Da Abbatto i Muri:
Vorrei che leggeste questo post di Loredana Lipperini, perché racconta il suo dolore senza metterlo a servizio di chi ne farebbe un uso che a lei non piace. Io so perfettamente cosa intende, a cosa si riferisce, perché in un certo senso è quello che faccio anch’io.
Vorrei comunque parlare di questa cosa. Parlarne per raccontare quanto può essere invasivo il giudizio, esasperante, di chi si sostituisce, come spesso accade, alla narrazione di chi vive un dolore, una esperienza, per ammantarla di prova provata che possa accreditare una ideologia che mira al controllo del mio corpo.
Sono dell’idea che gli autoritarismi che vogliono dettare legge sulle mie scelte e sul mio corpo vadano combattuti. Tutti quanti. Ovunque essi si annidino e in qualunque modo si presentino. Che si ammantino di purezza morale o si nascondano dietro una diffusa e fiorente industria del salvataggio di soggetti deboli, non importa. Perché in qualunque caso si parla sempre di violazione di diritti, controllo sociale, sovradeterminazione, con l’alibi più frequente di questi tempi: “è per il tuo bene”.
Questa cosa vale sia che qualcun@ voglia impormi che uso fare del mio corpo in relazione ad un mestiere, che qualcun@ voglia usare la questione dell’aborto per farne tema di diffusione di una idea, come di chi vorrebbe impormi l’aborto o la sterilizzazione forzata come deterrente alla povertà. Nessuna istituzione paternalista, maternalista, può dire a me “io sol@ so cosa è bene per me!”, perché io sono adulta e so cosa voglio.
Io credo fermamente nel fatto che ogni scelta che passi sul mio corpo debba essere autodeterminata. Che gli autoritarismi si somiglino tutti e non mi permetto di dire a una donna cosa dovrà fare né la giudicherò per la maniera in cui vivrà il proprio lutto.
Come ho già scritto: solo una istituzione che vuole imporre una ideologia può lasciare che la faccenda del cimitero dei feti diventi una lotta tra due sensibilità ferite, in cui per raccontare il mio stupore e la mia amarezza devo inevitabilmente ferire quella che ha suo malgrado abortito e invece proprio non voleva.
Vorrei parlare a quelle che hanno quella esigenza e raccontare loro, come scrive Loredana Lipperini, che avete già la possibilità di seppellire il vostro bambino se lo volete. Quante tra voi sanno questa cosa? Quante sanno che è il vostro dolore a essere usato per creare simbolismi che servono a criminalizzare le donne che scelgono di abortire?
Nella scelta comunicativa e politica, di separare i feti e piazzarli in un apposito cimitero, c’è un pretesto per inviare un messaggio preciso. Non potete ignorarlo. Ed è un messaggio rivolto a me che ho abortito e non mi sento in colpa. A lei che ha perso un figlio ma non crede nelle sepolture e non vuole riferirsi a quella dinamica religiosa. A quell’altra che non ha mai voluto essere madre perché la maternità non è il suo fine ultimo.
E’ un messaggio che ci imprigiona nel ruolo di criminali nel caso in cui interrompiamo una gravidanza e di martiri quando risentiamo di quella perdita. Perché c’è chi specula sul nostro dolore, qualunque esso sia, affinché noi restiamo fedeli a ruoli imposti e non smettiamo mai di ricordarci che siamo fatte per essere madri, dedite ai ruoli di cura, per cui se non mi sento abbastanza in colpa per un aborto, se scelgo diversamente, bisogna che si dica che sono anormale, un abominio, una persona della quale non avere rispetto ovvero anche da compatire.
Come è possibile che ancora bisogna spiegare a tante persone, e sicuramente ce ne sono tante intelligenti, che siano credenti o meno, quale ferita enorme apre una discussione del genere nelle nostre vite? In una dimensione, poi, che vede a volte le stesse persone che lottano contro stereotipi sessisti, affinché il ruolo di cura sia condiviso tra diverse figure genitoriali, a partecipare alla legittimazione di uno stereotipo che ci viene imposto da chi ci dice che perfino un contraccettivo è peccato.
Quanto tempo deve passare ancora affinché sia possibile esercitare il proprio diritto di comunicare una idea senza trovarsi di fronte a persone intolleranti che non capiscono, ad esempio, come il controllo dei corpi sia biopolitica, biocapitalismo, praticato da chi ci incastra ad adempiere solo e sempre ad alcune funzioni?
Siamo strumenti, sempre. Che tu voglia abortire o no sei uno strumento d’altri. E prima dell’aborto bisogna raccontare che chi specula sul nostro dolore non vuole neppure che usiamo contraccettivi, che facciamo sesso prendendo precauzioni, non concorda neppure sull’idea di fare prevenzione con l’educazione sessuale nelle scuole.
Dimmi se qualcun@ vuole obbligarti ad abortire anche se tu non vuoi e io sono con te. Sempre.
Dimmi se vuoi abortire e io sarò con te. Sempre.
Dimmi se vuoi seppellire tuo figlio e io ti aiuterò a scavare quella fossa a mani nude.
Ma non giudicare me. Non mi condannare. Non mi criminalizzare. Non demonizzare la mia posizione perché esisto anch’io. Diversa da te. E merito rispetto. Io so che lo merito.
Una risposta femminista ai cattolici integralisti: http://www.youtube.com/watch?v=A_5YUMLYfpk