Da Abbatto i Muri:
Cosa speravi di trovare nel femminismo tu che sei una di periferia? – mi disse un’amica che ben sapeva quanto grande fosse l’amarezza, la disillusione, la tristezza.
Cosa speravo di trovare io, femminista di periferia, nel tentativo di de-colonizzarmi e trovare parole e pensieri per esprimere il mio punto di vista? Speravo di trovare casa, calore, accettazione della diversità, libertà, riconoscimento, generosità, coerenza. Speravo di trovare anche contraddizioni, umanità, imperfezione, giammai santità e dunque la possibilità di esprimersi in modo disallineato, senza dover aderire a logiche precise e senza partecipare a dinamiche di branco.
Che a capo del branco ci sia un uomo e una donna alla fine cosa cambia? Niente. Non cambia niente. Funziona tutto allo stesso, identico modo.
Cosa speravo di trovare io, femminista a margine, in un contesto spesso fatto di benestanti pensionate, stipendiate, donne cresciute all’ombra di un partito, signore che si autopubblicano un tot di libri e poi scrivono la propria biografia (modeste!) su wikipedia come se le conoscesse qualcuno. Cosa speravo di trovare io tra donne che a volte ho trovato geniali e altre volte depresse, disancorate dalla realtà, a parlarti di fumo mentre tu hai la precarietà che ti brucia il culo, a raccontarti come sia dannoso un manifesto pubblicitario mentre tu ti chiedi quanto avrà guadagnato la modella, a dirti che alcuni mestieri sono poco dignitosi per le donne mentre tu ricordi tutte le volte che hai indossato una minigonna e hai mostrato il corpo per campare.
Cosa speravo di trovare io, femminista di periferia, tra quelle che mi chiedono di impegnarmi per chiedere la censura di questo e quello, per promuovere leggi che servono a loro, donne bianche, moraliste, borghesi, possibilmente con la colf straniera alle loro dipendenze, a volte candidate di partiti maggioritari e perciò a impormi le quote rosa come prioritarie, io che ancora ho da capire come fare a non essere invisibilizzata da donne differenti per classe, ceto, identità politica e livelli di consapevolezza. Cosa speravo di trovare tra donne che piegano le lotte femministe agli interessi di partito e poi le svuotano di contenuto e finisce che da donna libertaria quale sono mi obbligano a diventare una specie di fascista che vuole più galera per chiunque o che ragiona per securitarismi e infine immagina che le donne siano sempre brave e buone a prescindere. Si, certo. Come no.
Cosa speravo di trovare io tra quelle che piazzano un copyright sui saperi, tra l’altro rubati, perché non c’è sapere femminista che non sia stato pronunciato, elaborato, condiviso in precedenza e piazzare un copyright su ogni ragionamento che ne deriva, tra l’altro, spesso, senza citare la fonte, è un furto ed è un’offesa anche a chi come me regala analisi, strumenti di lettura, pensieri e parole per poi beccarsi insulti e disconoscimenti da chi pensa che vali meno perché non hai un prezzo in copertina e perché, per l’appunto, non hai rubato i pensieri altrui ma a quei pensieri open source hai sommato altro di modo che qualcuno poi, potrà fare lo stesso.
Cosa speravo di trovare tra donne che non hanno ben presente il senso della loro parzialità, finitezza, di quelle che ritengono di essere antisessiste e poi per insultarti si riferiscono alla tua età o al tuo aspetto, livorose, invidiose, gelose, che non sono in grado di uscire dall’ombra di uomini e partiti e quando si presentano al mondo fanno branco e in branco immaginano di poter dare a bere al mondo che demonizzare chi non gli somiglia sia un martirio.
Speravo di trovare anche risposte rivoluzionarie e di rivoluzionario ho invece trovato il fatto che ho scoperto che parte del branco di genere è lì a mortificare ogni sforzo di diversità perché l’interesse è a marginalizzare, ancora, chi denuncia l’appropriazione culturale da parte di donne che hanno tutto l’interesse ad anestetizzare e invisibilizzare le differenze di razza, classe, identità politica affinché il mondo pensi quanto loro, bianche, neocolonialiste, borghesi, siano rappresentative e liberatrici di migranti, povere, violentate e femministe di periferia come me.
