E’ cosa nota, almeno a chi è cresciuta, e non solo anagraficamente, da un po’, che le favole rappresentano da sempre un mezzo efficace attraverso il quale trasmettere valori, forgiare desideri, costruire immaginari. Belle addormentate nel bosco in attesa di principi a svegliarle, lupi famelici in perenne agguato nelle foreste, fanciulle che fremono per la serata di gala che potrebbe essere risolutiva per la loro vita, una vita suggellata da un lieto fine immune da ogni possibile caduta. Le favole dal lieto fine alimentano così la nostra infanzia e spesso la ingannano, orientadola alla ricerca spasmodica della felicità di un calzino rigorosamente appaiato, di colore rosa o azzurro secondo i sessi, naturalmente.
Una vera e propria rabbia per lo stucchevole delle fiabe a lieto fine ha ispirato la serie Fallen princesses della fotografa Dina Goldstein, che ha reinterpretato alcune celebri storie privandole della patina melensa che le rende immuni alla contaminazione con la vita reale: sogni infranti, il cancro, l’obesità, l’estinzione di culture indigene, l’inganno di un’eterna giovinezza.
Dilma Goldstein costringe chi guarda a non eludere il confronto con la realtà anche dolorosa della vita e attraverso l’obiettivo si domanda: come definiamo il concetto di bene? come facciamo a vivere una “buona” vita?
Sull’onda del successo riscosso da Fallen Princesses, Dina Goldstein ha puntato l’obiettivo contro la Barbie, uno dei simboli più potenti della cultura occidentale, l’espressione della donna perfetta e perciò ideale: giovane, magra e al tempo stesso formosa quanto basta, bionda, occhi azzurri, sempre sorridente, rigorosamente accompagnata dal suo Big Jim e, pertanto, eterosessuale. Nella serie In the dollhouse, Goldstein penetra nell’interno della casa rosa shocking che colora l’infanzia di tante bambine occidentali per ritrarre una vera e propria gabbia, non solo spazio fisico, ma anche psichico, che inchioda i suoi abitanti a dei ruoli dai quali Barbie e Big Jim tentano a fatica di uscire
Non da ultimo, la fotografa rivolge la sua critica anche all’industria del giocattolo che, come Walt Disney e Mattel esemplificano bene, non si limita a fare dell’infanzia uno spaventoso business, ma, più in profondità, codifica norme e ruoli di genere che quindi mette a valore.
Serie completa di Fallen Princesses
Serie completa di In The Dollhouse
[di Panta Fika]