Da Abbatto i Muri:
A vederla a prima vista sembrava una città outlet, il centro storico era un grosso centro commerciale a cielo aperto. Musica in filodiffusione. Aria condizionata sparata da tubi attaccati all’esterno dei palazzi. Speciali barriere invisibili a protezione degli effetti del buco nell’ozono. Entrare in città costava un tot ma ottenevi un giro completo in quella grande giostra. Il sindaco vantava un prestigio per aver reso preziosa l’area. Andava in bicicletta. Non sudava mai. Per dimostrare vicinanza al popolo vestiva da operaio, artigiano, carpentiere e ogni tanto andava in visita nei quartieri di periferia. Speciali campi di adeguamento al clima in cui c’era il minimo indispensabile per sopravvivere. I cittadini pagavano una tassa per la frescura che solo i più vicini all’amministrazione potevano installare nelle case. Il buco nell’ozono invece obbligava ad un rivestimento totale della pelle non senza conseguenze sul piano della sicurezza.
La gente delle periferie poteva andare verso il centro soltanto dopo essersi spogliata ai check point. La polizia attrezzata con copricapo a schermo totale sulla restante superficie del corpo eseguiva gli ordini del Ministero per la Felicità. Donne e uomini interamente coperti avrebbero potuto essere degli attentatori.
I guai cominciarono quando il sindaco di centrosinistra decise di fornire un servizio treni ad alta velocità, muniti di tutti i confort, per portare ricchi visitatori in centro città. Il progetto prevedeva l’abbattimento di una vasta area di alberi e privava i cittadini locali delle sorgenti d’acqua. Alberi e acqua erano fonte gratuita e necessaria per sopravvivere agli effetti del buco nell’ozono. Senza quelli anche gli abitanti di quella zona sarebbero finiti nei campi di adeguamento al clima pagando ciò che prima avevano sempre a disposizione.
Il sindaco tentò di stringere accordi con i montanari. Avrebbe fornito speciali costruzioni. Aree di refrigerio. Tettoie per riparar dal sole ciascuno di loro. Ma cosa ce ne facciamo di frigoriferi ambulanti e ombra artificiale se abbiamo già quello che ci serve? Dissero no, quei gran testardi montanari, e cominciarono i picchetti per impedire che quegli alberi fossero abbattuti.
I più anziani conoscevano la montagna come le loro tasche. Avevano dato un nome anche alle pietre, perché tutto quanto aveva un’anima. Su ogni filo d’erba c’era scritto il futuro. Ogni roccia rappresentava un motivo di resistenza. Perché la montagna appartiene a chi se l’è guadagnata e non è in vendita proprio per nessuno.
Le polizie recintarono una vasta area e cominciarono a devastare quella terra e quegli umori. Di giorno tiravano su le barriere e di notte i montanari le demolivano. Diavolo di un brigante, diceva il poliziotto, da dove spunta fuori? Perché quei militari erano stranieri e invece i resistenti custodivano il segreto di scorciatoie e sentieri impraticabili che tolgono ogni illusione a quei recinti. Una montagna non si arresta. Non puoi condannare alla prigione gli alberi. Non puoi separare umani e rocce perché sono una cosa sola. Se scavi la montagna scavi un cuore.
Il sindaco era il più buono tra i buoni e aveva dalla sua un giornale chiamato “La bontà del Sindaco” che raccontava in chiave epica tutte le sue gesta. Di quando ebbe il coraggio di attraversare un check point senza alcun copricapo protettivo per dimostrare alla gente di là dal confine che era solidale con le loro sofferenze. Di quando prese in braccio un bimbo la cui pelle era ustionata per tre quarti per confermare tutta la sua umanità. Telefonate al numero 488XX per contribuire alle spese per la terapia. Va in onda Telethon e si può chiamare 24 ore su 24 perché il Ministero della Felicità aiuta per davvero i bisognosi.
La sera che il Sindaco andò in quella montagna per ragionare con i montanari si trovò di fronte gente dalla faccia dura, potere della simbiosi, per cui la loro faccia sembrava di pietra e quella pietra piangeva lacrime umane. Pensate che gli impedirono perfino di farsi fotografare mentre inscenava la consueta stretta di mano con quello che volevano chiamare capo montanaro. Anche i coloni americani stringevano la mano degli indiani d’america prima di rinchiuderli nelle riserve. E dunque il Sindaco può tenersi la sua mano e se ci tiene può farsi fotografare mentre guarda me che mostro il dito medio.
Irrispettosi, senza dubbio, questi montanari senza decoro né decenza. Avrebbero mostrato il culo indispettito per rendere il soggiorno al sindaco un po’ più scomodo. Ma se venite giù nella mia città perfetta potrete essere mie graditi ospiti, diceva il Sindaco. E chissenefrega, rispondeva l’altro, braccia conserte, espressione sfottente, ché io nella tua città di plastica, un po’ finta, per gente altrettanto finta, non ho alcuna voglia di venire. Io voglio restare qui dove c’è ancora l’odore vero della terra, dove ascolto i miei pensieri perché di musica in filodiffusione che mi distrae mentre arricchisco i commercianti non ho alcun bisogno. Sono qui, con il mio passato, il mio presente e il mio futuro, e decido se restare o andare ma qui mi sento libero e altrove invece no.
Quella del Sindaco fu l’ultima mossa, l’ultimo tentativo, dopodiché il Ministero della Felicità fece un decreto a protezione della salute psicofisica dei bimbi della montagna. Dissero che i montanari non li mandavano a scuola e che li facevano vivere veramente molto male. Dunque era indispensabile un intervento a cura dello Stato che già che c’era decideva di sottrarre altra terra a quella gente per tutelare i militari che andavano lì a fare gli interventi umanitari.
Presero i bimbi in ostaggio, li portarono al di là della rete. Gli adulti che rimasero a resistere furono chiusi in un campo – sorvegliatissimo – di adeguamento al clima costruito su quella montagna. Fu tolta la sovranità territoriale agli amministratori dei paesi. Poteri commissariali furono dati al Ministero il quale Ministero li assegnò al sindaco stra-buono. Un bel servizio televisivo mostrò il Sindaco sereno e sorridente, maniche arrotolate, oramai gran sex symbol nazionale osannato perfino sulle riviste femminili, che poggiava la sua miracolosa mano sui volti dei bambini salvati dai perfidi montanari. Infine un bel confronto fotografico tra l’espressione quieta dell’amministratore e il volto ingrugnito di uno dei tanti montanari per stabilire con certezza la differenza tra buoni e cattivi.
L’esercito circondò infine il campo di adeguamento dal quale si poteva uscire solo se giuravi fedeltà al Sindaco, al Ministero della Felicità e ai giornalisti embedded che ripetevano all’unisono: “solidarietà a magistratura e polizia per le gravissime offese subite…“.
Mi chiamo Sergio e sono uno dei bambini sfuggiti alla deportazione. Vivo da anni in mezzo ai boschi e ho scoperto che qui siamo in tanti e non ci troverà nessuno. Il nostro piano? Vogliamo liberare i grandi. E lo faremo. Si che lo faremo.
Ps: E’ una storia di pura invenzione. Ogni riferimento a cose, fatti, persone è puramente casuale.