Da Intersezioni:
Io amo le femministe, davvero.
Mi dichiaro femminista e antisessista da molto tempo, e lo faccio con orgoglio: il femminismo ha avuto, ha (e auspico avrà!) un ruolo essenziale nel mio percorso di donna e di persona che lotta per la propria – e l’altrui – libertà di autodeterminarsi all’interno di questo sistema.
Un sistema che, tra i tanti paradigmi dell’oppressione che agisce sui diversi soggetti che si ritrovano – loro malgrado – catturati al suo interno, vede nel sessismo una delle proprie punte di diamante.
E’ stato il femminismo (più ancora dell’antispecismo, al quale in realtà cronologicamente ero arrivata prima) che non solo mi ha liberato, ma mi ha aperto gli occhi anche su tutti i legami esistenti tra le diverse forme di discriminazione e di oppressione che prima sentivo più distanti dal mio cuore e dal mio attivismo.
Perché, ne sono convinta, se abbracci il femminismo veramente, tutto intero, nella sua dirompente capacità di rottura, se ti ci lasci attraversare, lacerare, se lasci che faccia luce anche sulle tue zone d’ombra, se permetti che rivoluzioni DAVVERO il tuo modo di pensare, allora ti cambia tutto… cuore, mente e pratiche politiche, tanto che la tua vita e la tua politica diventano un tutt’uno inscindibile.
Ed è per questo che ogni persona che si avvicina al femminismo (già, ogni persona, non ogni donna, che il femminismo rivoluziona anche gli uomini quando lo abbracciano, alla faccia di quegli altri così piccini e aggrappati al loro ruolo di genere che li definiranno con ridicoli neologismi come ‘maschiopentiti’, o quelle donne che definiranno il femminismo ‘cosa nostra’ in quanto Femmine con la F maiuscola, come se la rivoluzione la si potesse fare solo sui cromosomi XX senza per forza coinvolgere anche tutte le altre possibili combinazioni) è per me una gioia, una conquista, una speranza di quel mondo che oggi non esiste ma per il quale lotto… e del quale ho comunque la fortuna di vedere delle splendide avanguardie, già qui, già ora, in quelle ‘Zone Temporaneamente Autonome’ (Taz) di libertà, che fortunatamente a tratti emergono nello stagnante oceano di inciviltà nel quale cerchiamo di galleggiare. Ma ahimé, spesso anche in ambito femminista mi scontro con realtà che mi deprimono, mi scoraggiano e avviliscono.
Bazzicavo sulla pagina Facebook di Femminismo a Sud, uno degli spazi che ho contribuito ad animare e al quale mi sento ancora molto legata, e mi trovo davanti agli occhi un post con una frase attribuita a Gary Francione, noto e controverso attivista animalista (sui suoi meriti e demeriti non mi soffermo in quanto la frase poteva essere attribuita, per quanto qui mi interessa, anche ai soliti Jim Morrison, Martin Luther King o Madre Teresa di Calcutta).
La frase, tradotta in maniera un pò zoppicante (cercherò di renderla un pò più scorrevole), è la seguente:
“Se dichiari di essere femminista… ma non sei vegana, hai le idee confuse, perché qualsiasi teoria femminista coerente richiede il veganismo. Una vera femminista si oppone alle gerarchie basate sul potere. Prima di tutto, il nostro consumo di prodotti animali non è null’altro che un’espressione di potere. Consumare prodotti animali ha lo stesso valore dello stupro in quanto rappresentano l’imposizione di sofferenza (ad altri) basata su questioni di potere. Secondariamente i prodotti animali, in particolare quelli dell’industria lattiero-casearia, derivano dallo sfruttamento della maternità.”
Nei commenti, molte sono state le femministe che hanno reagito negativamente a questa frase, spesso in maniera quantomeno verbalmente violenta e riportando brevi luoghi comuni al posto di ragionamenti articolati – it’s facebook baby! – ed a loro dedico le righe che seguiranno.
