Da Abbatto i Muri:
L’indole autoritaria di un certo femminismo sta stretta a tante persone libertarie. E’ il femminismo tutto galera e tutori per risolvere i problemi delle donne. Quello che legittima neoliberismi e repressione e perciò coadiuva il finanziamento dell’industria del salvataggio che si traduce in polizie schierate nelle piazze contro chi manifesta. Quello che sollecita un nuovo patriarcato (buono) e un cavalierato che dovrebbe sostituire l’uomo cattivo. E’ quello che evoca la censura per “sparare” (virtualmente) in bocca alle donne che non recitano lo stesso verbo. E stabilisce cosa dovrai leggere e cosa no, con tanto di lista nera di autori/autrici, libri e blog che giammai dovranno essere letti pena la gogna e l’infamia eterna. E’ quello che dice anche cosa dovrà essere pubblicato e cosa no.
E’ il femminismo che alla consapevolezza collettiva preferisce l’indottrinamento, spalla a spalla con governi paternalisti che ti impongono come far coincidere il sesso con l’amore, cosa considerare violenza e cosa no, come relazionarti con l’altro sesso o quale genere indossare la mattina per essere accettata dalla società.
Il loro modo di intendere l’autodeterminazione coincide unicamente con la loro idea di Bene e dunque tutte dovremmo somigliarci, essere identiche, pensare, respirare alla stessa maniera. E’, ancora, il femminismo che ama presentare le donne sempre e solo come vittime, senza considerare la nostra forza, esperienza, le nostre singole rivendicazioni. Cancellano le mille voci differenti e le mischiano in un unico e grande lamento rappresentato istituzionalmente da quelle aree politiche che oggi meglio di altre tendono a autorappresentarsi come contenitori di alti valori morali.
Quello che in Italia ha significato, per esempio, la lotta tra Bene e Male nella faccenda berlusconiana, e mi riferisco alle vicende sessuali in cui c’entravano le donne, la dice lunga sulla maniera attraverso la quale quello che qui amiamo definire centro sinistra, ma che sinistra non è affatto, ha utilizzato e strumentalizzato i corpi delle donne per ricucirsi addosso una reputazione coincidente con nobili intenti umanitari.
Regimi stalinisti o fascisti, storicamente, hanno realizzato la propria propaganda utilizzando le donne per santificare la propria strategia politica. Le donne in quanto brand sono funzionali alle socialdemocrazie neoliberiste che dall’alto delle loro cariche istituzionali comunque emanano provvedimenti moralisti e autoritari, favoriscono una economia che smantella lo stato sociale e realizzano riforme economiche pessime che hanno firme femminili.
Però va tutto bene. Tutto deve andare bene finché si dice che le donne sono vittime di un mondo molto maschilista e ripeterlo tantissimo diventa quasi funzionale ad un sistema capitalista che ha bisogno di cause nobili, crociate umanitarie a garanzia per poter dare di volta in volta un nome differente a decisioni che altrimenti si chiamerebbero in altro modo.
Il pacchetto sicurezza a salvaguardia del capitalismo “buono” non potrebbe più chiamarsi, erroneamente, pacchetto anti/femminicidio. La censura non potrebbe più essere invocata in nome del rispetto per la dignità femminile. Le armate del bene, squadriste, non potrebbero più essere libere di andare in giro a dare sprangate virtuali a chiunque non la pensi come loro e i neofondamentalismi non potrebbero mai legiferare sulla gestione del corpo delle donne se non si nutrissero ogni giorno di quello che in mano loro diventa quasi un mito, viene svilito, ridicolizzato, diventa pretesto per sfogare frustrazione, fanatismo, diventa pura ideologia.
Il punto è che questa cosa qui tutto è meno che femminismo. Perché il femminismo diceva “il corpo è MIO e lo gestisco IO”. Diceva: “le brave ragazze vanno in paradiso e quelle cattive vanno dappertutto”. Diceva “libere tutte” quando le compagne finivano in galera per aborto clandestino.
Com’è successo che oggi quelle che dicono di chiamarsi femministe brindano alla galera per chiunque, stappano bottiglie di spumante ogni volta che uno dei mostri sui quali hanno sfogato ossessione riceve un avviso di garanzia, chiamano “violente” le ragazze non allineate che scendono in piazza a muso duro senza chiedere il permesso a nessuno, vorrebbero educarci tutte alla “legalità” intendendo per “legalità” quella che stabilisce anche, a proposito dei miei orgasmi, quale sarà legale e quale no? Com’è successo che il MIO corpo è diventato a gestione di questo esercito della salvezza i cui interventi vedi sul web, in televisione, a pontificare su quanto e come dovrò usarlo? Ché se la stessa cosa la facesse un prete parlando di sesso, aborto o eutanasia urlerebbero allo scandalo. Perché sul corpo non si legifera mai in senso né proibizionista e neppure autoritario. Sul corpo è essenziale che si ragioni in termini di rispetto per l’autodeterminazione affinché uno Stato Laico non si riduca a essere uno Stato che detta l’etica e la moralità alle fanciulle. Dentro le mie mutande, insomma, non ci voglio un prete e tantomeno, scusate se lo dico, ci voglio una femminista.
