Da Abbatto i Muri:
Oramai in Italia fa status quel che si riesce a combinare con l’utero. Proprio come un tempo. Se non hai figli sei meno che niente. Se non ne vuoi avere hai dei difetti psichiatrici e se ce li hai e non assumi la posa sacrificale della madonna allora certamente sei dalla parte dei cattivi.
Di come la genitorialità sostituì la dimensione politica delle persone e di come in nome di una sacra e immacolata maternità si arrivò ad una trasversalità interclassista che va da donne di estrema destra, donne ultracattoliche, a donne di sinistra, o almeno questo dicono di essere.
In Italia, dunque, siamo ben oltre il Donnismo. Il donnismo, che è l’unità tra le donne in quanto donne, uterodotate, mentre in ogni dove fior di filosofe dichiarano che la “donna” è una invenzione, non poteva che diventare megafono del Mammismo. Madre e dunque Sono. E mi chiedo cosa abbiano queste donne in comune con altre, tante, precarie o non precarie, che comunque non assumono lo status in dipendenza della biologia. Mi chiedo cosa abbiano in comune con le trans, per esempio.
La “madre” (in quanto madre e in special modo quella “separata”), quella che parla di se’ in senso parecchio tradizionale, ha impoverito il dibattito italiano, offrendo stereotipi sessisti a iosa contro quelle che non sono come lei, e ciò che porta è la sua richiesta in quanto madre e non in quanto persona. Esattamente in linea con quella che potrebbe essere la politica di una donna di estrema destra, alcune madri chiedono aiuto in nome del sacrificio che compiono mentre crescono i figli della patria.
Così sono felici se un decreto legge sul femminicidio parla di tutela a madri e donne incinte (ti tutelo in quanto madre e non in quanto persona!) mentre nulla si dice sul fronte della violenza di genere che riguarda tutti i soggetti vittime di violenze per i pregiudizi e gli stereotipi sessisti attribuiti al loro genere di appartenenza.
E il punto è che ‘ste madri, ovviamente, si rappresentano sempre come delle sante donne.Tra loro non sembrerebbe esserci una prostituta, una che abbia mai ruttato e digerito male, una che non abbia una qualche giustificazione morale per gli improperi che lancia sul web. Sante, certo, ma con la grinta giusta, un sacro fuoco negli occhi, perché in nome della maternità e dei loro figli potrebbero dire e fare di tutto. Tante Giovanna D’Arco con l’aureola che in risposta all’influenza culturale che nel dibattito italiano possono avere i padri incazzati comunque non pronunciano mai il soggetto Io. Non è la loro storia quella che raccontano ma quella di tutte le madri e quando parlano male degli uomini e dei padri parlano male di tutti.
Dopodiché nonostante la precarietà che riguardi tutto il mondo ‘ste mamme (donne perbene) fanno richieste che riguardano solo la propria condizione, si dipingono continuamente come vittime e persone svantaggiate, che poi è esattamente il ruolo che paternalisti e patriarchi vari hanno tutto l’interesse a ricucirci (a noi tutte) addosso, e dunque vittime tra le vittime possono andare in avanscoperta a definire tutti i padri come dei ladri, mentecatti, che non passano l’assegno perché rubano o perché comprano gioielli alle amanti (donne permale). Così da una parte leggi alcuni tra i padri separati, che generalizzano e producono anche loro stereotipi a bizzeffe, a dire che le donne sono tutte cattive e le madri sono tutte delle mantenute e dall’altra queste donne che si impegnano ad apparire le più sante tra le sante e a demonizzare ‘sti uomini che pur di farli apparire ricchi direbbero che con i loro magri stipendi da operai farebbero sprechi e controsprechi.
Le madri svantaggiate dunque chiedono per se’ particolare attenzione e assistenza. Legislazioni che le tutelino come fossero panda in estinzione e – se separate – con l’aiuto dello Stato sono pronte a fare guerra ai loro ex per pignorargli tutto il pignorabile perché questi fedigrafi sono brutti e cattivi e devono pagare per tutto quello che hanno fatto.
Ora, so che la questione è tanto delicata e forse più complessa di così, ma io che sono stata madre (pure separata) intanto non mi sono mai sognata di fare lotte per chiedere qualcosa in nome della mia particolare condizione. Rivendico diritti in quanto persona, come tutte le persone di questo mondo, e non in quanto utero e dunque quando intervengo in termini politici per parlare della precarietà, per esempio, parlo di persone, tutte, uomini, donne, migranti, sex workers, trans, lesbiche, gay, operai, persone resistenti, e quel che mi chiedo quando leggo di queste lotte di parte è se mettano in conto che ci sono donne, madri, straniere, che in questo dibattito non vengono neppure incluse.
Dunque quello di cui si parla in Italia sono le madri, forse separate o forse no, italiane, che esigono correttivi legislativi per se’ in quanto che vorrebbero lo Stato le aiutasse a restare per sempre, sempre, sempre attaccatissime ai propri figli. Vogliono essere pagate in quanto che sono le sacre madri che restano attaccate al ruolo, e immaginano così di rappresentare tutte le altre.
