Questo scritto non vuole essere né la dimostrazione di una tesi né la confutazione di un’altra; vorrei provare a fornire un ulteriore punto di vista su una vicenda pubblica, che è stata anche vicenda giuridica, e che prima di tutto, questo è sempre da tenere bene a mente, rimane un fatto umano e privato.
L’occasione per parlare di Linda Susan Boreman, in arte Linda Lovelace, attrice americana di film a luci rosse, tra cui il noto ‘Deep Throat’, e di quel che è accaduto intorno al suo personaggio, mi viene data da questo post. L’ho letto diverse volte, e mi ha lasciato una sensazione di incompiutezza, il tipo di disagio che si prova di fronte ad una ricostruzione parziale.
Nel post si suggerisce che gli abusi, e le indicibili violenze narrate e riferite, sia nei suoi testi autobiografici sia in alcune interviste, da Boreman, siano nati e maturati nell’ambiente delle produzioni pornografiche: quelli che sono degli stralci e delle citazioni di Linda Boreman, divengono infatti esemplari della coercizione che vi può essere nel mondo del porno, ed è proprio qui che si produce un’equazione niente affatto scontata, è qui che alcuni fatti circoscritti e allo stesso tempo controversi (in quanto nell’arco della sua vita Boreman darà versioni contraddittorie di alcuni eventi, soprattutto di quelli correlati ai suoi film e all’ambiente del porno) vengono semplificati e ridotti, senza avanzare nessun dubbio e senza restituire la dovuta complessità a quel che è stato.
Linda Lovelace assurge per l’ennesima volta a simbolo di una generica struttura coercitiva in essere nella cinematografica porno.
Cerchiamo di fare chiarezza in una storia lunga e dalle immancabili zone d’ombra; le violenze, lo spiega la stessa Boreman nell’autobiografico Ordeal (1980), sarebbero state perpetrate dal suo compagno, Chuck Traynor, e hanno quindi una connotazione tipicamente relazionale.
Ciò non vuol dire che chi fosse stato a conoscenza della difficile situazione di Boreman, compresi registi e produttori, non sarebbe dovuto intervenire in suo aiuto, allo stesso tempo non possono essere responsabilizzate tutte le persone che le erano vicine e che Boreman ha incontrato nella sua carriera e nel suo privato.
Un breve estratto dal saggio di Nadine Strossen, Difesa della pornografia (Castelvecchi, 1995):
“Gli scritti autobiografici di Linda Marchiano (il cognome del secondo marito, Larry, n.d.Elisabetta) non solo chiariscono che non ci furono abusi o forzature da parte dei partecipanti all’industria del porno, ma mostrano che la sua carriera come “pornostar” le diede un rifugio agognato, anche se temporaneo, dalla brutalità del marito. In Ordeal, la Marchiano descrive il senso di libertà che sentì sul set di Gola profonda e come si compiacque della compagnia del suo collega Henry Reems. Scrisse:
“Qualcosa stava accadendo, qualcosa di strano. Nessuno mi trattava come un bidone della spazzatura […] Ridemmo molto il primo giorno di riprese […]. E nessuno mi chiese di fare qualcosa che non desiderassi fare”.”
Paradossalmente, proprio il successo e la soddisfazione personale che questo film diede in un primo momento a Boreman, diventano il pretesto per un inasprimento delle violenze perpetrate da Traynor, secondo gli scritti autobiografici, che testimoniano anche come dal momento della fuga da Traynor in poi, i contatti di Boreman con l’industria porno furono completamente volontari.
In seguito Boreman scrisse Out of bondage (1986) e prese le distanze dal suo passato nel porno arrivando ad affermare:
“When you see the movie Deep Throat, you are watching me being raped. It is a crime that movie is still showing; there was a gun to my head the entire time.”
L’unico però ad essere ritenuto da Boreman direttamente responsabile delle violenze continuava ad essere sempre e solo Chuck Traynor.
All’epoca la storia di Boreman veniva spesso citata dal movimento femminista per la proibizione della pornografia, in particolare dalle sue principali esponenti Catharine MacKinnon e Andrea Dworkin, e divenne lei stessa molto attiva nella campagna contro l’industria pornografica.
Dopo qualche anno Boreman affermò di essere stata usata anche dalle stesse femministe anti-porno, lamentando il fatto che lei aveva visto solo pochi dollari dei lauti proventi dei libri di MacKinnon e Dworkin, che pure avevano ampiamente usato il suo nome e le sue vicende per sostenere le loro ragioni.
Credo si possa affermare che l’uso che MacKinnon e Dworkin fecero dell’esperienza di Boreman fu piuttosto mistificatorio, poiché non possiamo trovare nelle sue testimonianze alcuna dimostrazione del regime di costrizione in atto nell’industria pornografica, che è proprio quello che invece cercavano di avallare MacKinnon e Dworkin; testimonianze in cui troviamo invece una serie di dolorose e complesse vicissitudini, peraltro squisitamente personali, su alcune delle quali (come le violenze di Traynor) Boreman ha sempre mantenuto la medesima versione, per avere un atteggiamento più ondivago su altre, come il rapporto con il porno e in seguito con le stesse femministe.
Per rendere ancor più manifesta la distorsione del movimento anti-pornografia, nonché quella presente, seppure in misura meno macroscopica, nel post da cui sono partita, vorrei spingermi ancora più in là nel ragionamento: se anche venissimo a conoscenza di reati commessi ai danni dell’attrice americana da parte dell’entourage del porno, dovremmo sforzarci di considerare come tali i singoli reati che possono avvenire in qualsiasi ambito lavorativo, senza estenderli, per un malsano meccanismo d’induzione, ad altri fenomeni, come potrebbe eventualmente essere quello della coercizione, che pure possono marginalmente far parte di un immenso, sfaccettato e vario settore come quello della produzione pornografica.