Da Abbatto i Muri:
Due persone. Lei è precaria, quasi disoccupata. Lui è un operaio che fa lo straordinario per mantenere entrambi. Succede questo e potrebbe succedere anche il contrario. Le ragioni per cui succede sono di scelta politico/economica, innanzitutto. Perché il neoliberismo si realizzi lei deve restare a casa a fare figli e svolgere ruoli di cura e lui deve stare fuori a lavorare e mantenere. Entrambi realizzano produzione e consumi.
I due non sono uniti da quel contratto chiamato matrimonio. Un contratto che sancisce la proprietà tra i due, con ingerenza precisa da parte dello Stato che diventa sovrano e protettore, con sovranità e protezione che si estende a tutti i membri della famiglia, figli inclusi. Se i due si separano la sovranità resta e per donne e bambini si innesca il meccanismo di protezione. Un po’ come quando tu sei figlia di un padre padrone e dopo la separazione da tuo marito torni da tuo padre. Ovvero: come se lo Stato/Protettore, che ti possiede come oggetto di Stato, ti concedesse in uso temporaneo ad una specie di marito/cliente che se non fa tutto come si deve sarà destinato a fare il cliente di qualcun’altra (o sarà bandito dalla bottega) mentre la ex moglie, che ora possiamo chiamare prostituta di Stato, torna a farsi proteggere dallo Stato/Pappone.
I due di cui parliamo però, appunto, non hanno sancito quel contratto ma sono comunque obbligati a vivere una dimensione di relazione che somiglia a quella delle coppie sposate. Per poter fruire di qualche diritto, che so, assegni familiari, robe burocratiche, bisogna che si sposino. Per reinventarsi ruoli differenti nel privato si trovano necessariamente a dover confliggere con i ruoli che vengono loro imposti nella dimensione pubblica/istituzionale.
Questo dà luogo ad una serie di schizofrenie, dissociazioni, contraddizioni, che a me sembrano piuttosto evidenti. Così trovi coppie di persone che a parole disertano l’imposizione di ruoli salvo poi rifugiarvisi quando l’atto di diserzione comporta delle difficoltà, così come tutte le prove di autonomia, e si desidera di nuovo tornare a casa dal grande padre/Stato/pappone. Alcune donne, ad esempio, sono strette in una contraddizione fortissima che è quella di immaginare che esigere assegni di mantenimento da un ex sia una garanzia di diritti, dove quei diritti sono violati dallo Stato che non ti garantisce alcuna indipendenza economica. Prima ti ha infatti imposto di restare a fare figli e occuparti della cura dei familiari e poi non ti dà opportunità di lavorare e avere un reddito garantito che non passi per un marito/padre. Sicché ‘ste donne sono lì a esigere quel mantenimento immaginando di fare la rivoluzione invece che scendere in piazza, possibilmente anche assieme ai loro ex, per esigere lavoro e autonomia.
L’altra schizofrenia evidente è quella che emerge proprio in un quadro di relazioni sempre più diffuse. C’è lui che fa l’operaio, dicevo, e lei è quasi disoccupata. Lei vorrebbe lavorare ed essere indipendente e lui non solo è d’accordo ma la incoraggia e fa di tutto per aiutarla. Lui vorrebbe poter concedersi qualcosa di più, per se’, e lei si sente in colpa perché la precarietà è tremenda e non sa come fare.
Un bel giorno hanno una brutta discussione. Hanno partecipato ad una iniziativa pseudo/femminista dove c’era una signora borghese, ingioiellata, che diceva che il vero nemico è il patriarcato. Dopodiché caldeggiava tesi istituzionali e quando dal fondo della sala una signora sottolineò che il suo nemico era la disoccupazione allora la borghese farfugliò qualcosa che equivaleva a un “si iscriva a parlare e rispetti il suo turno…“. Infine continuò con il dire quante belle garanzie le donne avrebbero nel caso in cui subiscono una violenza (violenza privata, ché di quelle pubbliche che lo Stato infligge non si ci occupa…).
