Da Abbatto i Muri:
Daniele è il primo uomo, per il 2013, ucciso per cultura del possesso, perché non intendeva esaudire le richieste di un altro uomo che da lui voleva “sesso” o “rapporto stabile” a seconda del media che ne dà notizia.
Finché non si è saputo chi fosse l’autore del delitto si è parlato di omofobia e dunque l’orientamento sessuale di Daniele è diventato alibi per un equivoco che in parte, certo, racconta di una possibilità più che certa, giacché se fosse stato vittima di stampo omofobico non sarebbe stato né il primo e neppure l’ultimo, e in parte non chiarisce che la violenza che segue un “no”, un rifiuto, un atto di libertà, la libertà di decidere se vuoi stare con una persona oppure no, è pratica che prescinde dall’identità e orientamento della vittima.
Di cultura del possesso lo scorso anno è morta una donna vittima della sua ex compagna, di un’altra si sa che fu accoltellata perché voleva lasciarla, e lì si ragionò di una violenza sommersa nelle coppie lesbiche che le stesse compagne e sorelle lesbiche hanno assolutamente bisogno di raccontare per costruire e trovare anche luoghi di supporto e ascolto.
In questo caso si fosse trattato di una donna vittima di un uomo che non accettava un rifiuto avremmo parlato di femminicidio che è un termine comodo, a volte, perché rifugio di posizioni omo/transfobiche e perciò esclude dall’analisi che riguarda la violenza di genere, quando è spinta da cultura del possesso, persone, gay, lesbiche, trans, uomini, che possono certo esserne vittime.
Dunque Daniele è vittima come lo è stata la donna uccisa perché ha detto no, e questa continua classificazione del suo orientamento sessuale crea non pochi equivoci e fraintendimenti, spesso voluti.
Una cosa è parlare di Daniele come di un gay orgoglioso che rivendicava la sua soggettività e che certo poteva essere vittima di un delitto di stampo omofobico, un’altra è continuare a intrappolarlo nello schema del gay che fa sesso con il tossico, dunque inserito in un contesto sporco dal quale altro non potrebbe derivare che violenza, come se di violenza relazionale in caso contrario non ce n’è, o fingere solidarietà pelosa per il gay, pubblicare pezzi su quotidiani che fingono antiomofobia e poi classificarlo come “parrucchiere omosessuale” che non si capisce che qualifica sia.
Di tutta questa storia, mi permetto di dire, con tutto il rispetto per gli amici, conoscenti, le persone care che avevano a cuore Daniele, e che certo hanno tutto il diritto di raccontare la propria verità e il proprio affetto, con estrema umiltà dico che ho capito alcune cose: in un modo o nell’altro di quest’uomo si sono processate le abitudini, non si è persa l’occasione di fare moralismo d’accatto sulla pelle di una vittima (della serie: se l’è voluta!) e poi non si è persa l’occasione di relegarlo in una sfera a se stante, quella del diverso, addirittura inventando il titolo di “parrucchiere omosessuale” che immagino, a partire dall’Unità, realizzerà pettinature frosce, no?
L’omofobia non so dunque se c’è stata in quel delitto, ma sicuramente c’era in molti articoli che mentre parlavano di Daniele fingendo sensibilità e solidarietà infine riproponevano stereotipi terribili che certo non fanno bene a nessuno.
Ciao Daniele. Scusaci. Scusali.
E un abbraccio a chi ti voleva bene.
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