Com’è successo che a decidere cosa è violenza per me debbano essere altre che condizionano la mia percezione e mi infliggono stereotipi sessisti da mattina a sera per farmi somigliare all’idea autoritaria che loro hanno della “perfetta femminista” di ‘sti cazzi. Com’è successo che per essere femminista ora dovrei essere una “brava ragazza” che sta con altre “brave ragazze” a programmare da super/bulle come farla pagare a quella che non parla la mia stessa lingua?
Ma guardate gli interventi in tv. Leggete quanto moralismo, quanto sessismo e quanta invidia, si, invidia, traspare dalle parole di quelle che non fanno altro che insultare donne che fanno scelte diverse dalle loro. Ho letto la parola “zoccola” mille volte di questi tempi e troppo spesso scritta da altre donne incluse quelle che si definiscono femministe. Gente che ti dice che l’hai data a qualcun@ se quello che dici viene apprezzato più delle boiate che dice qualcun altra. Gente provinciale e bigotta che si nutre di fobie e che se becca una ragazzina che va a scuola di apprendistato femminista le toglie la faccia incazzata che giustamente ha quando va a chiedere supporto a quelle che dovrebbero esserle sorelle e dirige quella rabbia contro una persona sola in particolare, il nemico di turno (vedi le manifestazioni antiberlusconiane), contro un mostro sul quale sputare tutte, una alla volta, sicché anche la più mediocre può immaginare di toccare vette di paradiso e microgrammi di visibilità se ha strappato via un centimetro di carne, linciaggi che di politico non hanno nulla e di pensato neppure.
Tutte dirigono quella ragazza a riabituarsi alle magliette rosa (Rosaaa?????), ai fiocchetti e ai palloncini nelle manifestazioni, a pensierini-ini-ini da condividere con le altre, a fare dipendere la sua vita dalla rappresentante istituzionale che alla prima riunione spiegherà il grande valore delle quote rosa (chissà perché!) e alla seconda ti dirà che il problema fondamentale delle donne è quello di mettere dentro le istituzioni più donne.
E te lo dice dopo aver plaudito alla ministra per l’economia che ti ha fottuto la pensione e dopo aver plaudito anche alla repressione nelle piazze contro donne e uomini che manifestano contro la precarietà, perché il loro problema impellente, da borghesi sistemate quali sono, non è di certo un tetto o il cibo che a loro non manca. Il loro problema è quello di fare ordine dove altre raccontano una realtà differente. Il loro problema, la loro priorità non è la tua. Non è la mia.
Non lo è se devo campare. Loro hanno in mente di impedirti di usare il corpo e indirizzarti al prete in nome del rispetto di te stessa. Tu invece hai da risolvere la precarietà, costi quel che costi, perché quando hai bisogno di mangiare e di un tetto sulla testa non troverai la femminista che parla di “dignità delle donne” a darti un tetto e del cibo.
Loro ti spiegano che se guadagni il pane mostrando un pezzo di culo devi recitare un mea culpa e cospargerti il capo di cenere perché “la dignità” delle donne prima di ogni cosa. Loro, dall’alto dei loro scranni, i loro tailleur da stipendiate istituzionali, le loro cattedre universitarie, i loro stipendi da professioniste che campano anche sulla tua pelle, ti dicono che se vai a fare la cameriera a cosce al vento, perché così vuole LA datrice di lavoro, dovresti evitare, certamente.
E la tua dignità di persona? E la tua libertà? E le tue soluzioni per risolvere la precarietà? E le tue regole per te stessa? E chi ha deciso cosa sia morale o immorale? Chi ha deciso cosa è rispetto per se’ e cosa no? Chi ha deciso di che dignità dovrebbe essere fatta la dignità? Chi ha deciso che tu voglia diventare santa e che il tuo linguaggio deve somigliare a quello di queste donne?
Io ho rispetto per le donne e per ogni loro complicatissima scelta. Non impongo. Ascolto. Non pontifico. Semmai lotto assieme a loro rendendo merito alle loro rivendicazioni. E poi mi autorappresento perché mi sono stancata, da parecchio tempo, di vedere gente classista e colonialista che parla anche in mio nome e dice cose che non condivido. Mi sono stancata di essere complice, silenziosa, omertosa, di livelli di arroganza, supponenza e autoritarismo in nome del politically correct e di una roba che chiamano “sorellanza” (ma “sorellanza” NON è squadrismo!) e che in certi contesti, dove non sanno neppure cosa significa, assume lo stesso senso che per me ha la parola “famigghia” alla maniera siciliana. Per cui finché sei dentro allora sei dentro e quando prendi aria e respiri per vedere come è fatto il mondo là fuori devi (virtualmente) morire.
Su quel femminismo, personalmente sputo, perché non mi rappresenta. Perché tra quel femminismo e altre forme di autoritarismo io non vedo alcuna differenza. Perché quel femminismo non è l’unico, anche se vorrebbe imporsi in quanto tale. Ma non è affatto l’unico. Però.
E ora vado a salvare i libri della Badinter, gli articoli della Augustìn e altre letture proibite e non allineate, prima che arrivino coi forconi a bruciarle. E se vedete sparire il mio blog sapete pressappoco da chi dipende…
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