Sabato 19 ottobre ero a Roma. Vi voglio raccontare la mia esperienze nell’unico modo che conosco, quello di pancia. Non ci saranno grandi riflessioni, di cui non sono capace, ma che vi consiglio di leggere/ascoltare* perché sono indispensabili per comprendere quanto importante sia ciò che sta accadendo. Mi limito a raccontarvi le mie emozioni, quello che ho provato, quello che mi porto dietro.
Ciò che mi ha spinto a partecipare a questa manifestazione è che sono una delle tante che lavora a nero e che viene sottopagata, un euro a ora è quanto mi viene concesso. Ho partecipato perché reputo giusto lottare per il diritto alla casa, per la difesa dei propri territori dalla devastazione e dalla speculazione, per un sapere libero e un reddito per tutt@.
Parto con un bus di compagn@ e quando arriviamo a Roma, non ricordo precisamente a che altezza dell’autostrada, i nostri pullman vengono fatti fermare da alcune pattuglie della polizia e scortati in una stazione di servizio. Ci fanno scendere e noi non capiamo a quale scopo. C’è chi rivendica il diritto a manifestare, chi ricorda che quel diritto ce lo siamo garantiti con la lotta, che non ci possono impedire di arrivare a Roma, che questo è terrorismo psicologico. Personalmente posso dirvi che è la prima volta che mi succede, la prima volta che vengo fermata perché voglio manifestare. Questo è un segno sul quale bisognerebbe riflettere per capire che, quando si dice che il livello di repressione sta aumentando, non si sta usando un modo di dire, ma che è vero, una realtà che fin quando non la vivi sulla tua pelle non la comprendi appieno.
Dopo un po’, forse una mezz’oretta, ci lasciano andare perché eravamo numericamente superiori a loro. Arriviamo a Roma e lì ci sono davvero tanti spezzoni, tante realtà, quella dei/lle migrant@, dei No Mous, dei No Tav, dei movimenti per la lotta alla casa, quelli di studenti/tesse e precar@ e tanto altro. Non avevo mai visto tutti questi movimenti riuniti in un’unica piazza e soprattutto in quella di San Giovanni dove è accaduto ciò che ricordiamo tutt@.
Parte il corteo e si sentono gli slogan, i discorsi dalla casse, penso che è tutto giusto, che il domani deve essere nelle nostre mani, che il futuro ce l’hanno scippano e dobbiamo riprendercelo. Si balla, si scherza, si incontrano persone che non vedevi da un po’, si scambiano chiacchiere, si progettano cose insieme. Poi arriviamo vicino al Ministero della Finanza.
Non avevo avuto notizie sugli scontri avvenuti nella prossimità della sede di Casapound, ma leggendo ho capito che la storia si ripete: i fasci scortati dai poliziotti e i/le compagn@ che ribadiscono ciò che dovrebbe esser sacrosanto, ovvero che la lotta al fascismo non si è conclusa e che noi siamo e saremo sempre antifascist@.
Davanti al Ministero vedo solo la rabbia di chi non ce la fa più e la polizia che si prepara a caricare per difende il vero violento, lo Stato. In quel momento ho paura, afferro le mani di una compagna, lo zaino di un’altra e iniziamo ad allontanarci in fretta, poi ci arrivano le urla di chi dice che stanno caricando, che bisogna scappare. Corri, corri, cerchi di non perdere le compagne, la mano di una mi sfugge, mi giro di scatto, ho paura di perderla e perdere le altre, la afferro in uno scatto furioso e raggiungiamo le altre. Ci fermiamo perché non sappiamo dove andare, quella città non la conosciamo bene.
Il tempo per capire è poco, presto veniamo raggiunge da un altro gruppo di persone in fuga che urlano “scappate caricano!”. E allora tu afferri chi puoi e scappi, e chiami a squarcia gola chi non vedi. Nessun@ dovrebbe restare indietro ma alcun@ l@ perdiamo. Partono telefonate: “Tu come stai?”, “Dove stai?”, “Io sto qui?”, “E lì che si dice?”, “Hai avuto notizie di tizi@?” ed etc..
Una compagna sta male perché soffre d’asma, ma sai che non puoi fermarti, devi scappare e arrivare ad un punto tranquillo, ma devi prima capire dov’è. Quindi provi a farle coraggio, anche se hai paura tu stessa e altre compagne ti sostengono. E’ un aiuto/collaborazione che mi ha commosso, che non so spiegarvi a parole, ma che dimostra la bellezza che c’è tra i/le compagn@.
Arrivano notizie che a Porta Pia si può andare, che la situazione è calma, ma alcune persone che incontriamo per strada ci dicono il contrario. Decidiamo di andarci lo stesso. La situazione è calma ma in un modo angosciante, almeno per me. Tutte le strade, quattro se non sbaglio, che confluiscono nella piazza sono bloccate da blindati o poliziotti schierati in assetto antisommossa.
Io non me la sento di restare ad accamparmi quindi cerco di capire come raggiungere i pullman. Se non avessi avuto l’aiuto delle compagne, che mi hanno indicato un gruppo che si dirigeva proprio dove dovevo andare io, non ci sarei riuscita. Saluto la compagna che mi indicato il gruppo, lo scambio di un sorriso veloce tra chi va e chi resta, e poi via. Mentre mi incammino, continuo a ringraziare le sorelle/amiche/compagne per non aver lasciato nessun@ indietro e per aver trovato soluzioni per tutte.
Riparto verso i pullman, verso casa. Un ringraziamento va anche ad un compagno romano che mi stava raggiungendo per aiutarmi e che io ho mollato lì, perché dovevo raggiungere il gruppo di cui parlavo sopra. Anche il suo aiuto non dimenticherò.
In questa giornata, più di tutte quelle altre che ho vissuto, ho avuto paura della violenza della polizia, della repressione che stavano organizzando, perché quello che sta accadendo gli fa paura. In questa giornata ho capito che avere paura è normale ma che se non ci fossero le compagne (parlo al femminile perché principalmente loro mi hanno aiutata) non avrei saputo gestire la situazione. Ho capito cosa significa sorellanza e le ringrazio dal profondo del mio cuore. Le ringrazio per avermi tenuto la mano mentre si correva, per avermi mantenuta mentre stavo per cadere, evitandomi di essere travolta dalla folla, per avermi tranquillizzata, per esserci state.
Le cariche fanno paura a tutt@, ma è insieme che si supera la paura. Il potere e la sua manifestazione, la sua violenza, la sua arroganza ti fanno cagare sotto, non posso negarlo, ma con loro accanto non mi sono sentita sola e ho resistito finché ho potuto.
I miei problemi con la gestione del panico non mi aiutano ma sono contenta di esserci stata, di aver manifestato quando hanno fatto l’impossibile per impedircelo, perché so che da questi giorni può uscire qualcosa che può generare il cambiamento che desidero e che so essere raggiungibile solo con la lotta, la resistenza.
Nel pacifismo non ci credo, non ci ho mai creduto. Non sono un’eroina, io mi cago sotto dalla paura, ma la violenza che subiamo ogni giorno è più forte e, se restiamo insieme, se impediamo di dividerci, possiamo farcela. E’ questo quello che ho capito ieri.
In ultima battuta, ma non perchè sia meno importante, vorrei dare la mia solidarietà ai/alle compagn@ fermat@ ieri. Si contano 14 fermi. Come sempre liber@ tutt@. Libere Sara e Celeste!!!
Note
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Questo è il Comunicato dell’assemblea che si è tenuta questa mattina all’Assedio di Porta Pia