Da Abbatto i Muri:
O dal piedistallo. O dal balcone, a seconda dei casi. Perciò sono restii a farlo.
Avevo scritto questo post commentandone un altro. Avevo fatto un errore: in realtà l’autore del pezzo che commentavo aveva parlato di se’ e questa cosa devo dire che me lo fa piacere molto di più. Pur tuttavia le critiche fatte ad un certo paternalismo, che esiste, restano perché troppa oggi è la tentazione da parte di un certo femminismo istituzional/borghese di legittimare paternalismi e forme “buone” di patriarcato e troppi sono i paternalisti che non attendono altro che l’opportunità per fare delle donne, delle stesse femministe, strumenti buoni per realizzare il proprio progetto sociale, un progetto che adopera le donne considerandole soltanto “vittime”, disconoscendole come soggetti, non rispettandone mai la libertà di scelta. Paternalisti sono i provvedimenti sollecitati dai femminismi istituzional/borghesi in Italia e Francia. Lo è il provvedimento contro il femminicidio, che si sostituisce alle donne vietando la revoca della querela, e lo è anche quello sulla prostituzione in Francia discusso e promosso nonostante le durissime critiche e l’opposizione netta da parte dei/delle sex workers. Paternalista e ugualmente neofondamentalista è il provvedimento spagnolo contro l’aborto, perché il tema è sempre lo stesso: esiste chi sulla nostra pelle realizza biopolitica e sui nostri corpi legifera, pone divieti, in nome di un bene superiore da tutelare.
Noi lo sappiamo: la libertà di scelta si paga a caro prezzo perché ci vede sole, spesso, a individuare strade, percorsi, che non devono limitare altri soggetti ma devono garantire a noi la possibilità di esercitarla. Di limitazione alla libertà di scelta si soffre, si può perfino morire, socialmente, economicamente, politicamente, fisicamente. Ed è ridicolo pensare di restituire la via per la “salvezza” dei soggetti limitati nell’esercizio della propria autodeterminazione a chi quell’autodeterminazione la limita “per il tuo bene“. Dunque è quel genere di paternalismo, il patriarcato buono, che certi femminismi hanno sollecitato e ampiamente legittimato, all’insegna di un vuoto “devono parlare gli uomini“. Indovinate un po’: ci sono uomini che quando “parlano” non smettono mai di parlare di noi, di quello che dovrebbero fare le donne, le femministe “per il nostro bene“.
Le stesse campagne antiviolenza in cui sono chiamati uomini come testimonial per raccontare la divisione tra buoni e cattivi fanno marketing solleticando l’ego dei paternalisti piuttosto che sostenere l’autostima dei soggetti di cui si parla solo in quanto oggetti/vittime incapaci di intendere e volere.
E dunque: “Tanta campagna promozionale per solleticare l’ego di scrittori, intellettuali, gente anonima, perfino sessista, che fino a qualche tempo fa non aveva un cazzo da scrivere, e improvvisamente risplendono di luce riflessa abbracciando la causa della salvaguardia del corpodelledonne, che per dimostrarci quanto sono fighi e meritevoli della nostra stima innanzitutto ci indicano la via e poi ci indicano, a noi, come se non sapessimo individuarli, i “maschi” immeritevoli di confidenza autoeleggendosi a stimabilissimi protettori e tutori. E mentre loro si esercitano in questo scontro testosteronico a chi ce l’ha più lungo noi siamo qui, ancora, a immaginare di volerli mandare a quel paese. Entrambi. (…)
Quello che manca, invece, è una narrazione personale, e non spetterebbe a me chiederlo perché io sono troppo rispettosa della loro autodeterminazione, ma dato che continuano a parlare di me, di noi, personalmente sarei lieta di conoscere i motivi che li spingono a tale interesse, la loro storia, i loro sentimenti, ché la tendenza dell’espressione impersonale, universalizzante e non incline all’autocoscienza messa pubblicamente in condivisione è quella di narrare una visione delle cose che generalizza e finisce per normare, legittimare altri stereotipi, incastrarci tutti quanti in segmenti e paradigmi che in realtà vanno abbattuti, sciolti, eliminati tutti quanti. (…)
E’ comodo ed è origine di grandi storture immaginare che le donne con le quali a volte dialoghi siano semplicemente quelle che ti confessano lividi, tragedie, debolezze, mai forza o autonomia, mentre tu, uomo, non hai il coraggio di raccontare quali sono le tue fragilità e rivendicazioni autodeterminate. Perché da quel che leggo anzi disapprovi una tale sovraesposizione ed emerge il fatto che quando un uomo si racconta, a modo proprio, giusto o sbagliato che sia, ma almeno fa un tentativo, allora è bocciato all’origine, e dunque eccolo il monito: tu maschio non devi piangere in pubblico, perché se piangi non sei un maschio vero e l’uomo vero è quello che innanzitutto asciuga le lacrime delle donne e poi ci scrive sopra un tomo di mille pagine per dimostrare che esistono gli uomini buoni.”
