Da Abbatto i Muri:
Me lo segnala Frantic e vale la pena che io lo riproponga perché dice in sintesi cose che io non saprei dire altrimenti. Ma tutto quel che è scritto vale senza dubbio anche per le politiche dell’identità di genere (le donne…) quando, per l’appunto, promuovono, alleanze interclassiste “offrendo quindi a coloro con più potere gli strumenti per silenziare i segmenti più marginalizzati all’interno di dette alleanze” – ovverosia noi precarie che non saremo mai in grado di dettare l’agenda politica che ci viene perennemente imposta dall’alto. Il tema dunque torna anche se qui è ragionato sulle identità glbtqi.
Tesi sulle politiche dell’identità
Le politiche dell’identità sono sempre basate sull’appiattimento dell’esperienza, rendendo la critica alla società più astratta che vissuta.
Le politiche dell’identità promuovono alleanze interclassiste, offrendo quindi a coloro con più potere (e quindi un interesse nella proliferazione della società di classe) gli strumenti per silenziare i segmenti più marginalizzati all’interno di dette alleanze.
Le politiche dell’identità hanno le proprie radici nell’ideologia della vittimizzazione, e quindi celebrano e rinforzano le norme attorno a quali attività le persone possono possono partecipare. Questo si verifica rafforzando certe mitologie circa la lotta (ad esempio “solo gli uomini-cisgender-bianchi partecipano ai black bloc” oppure “le persone oppresse sono incapaci di attuare certe strategie di rivolta”).
Le politiche dell’identità sono sempre basate sulla fallacia delle comunità coerenti. Qualche francese una volta disse che “ci sono differenze etiche più grosse tra coloro all’interno delle comunità, che tra comunità.” C’è da dire che quell* intrappolat* presso certe “comunità” o confini identitari spesso hanno meno in comune tra di loro che con coloro a cui sarebbero teoricamente “opposti”. Una frocia/trans/intersex in prigione ha più aspetti in comune con il/la su@ compagn@ di cella eterosessuale e cisgender, che con qualche stronzo senatore gay, e tuttavia la mitologia della “comunità queer” serve a soffocare i nemici della società e a soggiorarli ai loro autonominati rappresentanti.
Le politiche dell’identità sono fondamentalmente riformiste e cercano una relazione più favorevole tra differenti posizioni dei soggetti piuttosto che abolire le strutture che producono quelle posizioni fin dall’inizio.
Le politiche dell’identità si oppongono al “classismo” mentre mantengono la società di classe intatta. Qualsiasi resistenza alla società deve mettere in primo piano i processi soggettivanti che riproducono la società quotidianamente, e deve distruggere le istituzioni e le pratiche che razzializzano e genderificano i corpi all’interno dell’ordine sociale.
Le politiche dell’identità sono dispiegate da, si riferiscono intrinsecamente a, valorizzano sempre e solo in sé e per sé lo Stato.
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