Il Teatro Pinelli Occupato è una meraviglia fatta da gente preziosa che fa cose altrettanto preziose. Potete vedere voi stess*: è questa cosa QUI. Sgomberarlo significa derubare Messina di una della rare proposte culturali indipendenti che esistono. Questa la nota che compagni e compagne hanno condiviso e che potete leggere in basso. Solidarietà e buona lotta anche a loro!
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All’indomani dello sgombero del 19 gennaio scorso ai danni del “Teatro Pinelli Occupato” presso l’ex casa del Portuale e al successivo intervento del 31 gennaio da parte delle forze dell’ordine che hanno di fatto murato gli ingressi dello stabile di Via Alessio Valore, mascherando tale operazione come “intervento di messa in sicurezza”, il Teatro Pinelli Occupato intende riaprire il dibattito in merito ad una serie di questioni.
In primis il riaffidamento della struttura al rag. Placido Matasso, commissario liquidatore dei beni contenuti all’interno dello stabile (e non titolare della proprietà della struttura) ovvero alla stessa persona che per anni ha lasciato completamente abbandonata la struttura stessa facendola marcire nell’incuria più totale.
La proprietà dello stabile è, a oggi, oggetto di un contenzioso tra il Comune di Messina e la Regione Siciliana, ma in ogni caso pubblica, per cui lo stabile stesso è da considerarsi inalienabile.A tal proposito il Teatro Pinelli Occupato rimarca la contraddizione secondo cui da una parte l’amministrazione comunale approva la delibera sull’autogestione dei beni Comuni e dall’altra non prende una posizione ufficiale in merito allo sgombero dell’unica realtà cittadina in cui tali pratiche sono state sperimentate.
Prendiamo atto delle dichiarazioni di solidarietà rilasciate dal Sindaco, nella conferenza stampa durante l’occupazione temporanea del Teatro Vittorio Emanuele in seguito allo sgombero, nelle quali viene esplicitato che non sempre pratiche illegali debbano considerarsi illegittime. Allo stesso tempo non possiamo esimerci dal notare che, contemporaneamente alle presunte intenzioni dichiarate dalla Delibera, il Comune presenta un piano di dismissione di beni “comuni”.Ciò risulta incomprensibile perché, se da una parte si lavora alla stesura di delibere sulla gestione degli usi civici che regolamentino dei posti appartenenti alla collettività, dall’altra si progetterebbe la svendita di una parte consistente dei luoghi su cui tale regolamento dovrebbe essere applicato.
Preveniamo le obiezioni: il Comune è sull’orlo del default, si tratta di compiere necessitati sacrifici per far quadrare i bilanci, evitare contraccolpi sociali peggiori, essere attenti ad equilibri complessi che forse, dal nostro peculiare angolo di osservazione, non sappiamo riconoscere. Ma è davvero così? Qual è la posta in gioco illuminata dalle nostre pratiche e dalle nostre lotte?L’idea, incarnata con umile approssimazione ed inarrestabile tenacia, è che alla crisi di un modello sociale imperniato sui profitti di pochi e sui sacrifici di tanti, sulla speculazione dei priva(n)ti e sulle diserzioni del Pubblico, si può e si deve opporre la capacità di far nascere e vivere luoghi e spazi Comuni, aperti in concreto alla ricchezza dei saperi e dei sapori che possano evocare un’altra modalità dell’organizzazione sociale. Non è vero che c’è una strada sola da percorrere provando a non farsi stritolare dalle compatibilità imposte dai paradigmi economici che ci hanno fin qui portato sull’orlo del baratro. Non ha vinto forse le elezioni proprio Renato Accorinti, sbaragliando le vecchie classi dirigenti, sulla spinta di una domanda immanente di giustizia che è inconciliabile con una lettura della crisi incapace di discostarsi dal discorso dominante? Non dovrebbe quindi riuscire a trovare il modo per far quadrare i conti senza compromettere il destino di un’intera comunità?
Il Teatro Pinelli Occupato va collocato dentro questa cornice: perché è stato e continuerà ad essere un’esperienza partecipata e febbrile di autogestione orizzontale (contro la sterile funzionalità dei modelli gerarchici) in grado di convocare le forme molteplici della ricchezza sociale, liberandola dagli argini violenti che la trattengono. Per farlo, per essere all’altezza di questo proposito, il Teatro Pinelli Occupato ha dovuto forzare la legalità costituita, spingere le sue pratiche costituenti oltre le recinzioni che blindano un assetto sociale spesso considerato immodificabile persino da chi ne subisce quotidianamente le conseguenze. Lo ha dovuto fare praticando la rianimazione forzata, tramite l’appropriazione diretta, di quel che indirettamente – nel silenzio, sottotraccia, col consenso di chi non si ribella – le Istituzioni vigenti lasciano morire. Così è stato col Teatro in Fiera –tuttora murato- e con l’Irrera a Mare (tuttora privatizzato dall’Autorità portuale) e così continua ad essere con la “murata” dell’ex casa del portuale.
Con questo spirito riteniamo utile contribuire al forum proposto dalla delibera per la costituzione di un laboratorio sugli usi civici, consapevoli che questo segna un passo in avanti, ma altrettanto consci che ancora molto si deve fare, a partire dall’esperienza reale che il “Pinelli” rappresenta. Fino a quando un’esperienza di restituzione dal basso, autogestione degli spazi, auto recupero del territorio, autocostruzione di strutture utili a generare forme di espressione culturale vengono considerate tematiche inerenti solo al piano giuridico vigente, siamo ben lontani da quelle forzature del diritto che sono alla base del composito movimento per i beni comuni.
La stessa storia del diritto ci insegna che questo non può essere immutabile, ma deve, suo malgrado, adeguarsi alle trasformazioni sociali. Ci domandiamo se la stessa delibera sul regolamento di usi civici sarebbe esistita senza l’esperienza concreta del Teatro Pinelli.
Proponiamo, quindi, a breve un tavolo di riflessione a Messina che coinvolga tutti i soggetti attivi sul piano nazionale sulla questione dei beni comuni, per definire i nuovi orizzonti sul tema e aprire una reale fase di sperimentazione in città che possa incidere su una drastica inversione di rotta sul piano di dismissione di strutture pubbliche. A titolo esemplificativo il caso dei magazzini generali, ristrutturati per essere utilizzati per fini sociali ed allo stesso tempo compresi nel piano di dismissione del Comune.
Il Teatro Pinelli è un fiume in piena che non può essere fermato con uno sgombero o con dei muri, ma che ha già dimostrato di essere fluido eflexuoso e dunque, per sua stessa natura, non potrà che animare le prossime settimane con l’invasività della sua fantasia.