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Se il Governo vuole risolvere il #femminicidio con il delatore d’ordinanza

delatoreDa L’Utero e il Dilettevole:

Estate 2013. Titoli sui media dicono che il Governo ha emanato un provvedimento per condurre una guerra senza quartiere contro la violenza di genere. Dal giorno dopo l’applicazione del Decreto Legge nessuna donna mai dovrebbe essere toccata. Il Dl parla soprattutto di mogli e madri. Per “salvare” le donne in pericolo il governo istituisce la figura del delatore d’ordinanza, per cui potrai anonimamente denunciare il tuo vicino di casa che ti stava sulle scatole perché teneva lo stereo troppo alto o parcheggiava sempre sotto il tuo balcone.

Quando la Polizia riceverà la chiamata si recherà ad effettuare un controllo e se gli agenti riterranno che la vittima sia in pericolo potranno decidere lì, su due piedi, di chiedere un ordine restrittivo, di allontanamento da casa, e dovrà essere la persona accusata a dimostrare che l’accusa non aveva fondamento.

La donna che si sentirà in pericolo può denunciare ma se denunci il governo decide l’irrevocabilità della querela. Dunque non puoi ripensarci e oltretutto per chi è accusat@ di stalking parrebbe esserci l’obbligo di carcerazione preventiva a prescindere dal fatto che l’accusat@ risulterà colpevole o innocente. Se quella che denuncia è una straniera dovrebbe poter godere del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari. Si intende che una donna in stato di clandestinità, date le leggi attuali che regolano i flussi di stranieri in Italia, è ricattabile, come chiunque nella stessa condizione, e dunque avrebbe bisogno del permesso di soggiorno prima di subire violenza e non dopo, come fosse un risarcimento abbastanza improprio che lascia molta amarezza in chi lo riceve. Di altre specifiche e presunte soluzioni potrete leggere più approfonditamente QUI.

Intanto lo stesso Decreto Legge parla anche d’altro. Rafforza la possibilità di punizione e repressione per i cittadini e le cittadine della Val Susa che lottano contro la realizzazione del tratto Tav Torino-Lione, attribuisce ulteriori incarichi ai militari affinché si occupino di ordine pubblico, parla di arresti a tifosi violenti, ladri di rame, ladri di vecchiette. Poi dedica un passaggio a chi sul web non si comporta bene e dunque pare dedichi qualche punizione a cyberstalkers e cyberbulli realizzando un maggiore controllo che potrebbe violare la libertà di espressione in rete.

Chi si aspettava regole che parlassero di prevenzione, educazione, sostegno alle reti territoriali che si occupano di violenza sulle donne resta perciò delus@. Inutile la lunga sfilza di denunce e campagne d’ogni genere, giuste o inadeguate che siano, che tentano di sollevare la questione dal punto di vista culturale. Inutile che in tante si dica che la violenza di genere è relativa ai ruoli di genere assegnati, che il femminicidio deriva dall’idea che la donna sia un possesso, una proprietà di chi non vorrà lasciarla andare, che tutto ciò non è un problema di ordine pubblico da trattare in maniera impropria con ronde condominiali e soluzioni d’emergenza, regalando ulteriori poteri a polizie che non garantirebbero la giusta difesa e uno svolgimento garantista dell’iter d’accusa.

Si tratta di una questione innanzitutto culturale, che attiene alla cultura che tutti/e veicolano ed è un errore enorme partire dal presupposto che la prevenzione affinché una donna resti viva sia quella di mettere in carcere ogni uomo contro cui sarà rivolta una accusa, vera o falsa che sia, perché si rischia di rovinare tante vite, alimentare tanti conflitti anche dove basterebbe una attenzione differente, e perché in ogni caso è come curare il sintomo e non la causa di un problema.

La cultura che determina le violenze ha una radice ben più profonda e si risolve se ci si rende conto che il problema riguarda tutti e tutte. Non c’è un genere che porta in se’ una colpa e uno che è assolvibile di per se’. Risolvere una violenza significa osservarla e risolverla nel contesto familiare e sociale in cui si è realizzata. Significa guardare a tutte le componenti sociali che hanno riprodotto la mentalità che ha legittimato quella violenza. Vuol dire che bisogna abbandonare l’idea che tutto risieda in un mostro quando in realtà l’arma data in mano ad un assassino arriva dritta dalla cultura messa in circolo da chiunque.

