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#Catania: arriva la “polizia” che ci “salva” dai manifesti sessisti!

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[Berlino, la polizia che misurava la lunghezza delle gonne, nel ventennio fascista]

Da Abbatto i Muri:

A Catania, così leggo, “un gruppo interforze, composto da dipendenti provinciali e polizia, deciderà se rimuovere alcune pubblicità presenti sulle strade provinciali e segnalate ai cittadini.” La censura sarebbe motivata dal solito equivoco caldeggiato da nuovi patriarchi e femminismi moralisti per cui invece che per la libertà, propria e quella altrui, le donne dovrebbero lottare in nome di un non meglio definito rispetto per la propria “dignità”. Tra l’altro si associano le donne ai bambini e continuando a metterci sullo stesso piano non fanno che raccontare che le donne sono minori, minorate, incapaci di intendere e volere.

Catania, città in cui fatichi a trovare un consultorio o un ospedale dove puoi interrompere una gravidanza, dove precarietà, disoccupazione, lavoro nero toccano cifre esorbitanti, dove le persone vivono in stato di dipendenza economica reciproca al punto che nelle case tra poco vedi almeno quattro generazioni vivere sotto uno stesso tetto come usava una volta, dove in certi quartieri sarebbe necessario fare educazione sessuale porta a porta, dove fascismi e omofobia sono onnipresenti, dove la violenza sulle donne avviene soprattutto in “famiglia”, ovvero il luogo in cui di certo non fa molto effetto se sfili nuda tra il cesso e la camera da letto, Catania, dunque, diventa la città in cui la polizia ci salverà da pericolosissimi manifesti che attenterebbero alla nostra vita e alla nostra dignità.

Non fosse che questi tribunali dell’inquisizione nati qui e là in alcune città sulla spinta dei femminismi moralisti e borghesi sono anestetici sostitutivi alla totale assenza delle istituzioni quando si tratta di risolvere problemi gravi eliminati i quali le donne, da sole, potrebbero avere gli strumenti per scegliere cosa fare della propria vita. Non fosse, inoltre, che si riconsegna la tutela della virtù delle donne a gente, polizie che andranno a sindacare il livello di decorosità e decenza nell’esposizione di un corpo, e in fondo si tratta di patriarchi, di un patriarcato buono sollecitato da questi femminismi loro alleati, mossi dall’infausta e poco originale idea che se una donna va in giro in minigonna o se espone il corpo nudo in un manifesto pubblicitario, senza che nessuno si preoccupi di quel che questa donna vuole, ritenendola né più e né meno che un oggetto di Stato da “salvare”, senza chiederle che contratto di lavoro ha, se la soddisfa la scelta professionale che ha compiuto, allora l’uomo diventerebbe subito un violento.

Eppure è dimostrato esattamente il contrario, ovvero che hai meno possibilità di essere stuprata in una spiaggia nudista o dove puoi serenamente stare in topless che in un luogo in cui moralismi bacchettoni che tengono al riparo i figlioli dalla vista di quelle zone impure lasciano ritenere che un corpo esposto appartenga a qualcun@ sulla cui testa dovrà pendere uno stigma che, quello si, diventa fonte di violenze.

I divieti a questo portano: al giudizio normativo, per cui le donne che espongono il corpo, per denaro, scelta, senza alcuna costrizione, saranno definite donne per male o complici del patriarcato, a seconda se a giudicarle sono persone timorate o femministe, quando le vere complici, a mio avviso, sono quelle che perpetuano uno schema bacchettone e moralista e lasciano che una battaglia di libertà come dovrebbe essere l’opposizione ad ogni censura e ogni controllo, sorveglianza, norma sovradeterminante che riguardi i nostri corpi, sia colonizzata da un giornale come Libero, profondamente liberticida e sessista su molte cose, che poi scippa al femminismo libertario una lotta antisessista per giustificare tutt’altra visione delle cose.

Io vorrei davvero sapere chi legittimerà le persone a segnalare come “sessiste” alcune pubblicità e poi chi legittimerà questa commissione a decidere cosa sia decoroso, rispettoso della pubblica decenza, e cosa invece no. Da quando le donne hanno delegato alle polizie la battaglia culturale e antisessista? Da quando si è deciso che vi fosse una unica maniera di interpretare l’antisessismo? Perché è questo che succede dato che in giro leggi anche di critiche rivolte alle stesse femministe che usano il proprio corpo per realizzare rivendicazioni autodeterminate.

La dichiarazione di debolezza che sottende ad un provvedimento del genere con auspicio di repressione non c’entra nulla con le lotte femministe e tutto c’entra invece con la legittimazione di uno schema patriarcale vecchio quanto il cucco che non tiene conto della nostra autodeterminazione e ci ricopre fino alle caviglie “per il nostro bene“.

Perciò concordo con Stefania Arcara, coordinatrice del progetto GenderLab, Dipartimento di Scienze Umanistiche, presso l’Università di Catania, quando critica questa prospettiva e vi si oppone con argomenti che condivido totalmente.

Dice:

Tutte, ma proprio tutte, le immagini stereotipate della pubblicità producono sessismo, non solo quelle dei corpi femminili erotizzati. Anche quelli della madre in casa che fa allegramente le pulizie e dell’uomo col macchinone costoso che non deve chiedere mai. Tutti gli stereotipi pubblicitari, non solo quelli erotici, servono a imporre rigide norme di genere e quindi alimentano la cultura sessista e il suo tragico corollario, il femminicidio. Cosa facciamo, censuriamo tutto? Domanda strategica: come mai ci si concentra proprio sul corpo femminile erotizzato da censurare? Mi chiedo, con le parole di Abbatto i Muri: «Dunque saranno criminalizzate le donne che vogliono spogliarsi? Andiamo culturalmente verso il modello abolizionista delle immagini come per la prostituzione? (…) Così vogliamo farla la rivoluzione culturale?».

In alcuni paesi del mondo c’è una censura fortissima, le donne sono coperte da capo a piedi; non solo ogni forma di pornografia è vietata, ma non esistono cartelloni pubblicitari con corpi esposti: c’è forse meno violenza di genere? Stanno meglio le donne? In quanto meno svestite, anzi per nulla svestite, sono forse meno oppresse e meno ammazzate? (…)

Per tornare alla pubblicità: gruppi di donne, oppure un’istituzione, come in questo caso, mi impongono la loro morale unica. Certo – maledizione! – che vedo il sessismo schifoso di quelle pubblicità, ma imporre censure al linguaggio visivo va in direzione dell’assunto per cui i corpi femminili debbano essere coperti e questo è un ragionamento non solo perdente, ma controproducente. Fa apparire il discorso di denuncia antisessista/femminista come un discorso puritano di bacchettone scandalizzate dal sesso. E’ molto più interessante ed efficace, per esempio, ciò che fa il gruppo di giovani donne Mujeres Libres di Bologna, cioè delle azioni dimostrative-sovversive, come attaccare adesivi sopra i cartelloni pubblicitari della città. Oppure produrre immagini con corpi “anomali”, non-magri, non-perfetti, non-depilati, fuori dalla norma estetica che ci è continuamente imposta. Anziché censura istituzionale, questa è reazione, resistenza di donne che prendono la parola e agiscono, si autorappresentano. Nel loro sito forniscono anche i modelli per gli adesivi, da diffondere. Magari ci fossero gruppi di ragazze e ragazzi tanto organizzate anche a Catania…”

Che dite? Ci si ripensa?

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Posted in AntiAutoritarismi, Comunicazione, Critica femminista, Pensatoio, R-esistenze, Sessismo.