E vorrei dire che io sono madre, fui separata, non voglio essere rappresentata da istanze che non mi riguardano, non c’entro nulla con questo dibattito, non faccio la beddamatre santissima neanche per sbaglio, quando rivendico diritti lo faccio per tutti e non in relazione a quello che la gente ha sfornato dal proprio utero, non mi interessa che si aiutino le “madri” a restare a casa con il contributo economico dello Stato o dell’ex coniuge, anzi auspico che le donne, le madri, si uniscano al coro di tutti e tutte coloro che chiedono, esigono, lavoro a tempo pieno per poter essere indipendenti da chiunque.
Non mi interessano le politiche di conciliazione. Non penso la maternità sia un dono, un privilegio, un cavolo di istinto alla cura elargitoci per “natura”, e tutta quella serie enorme di teorie che arrivano da una retorica che mi fa venire l’orticaria. Non penso che le madri siano quelle che vanno aiutate a restare sempre, sempre, sempre, assieme ai figli perché a parte la maternità la mia vita è sempre stata fatta anche di molto altro e io esigo che la cura della prole sia condivisa con altri adulti. Non penso che l’economia delle persone, contro una precarietà che evidentemente tocca tutti e tutte, debba essere affrontata a compartimenti stagni. Penso sia anche un po’ discriminatorio separare gli italiani dagli stranieri, padri e madri da chi di genitorialità non vuol sentir parlare, i padri dalle madri, le madri dai padri, a fare a gara a chi dice di peggio sull’altr@ per continuare a fare il gioco del Capitale e attivare nuove guerre tra poveri.
Può anche essere che ci siano padri stronzi ma, in questo tempo di magra, tutta ‘sta abbondanza di risorse di maschi virili che comprano gioielli alle amanti lasciando alla fame i pargoli io non la vedo e d’altro canto non vedo queste donne, madri, che si fanno mantenere e poi usano gli euro ricevuti per i figli per andare dal parrucchiere. E lì mi chiedo – proprio perché certe cose le so bene – come sia possibile alla fine che il dibattito delle “madri” scada esattamente sullo stesso piano e non si trovi una via d’equilibrio e di mezzo in cui si riesca a parlarsi da persone normali, con problemi normali e che ovviamente vivono dinamiche normali.
Quelli delle “madri” per status sono dunque, almeno per me, tutti bei discorsi che possono aver presa dove di queste questioni non si sa assolutamente niente, ma giusto io che le ho vissute ho tutti i motivi per essere scettica. Io che mi sono sorbita i giudizi di altre mamme tanto sante e tanto normali mentre avevo il pessimo gusto di lavorare fino a sera tardi per mantenere mi@ figli@. Io che se portavo amici a casa venivo giudicata come “la spostata” proprio dalle santissime e poi trovavo assistenza e amicizia e solidarietà da tutte quelle che venivano giudicate né più e né meno che delle streghe (come me). Io che quella volta che mi presentai a scuola su chiamata della professoressa di mi@ figli@ e trovai altre mamme dovetti giustificare la divisa in mini da cameriera perché “ero un brutto esempio” per i loro figli.
E quando si parla di stereotipi sessisti non posso dimenticare le tante volte in cui le signore borghesi stabilivano per me delle caratteristiche precise. Secondo il loro punto di vista sarebbe stato tanto più ovvio e scontato che io subissi molestie giacché non ero una “normale” moglie e madre. Era una “colpa” il fatto di non indossare l’abito sociale che rivestiva ciascuna di loro quando portavano in giro il proprio status convinte che quello potesse essere il lasciapassare per ogni cosa.
E insomma, non sto qui a ragionare di questo a lungo, perché fondamentalmente a me piace semmai parlare di genitorialità, dove se la “donna” è una invenzione lo è ancora di più la “madre”. Una bella invenzione culturale/retorica che ci imprigiona in un ruolo e ci schiaccia a celebrare una cultura catto/fascista che certamente non mi appartiene. Mi sento davvero a disagio quando leggo di madonnità presunte tra signore sedicenti ottime madri e vado sempre in cerca dell’imperfezione, di quella che almeno abbia il coraggio di dichiarare la propria umanità, ché l’anarchia di genere inizia anche a partire da lì.
Io rifiuto di definire il genere che mi hanno attribuito, rifiuto lo status, perché sono semplicemente una persona e di essere rappresentata da categorie che intercetterebbero le rivendicazioni del mio utero davvero non ho alcuna voglia. Sono più di questo. Sono altro a parte questo. Sono vento, sono respiro, sono vita e quando parli di violenza e autoritarismo e offesa all’autodeterminazione delle persone mi piace definire quel che avviene non per cliché e luoghi comuni ma nelle dimensioni intere della politica e delle dinamiche sociali e relazionali.
Ero ferma a guardare al mio ombelico forse un bel po’ di anni fa ma sono cresciuta. Direi che come primo atto di autonomia celebro la diserzione da ogni ruolo imposto, incluso quello di “madre” (e separata) che obbligatoriamente dovrebbe fare parte di un gruppo con una precisa idea politica delle questioni. Mi riapproprio di quel che sono e sono stata e non lascio che anche questo pezzo di me venga trascinato per derive che non mi rappresentano.
Amate celebrare il materno? Fatelo pure. La libertà di opinione è un gran diritto e lo è anche quello di manifestazione politica. Ma non fatelo in mio nome perché non siamo tutte uguali. Proprio non lo siamo.