Speravo di trovare indipendenza, autonomia di pensiero e invece trovo livelli di rimozione volontaria e atroce su quelle che sono le responsabilità di Stato in ogni esempio di violenza che lo Stato compie. E’ un trucco. Una barriera, infine, un muro, che io abbatto, per poi trovare il femminismo che mi piace di più ed è quello che mi corrisponde, fatto di generosità reale, di reti dal basso e consapevolezza e lotta collettiva. Di pratiche e proposte che si realizzano tramite reti di affinità con chiunque: uomini, donne, gay, lesbiche, trans, precarie, sex workers, migranti, che lottano, insieme, contro sistemi repressivi e carcerari che queste donne con la C cerchiata usano come minaccia a volte anche per fare tacere chi dissente.
Speravo di trovare un’idea di mondo bella e alla fine l’ho trovata. Decisamente altrove, in contesti non filo/istituzionali, lontana da borghesi e loro gregarie, da meschinerie e frustrazioni di singole irrealizzate strapiene di contraddizioni, che non hanno nulla da fare tutto il giorno e che – invece che ragionar di idee – non fanno che sputare veleno su qualcun@ da mattina a sera dall’alto dei loro miseri scranni sul web. Perché è anche vero che il femminismo è autocoscienza, terapia collettiva, ma il partire da se’ è fondamentale. Significa che non passi il tempo a sputare merda sull’altra che non ti somiglia. Piuttosto mi racconti di te. Se non lo fai, evidentemente, ci sarà un motivo. E allora respingo il trucco. Lo respingo. E mi riprendo il femminismo, la dignità della mia lotta da precaria di periferia che va in giro in copyleft e mette a disposizione risorse, pensieri e parole per chiunque ne abbia bisogno. Perché femminismo è anche condivisione e non appropriazione. Femminismo è dialettica, eterna ricerca, studi di genere che non hanno nulla di immobile e dogmatico, accettazione della diversità, riconoscimento dei soggetti invece che sovradeterminazione. E’ pensiero libertario invece che censorio. E’ vita e non veleno.
C’erano una volta alcune femministe italiote che nel tempo censurarono pensieri e libri e identità diverse affinché un pensiero unico fosse imposto. Poi arrivò il web e quelle femministe ancora lì a contemplare i propri libri autopubblicati (che nulla hanno a che fare con le dignitose autoproduzioni in copyleft) non seppero fare altro che rosicare perché qualcun’altra parlava senza chiedere il permesso. Rosicavano e combattevano, rendendo chiaro quali fossero i loro reali nemici. Non i potenti, i ricchi, gli schiavisti, ma quelle povere e precarie autodeterminate che si autorappresentano, prendono voce e parlano sfidando la loro coloniale aspirazione all’egemonia. Quelle femministe scoprirono facebook, perché del web sanno talvolta usare solo quello, e allora immaginarono che da lì potesse ricominciare la loro gloria.
‘Ste femministe però, appunto, non sanno neanche che il mondo è bello grande e i dibattiti femministi sono globali. Quando tu racconti una cosa che fa parte di un ragionamento fatto mille volte altrove te la imputano come fosse una bestemmia. Sono provinciali, mediocri e anche ignoranti. Strette nei loro fanatismi a immaginare che il mondo ruoti attorno al loro minuscolo ombelico e che i dibattiti femministi siano rimasti fermi all’epoca delle Frattocchie.
Cosa speravo dal femminismo io, femminista di periferia? Che almeno alcune delle donne incontrate avessero senso pieno del fatto che siamo soltanto minuscoli frammenti nel mondo e che l’ascolto è una cosa fondamentale da realizzare. Ascolto, senza giudicare. Ascolto, senza censurare. Invece l’Italia è immobile, votata al perbenismo e pure tante femministe sono così perbene al punto che quando arrivò fikasicula le dissero che era roba sconcia e poi a mostrare il corpo dicono che serve un minimo di sobrietà e mentre pensi che a parlare sia il presidente della repubblica invece che quelle che fingono d’essere streghe, tu diventi Eretica, per necessità. Non hai davvero altra scelta. Non ne hai nessuna.
Speravo d’essere io, da femminista di periferia, a non dovermi più sorbire ancora le lezioni di bon ton da parte delle signore di partito del nord che venivano a colonizzare noi povere femministe del sud e per quanto abbiano provato infine non hanno avuto la mia pelle. E sono sempre io, testarda, imperfetta, meridionale, conscia della mia parzialità, a liberare saperi e a ridere del mondo che c’è e che verrà. Eretica.
Ps: tutto questo è amore. Per quelle donne splendide, straordinarie, generose, con cui faccio rete ogni giorno e che mi regalano e prendono culture femministe senza che mai si metta in discussione la bellezza che dalle relazioni in libera condivisione viene fuori.