Il video è a cura del Collettivo VengoPrima che è stato ed è protagonista di una r-esistenza che in Veneto ha visto tante donne tentare di opporsi all’ingresso dei volontari del Movimento per La Vita nelle corsie degli ospedali. Da quel che leggo a proposito della convenzione stipulata tra l’associazione e la Asl padovana sembrerebbe però che il MpV sia riuscito nel suo intento.
Quel che succede a Padova ha comunque radici più lontane. Nel 2010 il neogovernatore Zaia legittimava a livello istituzionale le istanze no-choice e giusto a partire da Padova ricordiamo una assemblea di donne e una manifestazione a Venezia per difendere autodeterminazione e diritti acquisiti.
Nel 2012 il MpV presentava alla regione una proposta di legge di iniziativa popolare per fare entrare i suoi volontari in consultori e ospedali pubblici. La proposta venne ripassata, con alcune modifiche, e presa in considerazione anche grazie ai voti del Pd (11 per l’esattezza). A questo proposito potete leggere QUI il report del Collettivo VengoPrima. QUI potete leggere una ricostruzione della faccenda a cura di #Save194Lazio. Infine le donne che si opponevano alla legge invitarono a scrivere a tutti i riferimenti regionali per tentare di impedire la redazione del regolamento di applicazione delle eventuali norme.
Non paghe di tutto ciò, le forze del bene a tutela dell’embrione, continuavano gli esercizi di preghiera fuori da ospedali vari non senza incontrare altre donne di parere totalmente opposto.
Infine la notizia più recente che parla della Convenzione padovana grazie alla quale, per l’appunto, le volontarie e i volontari del movimento per la vita potranno entrare nelle corsie d’ospedale (pubblico). Così saranno autorizzati ad aprire uno sportello d’ascolto “nel polo di Piove di Sacco ma anche a girare per i reparti, muniti di appositi distintivi di riconoscimento.”
La Convenzione sembrerebbe anticipare un vuoto legislativo tuttora esistente colmato “con l’emendamento preparato al volo dal presidente della commissione Sanità, che vede la Regione «promuovere la diffusione, la divulgazione e l’informazione sui diritti dei cittadini in ogni ambito, in particolare con riferimento alle questioni etiche e della vita».”
Sicché in quell’ospedale i volontari no-choice potranno parlare con le pazienti, dare “sostegno morale e psicologico” (con quale preparazione? a che titolo? non esistono sufficienti psicologi negli ospedali pubblici che accedono tramite concorso? e soprattutto è un “sostegno” richiesto oppure no?), fare “sensibilizzazione della comunità civile” (leggasi evangelizzazione e indottrinamento, ché se io chiedo di fare la stessa cosa da femminista immagino mi caccino fuori a calci, no?), “promozione di iniziative formative, educative e informative“. Ai volontari no-choice pare che l’Asl garantisca anche la copertura assicurativa giacché “si impegnano a: «segnalare eventuali disfunzioni nei servizi, partecipando a verifiche sulla qualità ed elaborando proposte per il loro miglioramento»” e perdonatemi se questo non mi rende per nulla serena.
Il punto è che gli ospedali pubblici vengono pagati con risorse pubbliche, dunque con le vostre tasse. Imporre in quel contesto una dottrina e un indirizzo che non ha nulla di laico è giusto? E’ giusto esporre le donne che scelgono di abortire alla propaganda di movimenti no-choice? E’ giusto esporre queste donne ad una costante pressione, patologizzazione, criminalizzazione e al ricatto psicologico?
Chiunque abbia voglia di realizzare delle opportunità per le donne ha il dovere di farlo senza sovradeterminarle e a partire dall’ascolto, dal rispetto per le loro scelte.
Ma quel che vorrei sapere adesso è: l’emendamento presentato in commissione sanità regionale per consentire tutto questo è stato votato a maggioranza? all’unanimità? da chi?
Inoltre, parlando di prevenzione per impedire l’aborto: non mi risulta che il MpV contempli la possibilità di accedere a corsi di educazione sessuale in cui si spieghi come prevenire gravidanze indesiderate. Anzi, mi pare abbiano dei problemi anche con la contraccezione, quella ordinaria e quella d’emergenza. La loro attività, da quel che so, sostanzialmente punta a farti accettare quel che avviene perché si intenderebbe che le donne che abortiscono poi vivrebbero traumi inenarrabili perché infelici, inadeguate, bambine, irresponsabili.
Parlare con le donne dei gruppi no-choice è quasi impossibile perché ti impongono una morale, non ti lasciano il diritto di autodeterminarti, essere informata ed assistita qualunque sia la tua precisa scelta. Inutile dire che una legge deve invece per forza di cose essere laica, ovvero deve garantire a loro di fare ciò che credono, perché nessuno impone l’uso della contraccezione, l’aborto, se non vogliono, ma deve allo stesso tempo garantire a me e a tutte le donne che ne hanno necessità di fruire di servizi che mi sono dovuti.
Dunque il dibattito resta sempre fermo sugli stessi punti e nel frattempo continua la crociata tesa a rendere impossibile l’applicazione della Legge 194. Oltre a tutto quello che ho già ricordato vale la pena aggiungere che da qualche anno, per esempio, in maniera sempre più insistente, gruppi no-choice chiedono l’approvazione di regolamenti comunali e regionali che istituiscono cimiteri per i feti e per gli embrioni con obbligo alle donne che abortiscono, per scelta o per motivi terapeutici, di optare per la sepoltura o la discarica, tanto per indurre altro senso di colpa, e i cimiteri sono il modo attraverso il quale si suggerisce che l’embrione è una persona e chi ne causa la prematura sepoltura sarebbe un’assassin@.
Ancora più importante è l’iniziativa “Uno di Noi“, con l’obiettivo di raccolta di un milione di firme in tutta l’Europa, da presentare alla Comunità Europea, per chiedere “l’esplicita affermazione che ogni essere umano, fin dal concepimento, è titolare di tutti i diritti umani, a cominciare quindi da quello alla vita.“. Rendere l’embrione titolare di diritti “umani” significa evidentemente anche stabilire che l’aborto sarà considerato un crimine contro l’umanità. Non vedete anche voi un bel futuro fatto di galere e catene per donne e medici che praticano l’aborto?
In tutto ciò i Movimenti no-choice dimenticano la quantità di donne morte per aborti clandestini, modalità che a fronte della enorme quantità di obiettori di coscienza nei nostri ospedali sembra essere tornata di moda tra quelle persone che non possono permettersi un intervento presso privati. Perché ad agire nella clandestinità la differenza tra la vita e la morte la fanno sempre i soldi. Le povere e le migranti ricorrono sempre più spesso ad un farmaco che non è meno dannoso e tragicamente pericoloso degli infusi di prezzemolo o del ferro da calza che finiva per massacrare l’utero.
Possibile, davvero, che nel 2013 le donne devono ancora fare le barricate per avere diritto a vivere una sessualità consapevole, consensuale, sicura e una maternità responsabile?
[da Abbatto i Muri]