Nella discussione in corso perciò “io vedo una assenza. Non c’è un pezzo di storia. A me serve capire dove stanno le rivendicazioni di tanti uomini. Potete bestemmiarle, dirle in forme per me incomprensibili e inusuali ma vorrei ascoltare qualcosa di vostro che non rifletta comunque quella stessa cultura sessista in cui l’uomo ha da essere soltanto salvatore, tutore, protettore.”
Quell’assenza per me ha una ragione precisa. Quando gli uomini parlano tra loro, sfuggendo alla narrazione personale, per codardia, perché sovraesporsi alle critiche significa abbassarsi al livello di semplici umani tra gli umani, significa scendere dal pulpito e adoperare atteggiamento paritario e non paternalista nelle discussioni, quando dunque uomini parlano tra loro, anche in pubblico, su quello che le femministe dovrebbero fare per il bene delle “donne”, la cosa migliore, piuttosto che gioirne e immaginare che un patriarcato buono sia meglio che quello cattivo, è quella di fare le #cagnesciolte e cercare la propria via rivendicativa, di lotta, a partire da se’, senza che nessun uomo o nessuna donna filo/paternalista con atteggiamento dogmatico possano dire a te quello che devi fare. Autodeterminazione sempre. Paternalismi e patriarcati buoni travestiti da femminismi, gli stessi che temono come la peste chi dice #IoMiSalvoDaSola, invece, mai.
Per quello che mi riguarda, io parlo con tutti gli uomini che mi parlano di se’, e per fortuna ce ne sono tanti, con quelli che non hanno il timore di dimostrare la propria fragilità in pubblico, quelli che non si ergono su supponenti pulpiti di presunta obiettività immaginando che ogni mio pensiero, ogni mio ragionamento sia inferiore e soprattutto, con chi non ha timore alcuno a espormi un conflitto mettendosi alla pari, senza disconoscermi mai come soggetto, come identità a se stante che ha diritto ad avere voce e capacità di autorappresentanza senza che nessun@ mai debba parlare al posto mio.
Concludo, traendo spunto da questo post: Malcolm X incitava i bianchi a farsi da parte nella lotta dei neri perché i neri dovevano essere il soggetto sociale della propria liberazione e non l’oggetto di un riconoscimento o peggio di una tolleranza. Se i bianchi volevano, in quella fase, rendersi utili alla causa, potevano parlare con gli altri bianchi della segregazione, diffondere lì le tesi antirazziste, senza provare a calare dall’alto l’ennesima lezione. Il punto è che chi ha avuto ruolo privilegiato, per varie ragioni storiche, economiche, sociali, culturali, se non diserta quel ruolo, se non assume posa umana tra gli umani, giacché diversamente può anche vestire in taluni casi i panni dell’oppressore, scade spesso nella tentazione di realizzare sovradeterminazione e paternalismo ed è intollerabile vederl@ mentre “insegna” al soggetto oppresso come liberarsi. Vi ricorda niente? I ricchi, borghesi, che si sostituiscono alla voce dei e delle precarie, etero che sovradeterminano le scelte di persone lgbtq, paternalisti e patriarchi che sovradeterminano le scelte delle donne, donne bianche, classiste, moraliste, neocolonialiste, borghesi che impongono alle precarie, alle migranti, alle sex workers, la propria morale…
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