[Era la pubblicità di un marchio di capi di abbigliamento, doverosamente sovvertita da un collettivo femminista]
Tribunali dell’inquisizione. Quelli in cui qualcun@ decide cosa sia indecente e offensivo per le donne e cosa no. Parlo di apposite commissioni elette nei vari comuni e tra questa quella meno libertaria di tutte che è a Milano.
Bisogna avere davvero tanta stima di se’ per poter pensare di essere in grado di decidere per il bene di tutte, interpretare le immagini in nome di tutte e addirittura stabilire cosa potrebbe offenderci oppure no.
Cosa è indecente? Cosa è offensivo per le donne? Da quando io ho bisogno di un tribunale dell’inquisizione e della congrega delle madri superiore per essere protetta da un manifesto?
Al pari di quelle che proponevano una legge in cui sanzioni, addirittura galera, venivano previste per “salvarmi” dal bruto pubblicitario sessista.
I manifesti sessisti li sovverti, produci una risposta controculturale, perché censurandoli, di fatto, non cambi la mentalità, e solo un presupposto educativo rigido, al pari di quello di ben altri autoritarismi, può fare pensare che nascondere le immagini significhi praticare educazione di genere e possa così cambiare la sensibilità delle persone.
La cultura è fatta, certo, di immagini ma anche di azioni. Di pratiche. E queste azioni, moraliste e censorie, che offendono tra l’altro anche l’autodeterminazione di quelle che per quei manifesti posano, che tipo di cultura generano?
E dunque, se già su questo punto non siamo d’accordo, circa quel che potrebbe offendere le donne, ché a me offende questo tipo di istituzionalizzazione di una battaglia culturale e antisessista che prescinde dalle norme e dagli autoritarismi, come si può sperare di “fare il bene delle donne”?
Di quali donne? E quelle che non sono d’accordo sulle scelte che a loro vengono imposte, per “il loro bene”, certo, come saranno chiamate? Serve del patriarcato? Maschiliste? Cattive? Puttane? Ancora peggio: Post-Femministe?
Siamo nel 2013. Non abbiamo più bisogno di tutori e dame della carità che brandiscono proibizionismi. Possiamo difenderci da sole. Soprattutto se si tratta di un manifesto pubblicitario.
Sovvertirlo e renderlo veicolo di quello che ci piace di più, scardinando significati, decostruendo e rimandando ai pubblicitari e alle aziende indietro il loro messaggio, è meglio che censurarlo. Vedi quel che si è fatto con la campagna #EnelSharing…
In basso potete vedere una delle immagini di Frangette Estreme che rappresenta la donna che “serve” a tavola… magari da mostrare a chi dopo la lamentatio pubblica in cui si mostrano sempre le donne come vittime fragili che periscono con un solo soffio di vento, omettendo che non esiste un capitalismo buono e uno cattivo ché il capitalismo è brutto tutto quanto, non fa che intendere che sono le istituzioni che dovrebbero provvedere.
Serve più autodifesa culturale. Ci salviamo da sole. Grazie, ma no. Non in mio nome. Dei tribunali dell’inquisizione possiamo fare a meno. Ed è questo che ci restituisce forza, sicurezza, autostima, dignità, quel termine che vi piace tanto, e non la sottrazione continua di capacità di decidere come, quando, dove poter provvedere da noi a migliorare la nostra esistenza (vedi ultimo #dlfemminicidio).
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Mettici il culo e sovverti le pubblicità sessiste!