Non vedo Barbara dai tempi della Flat – tavoli femministi e lesbici di Roma e Bologna – in cui ci siamo dette un po’ di cose dopo il successo della manifestazione contro la violenza sulle donne del 2007 organizzata da una moltitudine di anime sparse in giro per l’Italia chiamate Sommosse. Da giornalista ha attraversato Genova del 2001 da un’altra prospettiva. Lei aveva partecipato al pre/socialforum con il Punto G e stava con Carta e io avevo fatto un percorso tra mediattivismi in giro per l’Italia e stavo con Indymedia e L’Ora. Ci siamo mancate di un soffio, presumo, in tante occasioni, come succede spesso nel mondo militante italico, dove gira che ti rigira a fare le cose, comunque, sono quasi sempre le stesse persone. Risorse intellettuali, attivismi che si mettono in rete, poi si sciolgono, poi trovano altri modi per rimettersi in rete.
Questo succede in generale e lei ha fatto il suo percorso, vissuto le esperienze romane, poi quelle dell’Aquila post terremoto, assieme a lei tante compagne che da anni si spendono in alcune direzioni portandosi dietro la difficoltà di agire in una metropoli complicatissima, dove anche i movimenti sono attraversati da masse eterogenee, con la presenza ingombrante di machismi centrosocialisti e ambiti che necessitavano una presa di distanza, per compiere un percorso autonomo, più femminista e lesbico, più queer. Complesso è per chi non ci sta dentro capire le dinamiche della capitale, complesso per chi vive di affinità politiche messe in comune in contesti misti.
La prima cosa che mi racconta su Skype è della sua nuova avventura con l’apicoltura. Mi svela un mondo che non conosco. D’altronde io e le api non andiamo proprio d’accordo. Racconta con passione ed entusiasmo della sorpresa di certuni nel vedere tante donne che si avvicinano a quell’interesse e io la immagino a coltivare una relazione paziente con chi potrebbe perfino pungerla. Difficile da fare se non le somigli. Ha questa sua particolare caratteristica, Barbara Bonomi Romagnoli, che è quella di ragionare quieta con persone diversissime tra loro e le contiene tutte, pressappoco, nel suo libro Irriverenti e Libere – Femminismi nel nuovo millennio, della Editori Internazionali Riuniti, che presenta assieme ad altre compagne di avventura oggi pomeriggio presso la Casa Internazionale delle Donne, e lì documenta in modo chiaro e leggibile tanti anni di storia di femminismi che lei ha attraversato, vissuto, partecipato, visto da vicino.
E’ un testo a suo modo prezioso perché comprensibile anche per chi non c’era, perché per nulla accademico nell’approccio e nell’esposizione, perché è una elaborazione anche intima che immagino deve esserle costata perché libera da scazzi, umori, negatività che comunque non sono cose estranee ai movimenti. C’è lo sforzo di contenere diverse visioni, incluse quelle che lei trova anche un po’ più distanti da lei e in questo le va riconosciuto in assoluto il fatto che con questo libro spiega anche, certo, il suo posizionamento, ma lo problematizza, lo inserisce all’interno di una dialettica faticosissima, tra mille diversità, e comunque sempre tesa a rivendicare il diritto di dirsi femministe.
E’ un testo anche liberatorio, per certi versi, nel senso proprio di “liberare” le idee espresse da tante, costrette, come sono, da trappole concettuali e dinamiche viziate, a soccombere, a diventare invisibili. Pulito, schietto, efficace, ti mette lì di fronte all’esistenza di pezzi di movimento e dice lei, lei, lei, lei… vedi… lei c’è… prendine atto. E tu ne prendi atto. Lei c’è e c’è quell’altra e c’è quel gruppo e quell’altro ancora e trovo che mettere assieme pratiche e soggetti diversi sia in questo momento anche parecchio coraggioso. Lo è perché, come scrivo spesso, trovo che negli ultimi anni, e per alcune tanto si è reso evidente anche nelle esperienze del FemBlogCamp, si siano realizzate delle rigidità su argomenti che dovrebbero essere trattati con rispetto innanzitutto delle soggettività che su essi producono rivendicazioni. Uno tra tutti è la questione della prostituzione e Barbara apre il suo libro facendo proprio parlare le lucciole, le sex workers, Pia Covre, e poi, a seguire, tra i vari capitoli, scopri di altre che invece intendono la prostituzione in senso abolizionista.
E’ Barbara che abbatte i muri e ci obbliga a guardarci negli occhi affinché si riparta dal patrimonio enorme che tutte insieme abbiamo comunque restituito ad altre e si ragioni in termini di riconoscimento reciproco, a prescindere dalle diversità. Perciò il suo libro è un buon momento per riflettere, anche, rispetto al fatto che, come lei stessa dice, la sua narrazione è un punto di inizio, non intende mettere la parole fine a nulla, non ci sono conclusioni ma è un racconto destinato ad essere arricchito di tutto ciò che Barbara non ha visto e vissuto e altre, spero, racconteranno, e di quello che ancora ha da venire.
Ho letto le sue pagine un po’ a pugni stretti e poi riconciliandomi con il libro, perché quello di cui parla è sudore, sangue, carne viva, notti spese a studiare, ragionare, regalare generosamente energia, intelligenza, strumenti di lettura del presente, analisi, segreti, personale/politico, la costruzione di reti, una, due, cento, mille, che si intersecano, si incontrano, si separano, comunque esistono. Se vivi il femminismo con furioso amore come lo vivo io non puoi non trovare in quelle pagine, qualunque sia la prospettiva da cui parti, anche il senso di quello che stai facendo.
Nel libro c’è anche tanta storia che negli anni è stata volutamente persa, dimenticata, negata. Tante le pratiche vissute, rivendicate e raccontate, cogliendo la differenza inevitabile che riguarda quelle identità femministe contaminate e contaminanti di culture ampie respirate a distanza anche grazie ai nuovi strumenti di comunicazione che la tecnologia mette a disposizione. Ora sono io che inserisco il tono provocatorio perché è la mia cifra e non quella di Barbara: nel libro dunque c’è un pezzo di storia diffusa tra mille mailing list, blog, siti autogestiti non mainstream, altrimenti persa, negata, dimenticata perché qualcun@ ad un certo punto arrivò dicendo che prima del 2011 non c’era niente. Il libro racconta come quel “niente” sia fatto di Lucciole, Punto G, Sexyshock, disobbedienti, le precarie, le ribelli (galline), quell* di Facciamo Breccia, le cyberfemministe, le sommosse, le ladyfest, le sconfinate, le eretiche, le transfemministe, le terremutate, le ecofemministe, le postporno, le dumbles, le scioperanti, le cagne sciolte, le native e le migranti, le womenareurope.
Chi come me arriva da una storia di mediattivismo in cui è sostanziale condividere saperi e non delegare ad altre persone la scrittura del proprio percorso, cosa che coincide con quel femminismo che racconta di autodeterminazione, libertà di scelta, a prescindere da dove provi a dirigerti, non può non apprezzare questo libro che a me sembra un Irriverenti e Libere 1.0 da restituire in open source a chiunque abbia voglia di integrarlo, aggiornarlo, considerarlo un bene collettivo. Così mi permetto di suggerire a Barbara di inventarsi una sezione del suo sito in cui recensire o ricevere contributi di altre mille storie, documentate, che potrebbero nel tempo diventare un archivio – anche digitale – per dare valore alla memoria. La nostra memoria. Perciò a lei un grazie per avercene restituita un pezzo. A tutte noi una buona lettura, un buon lavoro e una buona lotta.
[Post pubblicato anche su Abbatto i Muri]