A prescindere perciò da chi sia Gary Francione, e dal tono catechizzante della frase che sicuramente ha avuto un effetto boomerang (visto che fa mettere le persone sulla difensiva anziché metterle nella disposizione d’animo di ascoltare e mettersi in discussione) poiché parlare di ver* femminista o antispecista o antirazzista non ha alcun senso ed è una delle peggiori piaghe dell’attivismo che definirò purista, o ‘a punti militanti’ – quello che per scardinare delle gerarchie ne crea altre di supposto merito basate su differenti parametri, ma seguendo le stesse logiche contro cui si scaglia – quello che noto è che forse, a volte, sopravvaluto il potere del femminismo di rivoluzionare la vita delle persone. Non perché non sia una pratica dirompente, anzi: ma perché, come recita il proverbio, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
E a malincuore devo dire che molte femministe, donne che lottano anche strenuamente per liberarsi e liberare altre donne dal giogo patriarcale, hanno, nei confronti dell’antispecismo lo stesso atteggiamento di dileggio, sfottò, quando non aperta rabbia e fastidio, del più becero dei maschilisti di fronte all’antisessismo.
Se c’è una cosa che ho imparato del mondo dell’attivismo in generale, è che essere attivist* non coincide automaticamente con l’essere non solo eroi/eroine, ma nemmeno persone particolarmente coerenti/empatiche/aperte… o persino socievoli!
Perciò sono consapevole che anche in questo, come in ogni ambito, troverò persone di ogni tipo – con le proprie incoerenze, idiosincrasie, disinteressi e limiti.
E va bene così, fintantoché quello che traspare non è aperto disprezzo, cosa che non sono in grado di tollerare.
Per quanto mi riguarda, il discrimine tra un comportamento accettabile e uno inaccettabile – in generale, ma soprattutto e ancor di più in ambito militante – sta nella capacità di ascolto e di confronto nella differenza. Facile restare nel proprio mondo rotondo di certezze acquisite, è quello che ci insegnano a fare nel sistema nel quale siamo scagliat* alla nascita, a fare quello son buon* tutt*.
Difficile ascoltare e accogliere, soprattutto quando ci mette in discussione in prima persona, dimostrandoci senza tanti giri di parole che il sistema di dominio è un sistema non verticale, piramidale, ma complesso e multiforme, nel quale nessuno è vittima tout court, ma tutt* anche carnefici di altre vite ed altre esistenze, che non possono restare inascoltate e respinte quando le loro grida, la loro sofferenza, il loro anelito di vita viene spento nella violenza (ancorché tenuta ben lontana dal ‘paradiso artificiale’ – si fa per dire – nel quale ci vogliono immers*).
Dei legami tra femminismo e antispecismo (senza escludere antifascismo e antirazzismo) si parla tanto e già da tanto, come sanno ormai tante persone.
Abbiamo dato vita al progetto intersezioni proprio perché sentiamo che quei luoghi dove si parla SOLO di femminismo, o di antispecismo, o di antirazzismo, o di antifascismo non ci corrispondono, o meglio, noi vogliamo di più … vogliamo tutto!
‘Nessun* sarà liber* finch* qualcun* sarà oppress*’.
La libertà non può e non deve essere prerogativa di poch*, o tant*, deve essere prerogativa irrinunciabile di tutt*, altrimenti non è libertà ma privilegio.
E l’ultimo baluardo di privilegio, quello più irrinunciabile per molt*, uomini e donne, è quello che ci dona acriticamente, in quanto ‘esseri umani’ (categoria del pensiero e non di natura inventata allo scopo di sfruttare altri esseri viventi e anche altri umani, modulando sulla presenza o meno delle ‘migliori’ prerogative umane – essere umani, bianchi, maschi, abbienti e di classe elevata – la gerarchia dello sfruttamento di tutt* coloro che non possiedono l’optimum dei requisiti) – il dono di FOTTERCENE APRIORISTICAMENTE della dose di violenza che imponiamo ad altri animali, umani e non, spesso comodamente per interposta persona, ma non per questo meno orrendi.
