Da Abbatto i Muri:
Di donne e campagne antiviolenza che reclamano il “patriarcato buono” avevo parlato QUI. Della campagna paternalista rugby in cui l’uomo antiviolenza altro non fa se non riproporsi nella chiave di protettore ho detto QUI. In basso altri link su altre campagne di aziende varie forgiate sul brand “femminicidio”.
Questa (grazie a Stefania per la segnalazione!) è la campagna Avon, azienda produttrice di cosmetici, che unisce il suo sforzo creativo alla presunta sapienza di un centro antiviolenza sulla scia di quella che fu una tradizione atroce iniziata con Snoq che faceva indossare magliette rosa a calciatori e testimonial che non era poi detto fossero consapevoli e antisessisti.
“Purché se ne parli” era la modalità, senza ragionare di contenuti, anzi, ho la certezza che quella Snoq, che ora è in rotta con altri comitati in tutta Italia, di violenza sulle donne non ci capisca poi un granché, e parlandone in maniera sbagliata si è finito per promuovere un brand utile per tutte le occasioni.
Nulla da dire al giocatore di rugby che sicuramente è la persona migliore del mondo. Ma questa campagna, esattamente come altre dello stesso tipo, ha il difetto di rappresentare una chiave di lettura machista, la gara testosteronica che addirittura esigerebbe l’ausilio di un arbitro, dove la donna non è soggetto, non è protagonista delle proprie azioni e dunque neppure del proprio salvataggio, ma è solo una fanciulla invisibile, fragile, evocata solo in quanto vittima, da salvare, ché non salvarla rappresenterebbe una sconfitta per LUI.
E’ lui il perdente, capito? Perdenti sarebbero gli uomini violenti legittimando il mito dell’essere vincente sulla base di un tutoraggio eroico che viene esercitato sulla mia pelle. Siamo alla comunicazione epica. Qui ci sono eroi che combattono per noi… oh fanciulle, ma non siete tutte eccitate? Non sentite il brio?
Dai su, ditemi che questa campagna in cui si dice fine del match e poi si fa la differenza tra perdenti e vincenti per voi è una cosa positiva (sigh!).
Grazie Avon e grazie centro antiviolenza. Davvero. Che bel servizio che ci avete reso.
Fate così: evitate di coinvolgere gli uomini. Non serve che si rappresentino “contro” per distinguersi dai “perdenti” perché moltissimi uomini sono già contro. Me li ritrovo a fianco ogni giorno senza che abbiano alcun bisogno di realizzare sulla mia pelle la loro aspirazione di riuscita nella vita. Non consumano il loro ideale di mascolinità nel tutoraggio, rispettano la mia autodeterminazione e casomai mi stanno a fianco, come io sto a fianco a loro, per lottare, insieme, nelle direzioni che scegliamo.
Ci bastano già le guardie in divisa. Promuovere campagne che in fondo dicono “c’è uno sbirro dentro ognuno di noi” è veramente terribile. Giocate a palla, a birilli, a briscola, a quello che volete, se volete fare a braccio di ferro e giudicarvi vincenti o perdenti, ma non giocate sulla mia pelle perché questo si chiama paternalismo e alla fine realizza una cosa per la quale personalmente nutro grande avversione: l’alleanza tra patriarcato e matriarcato che con la scusa di proteggermi diventano i miei censori.
Se io smetto di essere vittima, se mi salvo da sola, se smetto di essere la vostra palla da tirare in porta per segnare un goal, siete davvero in grado di continuare a giocare e vivere o io devo restare a fare la vittima vittimizzata per dare un senso alla vostra esistenza?
Ps: se tu coinvolgi gli uomini perché li ritieni colpevoli in quanto genere e pensi che la metamorfosi pedagogica possa avvenire se li tramuti in tutori responsabili del corpo delle donne cosa hai risolto? Mi chiedo, dato che in questa campagna sono impegnate donne, che tra l’altro si occupano di violenza: chi si fa realmente veicolo di cultura patriarcale se metti in bocca, a mo’ di ventriloqua, a un uomo insegnamenti normativi che restituiscono gli uomini all’abbraccio mortale di quella cultura? Chi reitera cosa? Di cosa siamo responsabili noi nella trasmissione di stereotipi sessisti?
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