Non so se ve ne siete accort@ ma è ritornata la “mamma imperfetta”, ovvero quello stereotipo maschilista con cui si spinge la donna a essere sempre più “conciliante”.
In questo periodo abbiamo sia un’intera serie tv, sit-com, mandato in onda dalla Rai che dice di voler combattere le immagini lesive della dignità della donna (per loro solo il mostrar la figa, il culo, le tette è lesivo) che un concorso indetto da una nota marca di merendine dedicato internamente a questa figura mitologica, tipo dea Kali, che invece di dedicarsi a ciò che le piace, le interessa, non fa altro che annullarsi nel cercare di lavorare, crescere i/le figl@, organizzare casa, preparare i pranzi e, l’ immancabile, curarsi (truccarsi, andare in palestra ed etc.) per attizzare il marito.
La mamma imperfetta è dunque uno stereotipo culturale col quale si cerca di dire alla donna: va bene, lo sappiamo che non ce la fai a fare tutto quello che ti abbiamo ordinato di fare, facendoti credere che era tuo compito, quindi ti comprendiamo e accettiamo le tue imperfezioni sostenendoti ad andare avanti, a mettercela tutta, perché l’importante è che tu non molli, altrimenti chi cazzo ci fa da ammortizzatore sociale?
La morale di questi spot o puntate-pillole è infatti una sola: la madre non può chiedere al proprio marito di contribuire nelle mansioni di cura della casa e dei/lle propr@ figl@, deve sobbarcarsi tutti gli oneri accontentandosi della medaglietta che la società le consegnerà per non aver fatto mai scomodare il consorte.
Lasciatemelo dire: che orrore!!! In questa donna annullata per la famiglia e il marito rivedo donne come mia madre che hanno trascorso la propria vita tra servizi, detersivi, pranzi e frustrazioni. Mia madre desiderava altro, lo ha finalmente ammesso un po’ di mesi fa, ma la sua vita è stata dettata da altri e lei si è ritrovata incastrata in un ruolo che ha accettato, assolto con zelo, forse anche amato in alcuni aspetti, ma che sicuramente non l’ha resa felice.
Far nascere qualcun@ non vuol dire che poi si debba pagare con la propria vita, o più precisamente privandosi della propria vita, quella che si dà inizio. E’ pura follia il solo pensarlo. Che le madri debbano prendersi cura dei/lle figl@ è giusto, ma non devono farlo da sole, ci sono anche i padri a cui bisogna chiedere di fare i padri, di esserci nella cura e crescita delle vite che hanno contribuito a mettere al mondo.
Nessun@ ci obbliga a generare, non c’è nessun dovere a riguardo, e quindi se lo facciamo dobbiamo poi assumercene la responsabilità. Per questo mi batto per la maternità e paternità consapevole.
Ma si può esser madri anche in una coppia lesbica, si può esser madri anche da single, o in una triade, in una coppia aperta, in una comune, si può essere mamme trans ed etc. Ci sono milioni di esempi di madri eppure si sceglie sempre quella stereotipata (etero-bianca-borghese) e quando, per fatalità, ci infilano la mamma lesbica è anch’essa stereotipata. Perché è così che funziona la norma, assorbe tutto, anche ciò che da essa tende a distaccarsi.
Cosa voglio dire? Che la mamma imperfetta nasce come figura da contrastare alla mamma perfetta degli anni 50. La donna oggi lavora e quindi quell’immagine di donna/madre/casa e chiesa degli anni 50 non è più sostenibile. Cosa dunque ci si poteva inventare per venire incontro alle nuove donne/madri lavoratrici per spingerle a perseverare verso quel modello, di annientamento e annullamento per la prole e la casa, senza risultare anacronistici? Ecco che nasce questa figura della madre non più perfetta che però ce la mette tutta per onorare le sue antenate, perché una cosa è chiara, quel lavoro, chiamato crescita dei/lle figl@, resta nostro.
Ed ecco che riemerge in me la rabbia verso questa cultura che continua ad incastrarci in stereotipi che sembrano nuovi ma puzzano di vecchio, a sobbarcarci di lavoro quando bisognerebbe incentivare alla condivisione/divisione di esso. Ci sfracassano le ovaie con l’idea della famiglia tradizionale, con la necessità di avere un papà/bio-uomo e una mamma/bio-donna per una buona crescita dei/lle bambin@ (cazzate maschiliste e omo/lesbo/transfobiche che non tengono in considerazione il fatto, palese, che proprio questo tipo di famiglia tradizionale/patriarcale generi le peggio violenze), e poi riversano tutto sulle donne perché il padre è lì come figura evanescente.
Personalmente non voglio avere figl@ ma vorrei che chi li desidera non dovesse più subire questa violenza, perché è di questo che si tratta. Chiamatelo terrorismo psicologico, lavaggio del cervello, ma la sostanza non cambia: ogni giorno, 24h su 24h, alle donne viene insegnato/detto/ordinato che è loro compito prendersi cura dei/lle figl@, della casa, del marito senza mai chiedere aiuto ai propri partners. E’ loro compito annullarsi, privarsi di tempo per sé stesse, rinunciare a desideri, progetti o momenti per sé, perché loro possono, sono d’altronde “multitasking” di “natura” e hanno la capacità di conciliare l’impossibile. Ma cosa più allucinante è il ricatto del: se non lo faceste voi chi lo farebbe? L’altro sesso non ne è capace. Ti fanno sentire “indispensabile” e intanto ti sfruttano facendo pesare su di te ciò che sarebbe compito del partner e dello Stato. Perché oltre al compagno/marito c’è lo Stato e il suo non far nulla per permettere alle donne di uscire da questa schiavitù, anzi il nostro non fa altro che rinchiudervici con sempre più forza perché è troppo prezioso il nostro lavoro per lui.
Il lavoro delle donne continua ad essere volutamente sottovalutato, non considerato neanche lavoro ma bensì un dovere, ma in realtà il suo valore è noto ai governi ed è per questo che ogni giorno ci convincono a non mollare e provano a compensare la nostra frustrazione con la medaglietta della “mamma imperfetta”, ovvero la mamma vera che pur non essendo perfetta resiste, perché sanno che se per un solo giorno incrociassimo le braccia e indicessimo uno sciopero il mondo si fermerebbe e il valore del nostro lavoro si mostrerebbe nella sua forza.
Note
– vi segnalo questo blog di un uomo/padre che non ci sta a scaricare tutto sulla moglie e allo stesso tempo vedersi privato il ruolo di padre che vuol dire prendersi cura dei/lle propr@ figl@
Non si coglie il fatto che il padre è figura evanescente perché anch’egli assorbito dal lavoro fuori casa, torna in famiglia la sera che magari non connette neanche più e comunque manda avanti l’altra faccia del sistema (l’esaltazione del professionismo) anzi l’altra faccia dello stereotipo (dannoso in modo meravigliosamente unisex)
nero su bianco tutto quello che pensavo da tempo di ‘sta mamma imperfetta (non mi riferisco solo alla sit-com tv).. applausi.
me lo salvo il post.