Fatevene una ragione: siamo animali, che vi piaccia o meno.
Abbiamo, come animali, caratteristiche peculiari? Sicuramente, come tutte le altre specie, vedi quelle che volano senza ausili meccanici, o nuotano e non affogano.
Sono queste nostre caratteristiche peculiari motivo sufficiente per sfruttare ed uccidere gli altri animali?
Non proprio, considerato che ci siamo creat* una scala di valori a nostro personale uso e consumo (la ‘razionalità’ un valore? Eh sì, tanto quanto la dotazione di un pene!) e abbiamo potuto farlo semplicemente costruendo il nostro privilegio con l’imposizione della forza e di immane violenza su altre e altri.
A quelle femministe che derubricano ad inessenziale, dileggiano o apertamente osteggiano l’antispecismo voglio far notare che nel non prendere in considerazione il proprio ruolo di oppressione sugli altri animali, nel non lasciare aperta la porta alla novità e al cambiamento, nel non mettere in dubbio il proprio ‘privilegio’ umano, voltano le spalle ad una enorme potenzialità, e non solo rivoluzionaria per loro stesse ma anche per la ‘causa’ per cui dicono di lottare, ossia quella delle donne, le cui istanze sono inscindibili dalla messa in discussione di un sistema basato sull’oppressione di determinati gruppi su altri, in tutte le possibili e immaginabili combinazioni.
Non è ancora giunta l’ora di mettere in discussione anche i propri privilegi oltre a quelli patriarcali?
Meditate femministe, meditate.
Ps: Affermare lapidariamente che antispecismo e femminismo non c’entrano nulla, sminuendo così il lavoro di tante studiose femministe che hanno contribuito con i loro preziosi scritti a porre nella giusta luce la questione animale e quella femminista in un’ottica intersezionale è, come dire… un pò superficiale, e dimostra di non avere le idee molto chiare a riguardo. Perciò, dopo aver affermato con soddisfazione che la terra è piatta, sarebbe possibile guardare senza pregiudizi a quelle teorie che la postulano rotonda?
Approfondimenti:
Guarda il video ‘intersections’ di Breeze Harper sottotitolato in italiano:
Esauriente bibliografia ecovegfemminista.
Leggi anche di
– intersezionalità
– zoofobia
– mentalità della carne
– antifascismo e antispecismo
– prede
Ciao Elisa,
grazie a te per il tuo commento!
Vorrei rispondere in maniera affermativa alla tua giusta obiezione, ma in realtà non credo – purtroppo – che le cose stiano così. Ho notato anche io l’infelicità di una frase che riduce l’antispecismo al veganismo (caratteristica di certe correnti animaliste) è una frase che io personalmente avrei avuto molte perplessità a pubblicare così com’era: righe del genere estrapolate da un contesto più ampio di discussione risultano molto ‘giudicanti’.
Comprensibile dunque che alcune persone non l’abbiano gradita… ciononostante c’è modo e modo di esprimere le proprie obiezioni, perplessità e contrarietà: io prediligo lo scambio di idee argomentate, ma sempre rispettoso. Se non si è capaci di superare i propri steccati ideologici o non si ha voglia di approfondire argomenti di cui si conosce poco o nulla, sarebbe meglio, piuttosto di lanciare nel web due righe inutili e piene di disprezzo, saltare a piè pari l’argomento, o meglio astenersi dal giudizio lapidario e lasciare spazio ad altre persone di discuterne, potendosi poi così formare un’opinione più precisa. Mi rendo però conto che facebook è facebook, e la maggior parte delle interazioni sui social network stimolano un atteggiamento ‘intellettualmente involuto’ – per essere gentili – motivo per cui lo aborro perlopiù.
ciao
intanto grazie per i tuoi articoli. mi hanno messo in discussione molte volte e allargano il mio orizzonte.
sull’articolo in questione: secondo te la rabbia delle risposte non nasce forse da quella frase che riduce l’antispecismo a veganismo?
ciao Elisa