonomia ma la scommessa è quella di toccare, finalmente, con mano la nostra libertà. Puoi fare a meno di considerare lo Stato un tutore, oggi, e pretendere, così come prima di questi ultimi anni bui si è preteso, che le istituzioni siano uno strumento, possibile, per la tua liberazione e non quelle che ti impongono un iter e che si sostituiscono a te per disciplinare perfino la modalità attraverso la quale ti ribelli.
La prospettiva cambia così come è cambiata nella legge contro la violenza sessuale, non più un reato contro la morale ma contro la persona perché sono io, persona, che decido per me, per il mio corpo, per quel che mi succede. Perché quando si interpretano in senso positivo o negativo gli esempi di ribellione bisogna contestualizzarli e leggerne la capacità rivoluzionaria. I sistemi di oppressione cambiano con il tempo. Quelle che ieri potevamo considerare complici potrebbero semplicemente non seguirci nella strada che abbiamo scelto per la nostra liberazione. Potrebbero semplicemente essere rimaste ferme a quella idea di Stato, a quello schema in cui per legittimare una nostra azione ribelle individuale hanno bisogno di inserirla in un meccanismo di irregimentazione, normalizzazione. Hanno bisogno, ancora, di sentirsi tutelate da una idea di mondo divisa tra patriarchi cattivi e quelli buoni che altro non sognano se non di poter assecondare o impedire le nostre scelte a seconda se le preferiscono o no.
Esiste ancora, purtroppo, un femminismo completamente schiacciato su quella visione delle cose, che non tollera che le donne possano manifestarsi in senso autonomo e sono quelle che rivendicano separatismo solo per parlare di quote rosa, vittimizzandosi, sovradeterminando e vittimizzando le altre, dunque solo in quel caso immaginano che le donne debbano presentarsi compatte, in squadra, per cercare di ottenere qualcosa in più da quei patriarchi che pure continuano a legittimare in tutto e per tutto.
L’azione individuale delle donne è quella che ti mette nella condizione di pensare che non te ne frega nulla di nessuno, non hai bisogno di autorizzazioni, non hai bisogno della legittimazione del branco e non ti serve certo l’aiuto di un patriarca, per quanto buono, per riuscire a raggiungere i tuoi obiettivi. Soggetti, invece che oggetti, a partire dalle proprie rivendicazioni, e non le invisibili che vengono addestrate in termini accademici e alle quali si regalano cinque minuti di spazio nella conferenza della grande madre solo se la pensi esattamente come lei. Il femminismo è molto più che questo. E’ libertà. E’ consapevolezza del fatto che l’indipendenza ha un costo e costa tanto. Se siamo qui a dire alle donne “non siate indipendenti perché potrebbe costarvi” questo non è femminismo: è matriarcato oppressivo e della peggiore specie, che si sostituisce al patriarcato nell’amputare speranze e l’ambizione di poter, un giorno, fare da se’.
La lotta passa sempre da un gesto di rottura, di ribellione, individuale. Poi diventa collettivo. Solo poi. Non può il femminismo, oggi, dire che l’azione individuale deve essere autorizzata, sezionata, limitata, da un comitato centrale che determina quel che deve essere la tua rivendicazione. E’ un controsenso. E’ backlash gender. E’ un regresso. E a questo regresso culturale mi ribello e ci ribelliamo in tante. Questo è.
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