Da Abbatto i Muri:
Donne che lottano per le donne. In primo luogo, irrinunciabili, le gare di burraco e golf comprese tra gli eventi antiviolenza con tanto di patrocinio istituzionale. Poi ci sono gli eventi in cui le istituzionali se la suonano e se la cantano a proposito del successone (si si, come no) del decreto che loro hanno voluto e che a nessuna piace. Poi ci sono locandine che te le raccomando. E quelle che se non ti chiami “fragile” tipo pacco postale allora ti ci ribattezzano. O le altre che mettono in bocca a certi uomini frasi taaanto intelligenti e soprattutto adatte all’uopo.
Nel frattempo, sappiate, che stanno nascendo chioschi ovunque di gente che vende scarpe usate (sorelle, precarie, precari, approfittate che qui si compra e si vende tutto!), tutte rosse. Io di rosso c’ho da vendere, giusto per arrotondare, ché l’ultimo con cui ho lavorato ancora non mi ha pagata, una sciarpa e un paio di ballerine che non metto più da tanto tempo. Dieci euro al pezzo e abbiamo concluso.
Ho pure i capelli rossi e ve li vendo a ciocche prima di tingermeli di un celeste mare, perché, come dicevo qui “Il colore rosso diventa simbolo di vittimizzazione invece che di forza e ribellione“.
Altri consigli per arrotondare, rivolti a voi che osservate come l’industria del salvataggio femmine fa marketing su un brand consolidato. Le estetiste possono vendere tatuaggi fatti con l’hennè di perfetti lividi che dureranno tutto il tempo delle manifestazioni. In piazza farete un figurone.
E se continuo con la dissacrazione, ché la sacralità io non la tollero in generale e figuriamoci se tollero quella che martirizza me come oggetto dell’altrui marketing, qualcuno mi dirà che “Si vede che non le hai mai prese” o “se dici questo hai problemi mentali“.
Da questo tipo di infelici parentesi discorsive si passa alla degenerazione ultima del discorso di quella parecchio incafonita che per illuminarti sul livello di livore di cui si nutre la sua crociata ti augura lo stupro perché solo così tu potrai capire. E dunque ecco che l’augurio, in fondo, finisce per essere che tutte noi dovremmo essere martoriate sicché si possa pensarla tutte quante allo stesso modo e la violenza sulle donne può fungere da elemento unificante/omologante, presupposto primario per la legittimazione di un pensiero unico, senza il quale io e te non ci capiamo.
Meglio saperti stuprata, affranta e massacrata, affinché la lotta per una causa, quando si tramuta in ideologia fanatica, aggreghi nuove adepte, piuttosto che accettare la tua differenza. Meglio saperti violentata che accettare il fatto che tu possa pensarla diversamente da me.
Frequento i contesti antiviolenza da decenni. Chi mi conosce sa quanto io sia laica e anarchica in tutti i sensi. Quanto sia anche disponibile a rivedere le mie posizioni e a dire che mi sono sbagliata su molte cose. Ebbene su alcune convinzioni si, mi ero profondamente sbagliata e l’ho capito, ad un certo punto. Ho capito di essere stata usata, di essere diventata uno dei fenomeni da baraccone da far sfilare perché potevo rappresentare la narrazione dominante. Ho capito che c’è chi ha usato le mie fragilità, i dubbi, i lavori in corso di elaborazione e poi, quando scoprivo nuove cose e adoperavo il mio senso critico, mi ha istigata a non fidarmi delle mie percezioni mentre io lottavo contro tutto e tutti per raccontare la mia versione della storia. Mi hanno negato anche il diritto di rideclinare una narrazione soggettiva. Hanno sputato su di me veleno su veleno perché le mie conclusioni non corrispondevano a strategie di gruppi politici o di persone che hanno in mente di realizzare chissà che genere di mondo.
Quello che so è che ho incontrato tante persone belle, per fortuna la maggioranza, e poi c’è una minoranza rumorosa, soprattutto nel web, che evangelizza, colonizza arbitrariamente il pensiero altrui e scippa la possibilità che vi sia un riconoscimento per il libero esercizio dell’autodeterminazione di ciascuna. Paternalismi e maternalismi insieme che poi diventano fanatismi che si nutrono di lividi e cadaveri e articoli di cronaca, omettendo di raccontare le storie in tutta la loro complessità.
E no, io non lascio che vengano usati i miei lividi, e so per certo che la violenza è fatta di esercizio di potere e quel potere lo eserciti facendo leva giusto sulla fragilità di qualcun@ che si affida al tuo controllo. Tutori e tutoresse, per me, si sono rivelati nefasti, anzi, anche più perfidi, perché animati dal sacro fuoco della missione salvifica delle donne, legittimati dal mondo attorno che non vede mai le violenze quando vengono compiute “per il tuo bene”, violenze più lesive di quanto non sia stato opprimente qualunque altro abuso.
Chi ti fa male ritiene di avere ragione e in questa circostanza in cui la ragione appartiene a chi si fa scudo del valore etico della lotta contro la violenza sulle donne chi mi dice che io non sia un loro oggetto da usare e opprimere e censurare nel caso in cui mi autorappresento invece che lasciare che altri si sostituiscano alla mia voce?
Chi mi dice che io non debba salvarmi dai miei tutori, salvatori e dalle mie salvatrici?
Chiunque, nelle lotte, non ambisca ad un colloquio continuo, un confronto laico, una dialettica che non offende, con tutte le parzialità, senza che vi siano pretese autoritarie di correzione del mio modo di pensare, è per me figura oppressiva che scanso come la peste.
Rossa. La peste rossa. At the moment.
Da dicembre, poi, mi riapproprio anche del mio colore.
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