Una volta lo stupro era un reato contro la morale. Poi divenne reato contro la persona. In termini culturali questo è un passaggio non da poco che evidentemente, però, non è stato ancora recepito in senso culturale.
Leggo che nel Salento, a seguito di un tot di stupri, il Prefetto ha posto il divieto su alcolici ed happy hour. Un procuratore aggiunto parla di violenza sessuale come sintomo di “disfacimento di costumi”. La soluzione dunque starebbe nel riportare ordine (pubblico) in quella zona ed esigere un ripristino della morale in senso tradizionale.
Quando un tutore viene chiamato a occuparsi del diritto all’autodeterminazione delle donne, inclusa quella sessuale, non sa fare altro che stabilire norme che ne moralizzano e stigmatizzano il comportamento. Solitamente si dice che sono loro quelle dai costumi disfatti, discinti, con troppa carne esposta, fuori a fare cose improprie durante ore in cui le femmine dovrebbero stare già a cuccia. Stavolta si parla di “disfacimento dei costumi” in senso ampio. Anzi si dice che i litri d’alcool libererebbero i freni inibitori e che lo stupratore che è in te alla fine si fa vivo.
Il punto chiave della faccenda però è che qualunque situazione è pensata a seguito di ipotetico “allarme stupri” con relativa emergenzialità che legittima la repressione. Mi chiedo dunque se tolto di mezzo l’alcool il problema è risolto perché mi pare che di immaginare soluzioni culturali con sensibilizzazioni sulle questioni di genere non ci sia proprio voglia.
Considerare il corpo di una donna come oggetto per soddisfare unicamente il proprio piacere non è una questione d’emergenza, non è un fenomeno da considerare in senso allarmistico tanto per evocare militarizzazioni dei corpi e delle abitudini, le femmine a casa con il coprifuoco e gli uomini in punizione se bevono più di tanto, perché mi pare che in qualche caso si sia parlato di droga dello stupro, di farmaci che rincoglioniscono le donne per poi poterle stuprare. Dunque la questione c’entra poco con il “disfacimento dei costumi” e c’entra tanto con l’intenzione di stuprare qualcun@ ancora prima di uscire fuori a far baldoria.
Il ragionamento del Prefetto in questo caso sembrerebbe semplicistico: le ragazze e i ragazzi escono e bevono. La droga dello stupro si scioglie nel bicchiere e dunque togliamo di mezzo il bicchiere e pure le feste così abbiamo risolto. Simpatico sillogismo. Ma è utile?
Perché piuttosto non si restituisce la soluzione a donne e uomini che potrebbero metter su dei chioschi di informazione su quel che può succedere, con tanto di materiale divulgativo che sensibilizza sulla violenza sessuale ed eventuali altre forme violente di discriminazione? Perché non si approfitta delle feste, dell’affluenza di tante persone giovani per raccontare loro un po’ di cose sulla sessualità piacevole, bella, consensuale?
E quel che mi viene in mente è che in fondo si parte sempre da un punto di vista decisamente paternalista. Quel che va difeso è l’onore e il corpo vergine della fanciulla, la sua sacralità in nome della sua funzione di futura moglie e madre. Non si ha interesse a dirle che può fare sesso quanto vuole e con chi vuole purché stia bene e sia consensuale. Le soluzioni che si basano sulla morale in fondo riproducono la stessa, identica, mentalità che genera la violenza sessuale: se non sei una brava ragazza non ti succederà nulla, se tu ragazzo non hai tentazioni non farai niente di male. Colpevoli a prescindere e dunque tutto quel che si fa, di solito, è contenere i loro impulsi.
Ho un@ figli@ e a fronte dei rischi che potrebbe correre la migliore arma che ho sempre usato, invece che farle terrorismo psicologico, è quella di fornirle strumenti critici, consapevolezza. Di certo non si può procedere per divieti e demonizzazioni della sessualità e non si può chiudere un@ figli@ in casa per proteggerla e per quanto tu possa volerle bene non si può passare il tempo a demolire la sua sicurezza, l’autostima, a inquinare la sua percezione delle cose dicendole che il mondo fuori è brutto e che è meglio evitare o, peggio, deve affidarsi ad un tutore/protettore, perché tanto lei non sarà mai in grado di prevenire e difendersi.
Personalmente credo che quando si parla di violenza sessuale bisogna perciò mettere in scena tante slut walk ma in generale chiedo: si può davvero immaginare di risolvere il problema con sistemi di contenimento della sessualità delle persone?
Ps: Quando si parla di stupri si fa spesso terrorismo psicologico, il che finisce per essere incentivo per ritenere che le figlie debbano essere affidate a tutori/protettori quando vanno in giro. Non uscire da sola la sera. Fatti riaccompagnare dall’amico. Se esci con lui è meglio. Se, dunque, appartieni, sei di proprietà di qualcuno, sopravvivi, e altrimenti niente. Una mia vecchia amica fu stuprata giusto dall’amico al quale si era affidata per vivere una serata senza problemi. “Che stupida!” – mi disse. “Avrei dovuto immaginarlo…”. Perché è vero che certe volte siamo “stupide” ma è anche vero che questo continuo martellare sulla nostra insicurezza chissà che non ci esponga ad ulteriori pericoli. Chi tutoreggia i tutori? Chi ci difende dai nostri presunti difensori? Reti sociali, di donne e uomini, senza alcuna ambizione di sorveglianza, controllo, moralizzazione della vita altrui, in cui le relazioni sono paritarie, orizzontali e non verticali, dove non c’è differenza tra la fanciulla considerata perennemente debole e indifesa ed un tutore considerato sempre tanto più forte di noi. Questo, forse, serve. Perché queste sono, in fondo, le radici culturali della violenza. Queste. Io credo. Ed é davvero così difficile da capire?
[da Abbatto i Muri]