L’idea ingenua che separa buoni e cattivi, vittime e carnefici, non è risolutiva di alcunché, giacché lo stesso decreto legge di cui parlo contiene in se’ tutti gli elementi che anzi perpetuano quella mentalità che condanna le donne, per esempio, ad essere assunte come soggetti di valore solo per le proprie funzioni di cura e riproduttive. Uno degli elementi fondamentali di cui bisogna tenere conto quando si parla di violenza di genere è il fatto che le persone vengano obbligate, a seconda del genere che viene loro attribuito, a svolgere compiti, ruoli e funzioni a prescindere dai propri desideri.

Ciascun@ di noi lo sa, in fondo, che madre bisognerebbe esserlo per scelta e quando sono madre non sono debole, fragile, da tutelare, con quella idea paternalista che mi ritiene malata quando sono incinta. Sono persona, in grado di assumermi le mie responsabilità, perché il passo successivo alla pietosa tutela per le donne incinte è quella dell’esclusione – per il mio bene, ovvio – dal mondo del lavoro, da incarichi che non concilino con le priorità di cura e riproduzione che lo Stato mi assegna, ché innanzitutto io non posso essere altro che madre e moglie e poi, soltanto poi, persona.

Pensando poi alla irrevocabilità della denuncia mi vengono in mente tante cose e tutte, purtroppo, negative. Si parte dall’idea che una donna vittima di violenza sia sempre manipolabile, una bambina, un soggetto debole e non in grado di intendere e volere, al punto tale che lo Stato si sostituisce a te e ti dichiara inferma e dunque non ti permette neppure di cambiare idea.

E’ vero che ci sono casi in cui le donne ritirano una denuncia per via di intimidazioni ma è anche possibile che la ritirino perché il problema è rientrato, perché hanno risolto senza mandare in carcere nessun@, perché ciascuno è andato per la propria strada e perché non c’è un pericolo imminente. L’idea imposta nel Decreto Legge è relativa più al bisogno di catarsi e di vendetta sociale di una collettività che intende celebrare la condanna di un uomo a prescindere dal fatto che questo sia il reale desiderio della parte offesa. Non sembrerebbe esserci altra possibilità che questa e una donna che dichiara di non voler mandare in carcere la persona che una volta le ha fatto del male viene guardata con pietà, come fosse malata, sbagliata, da aggiustare. Se non ti reputi abbastanza vittima, dunque, sei colpevole esattamente come il tuo carnefice.

Ci sono casi, poi, in cui le donne hanno gravi problemi di dipendenza economica e sanno perfettamente che la denuncia all’uomo che mantiene loro e i figli significa che finiranno sotto un ponte, giacché lo Stato vorrebbe soddisfare tutti e tutte con la punizione all’uomo ma contemporaneamente vara provvedimenti che tolgono alle donne ogni possibilità di risolvere la propria precarietà e l’assenza di reddito. Una donna che denuncia e vede andare a rotoli la propria vita, laddove quella denuncia diventa un segnale, la possibilità di monitorare la situazione, di intervenire per realizzare una rete di solidarietà e possibilità alternative di costruzione di prospettive economiche per questa donna, se sa che subito dopo la denuncia rimarrà da sola, giacché nessun@ risolverà i suoi problemi economici, di fatto non denuncerà mai.

La irrevocabilità delle denunce e la possibilità di segnalazione anonima diventeranno dunque causa di una omertà maggiore, dove anzi le donne urleranno un po’ più piano, se picchiate, per non farsi sentire dai vicini, i figli non avranno la possibilità di parlarne mai con nessuno, portando dentro se’ un segreto troppo grande e traumatico da gestire, e le donne che davvero rischiano di morire moriranno da sole, in silenzio, senza che nessun@ mai abbia saputo nulla di quanto succedeva.

Prima di tutto serve un osservatorio che analizzi il problema perché non ci sono dati affidabili sui quali basarsi per poi decidere le soluzioni conseguenti. Servono reti di sostegno, un lavoro sulla cultura che impegni tutte le componenti sociali, serve aiuto alle persone coinvolte in queste situazioni, a quella che maltratta e a quella maltrattata, perché tornare indietro, in situazioni di co-dipendenza, dipende da entrambi e non da uno solo. Serve immaginare una serie di prospettive reali che consentano a queste persone di cambiare vita, a lui di smettere di pensare a lei come l’unica cosa alla quale tiene e a lei a realizzare altre possibilità senza dover dipendere da nessuno, Stato incluso.

Quello che serve è investire in autonomie e le autonomie non le realizzi con la repressione e il carcere ma solo con un piano di prevenzione attento che riguardi tutto e tutti/e. Se tutto ciò non si vuole fare di che parliamo allora?

—>>>Per consultare la rassegna stampa con i casi di violenza in Italia vai su Bollettino di Guerra

Posted in AntiAutoritarismi, Critica femminista, Omicidi sociali, Pensatoio, R-esistenze.