Dunque prima devi farti quasi ammazzare, poi ti puoi rivolgere allo Stato il quale ti tutela “in quanto apparato riproduttivo dello stato-nazione in crisi, affidando a te il welfare privatistico familiare.” Perché “attraverso la tutela del genere femminile in realtà si riafferma e si tutela l’ordine sociale tradizionale, basato sulla famiglia etero-patriarcale“. Perciò lo Stato/Pappone ti si ripiglia, con te che anzi lo autorizzi a moralizzarti, normarti, penetrarti fin dentro le mutande per controllare che l’uomo si muova nel modo giusto, ti fornisce una legittimazione sociale, anzi, un vero e proprio status, come nella condizione di vedovanza dei patrioti vittime di guerra, con ovvie note di biasimo per le sopravvissute alla violenza che disertano il ruolo di vittime/puttane di Stato*, per cui l’unica maniera che hai per girare da sola, senza appartenenze, mariti, l’unico motivo per cui puoi esigere un riconoscimento di facciata, che comunque non si traduce mai in lavoro ma nell’ultima proposta targata governo Letta/Alfano si tradurrebbe in permesso di soggiorno temporaneo se sei una migrante “clandestina” (un buono transito in patria che scade dopo un tot), è quello della violenza. Una violenza che, di fatto, c’è come conseguenza di una cultura che arriva da lontano e che va combattuta alla radice. Di più: l’unico motivo per cui riceverai un riconoscimento di facciata è l’adesione ad un modello vittimista mercificabile, quel modello che riduce le donne in soggetti deboli da mettere sotto tutela.
I due ascoltano l’intervento della tizia e poi discutono perché è come se per un attimo fossero stati trasportati in una realtà parallela in cui l’anarchia di genere che di fatto essi vivono viene annichilita, calpestata, schiacciata, da un discorso generale che ancora divide le persone in generi e i generi in ruoli, incluso quello di vittima e carnefice.
Lei che ad un certo punto dice che è tutta colpa del patriarcato.
Lui chiede: “quello di Stato? di che patriarcato parli?”
Lei risponde in modo confuso e lui alla fine dice che gli sembra un altro bel modo per renderlo mansueto ad accettare come espiazione il ruolo che a lui viene assegnato: quello di un uomo criminalizzato alla radice che deve adempiere al ruolo di marito/cura/mantenimento.
“E’ fuor di dubbio che io sono in questa situazione perché sono stata ostacolata in quanto donna…” dice lei.
“E’ fuor di dubbio che io con gli ostacoli a te non c’entro un cazzo…” dice lui.
“Allora dovresti darmi ragione e disertare…”
“Ma io diserto eccome… non faccio il macho, ti sono solidale ma non ho nessuna voglia di mantenerti per dovere nei confronti della donna/debole… non ti ho mai chiesto niente… sono autonomo… io non dipendo da te…”
“Ma tu sei stato favorito in quanto uomo e se sei indipendente lo devi a questo… mi devi risarcire…”
“Se mi parli ancora di risarcimento giuro che ti lascio. Adesso. Il debito storico in saldo per legge è un’idiozia… e per fortuna che tu sei contro le quote rosa… Tu sai… Io non sono stato favorito proprio per niente. Mi sono fatto un culo enorme come chiunque nella mia situazione… ho fatto l’università e faccio l’operaio per campare spaccandomi la schiena tutto il giorno per 12 ore… non puoi dirmi queste stronzate… non le puoi dire a me…”
“Anch’io mi sono fatta un culo enorme e a fare l’operaia non mi prendono perché sono *troppo qualificata*, non ho specializzazioni operaie e fare la cameriera alla fine stanca e quando hai superato i trentacinqueanni non vai più bene…”
“E pensi che non sia stanco anch’io? Io non le vedo più le differenze di genere nel mondo del lavoro. Se sei determinat@ ce la fai e sennò soccombi…”
“Seeee… allora sono io che mi sono inventata il fatto che se non sono una strafiga, oggetto sessuale, non mi pigliano? Cioè… tu mi stai dicendo che sono io che non sono determinata? Allora è colpa mia?”
“No, non è colpa di nessuno, né mia né tua. E non devi raccontarmi balle… conosco tante donne che di sicuro non sono come dici tu strafighe e lavorano lo stesso… Evita di fare la vittima che non ti si addice e poi questo discorso che è giusto fino ad un certo punto sposta il problema dove non ti serve. Tu continua a esigere lavoro ovunque e sempre ma il problema è la mancanza di lavoro e non il fatto che facciano lavorare solo le strafighe. Per il resto io ti aiuto come e quando posso. Spero che tu ti realizzi nel mestiere che preferisci e quel che faccio lo faccio per noi due, perché spero anche che un giorno tu riesci a trovare un lavoro che ti piaccia e io possa riposare un po’… ma tutto questo lo faccio perché ti voglio bene, non perché ho un pene, non perché è dovuto, non perché ti devo risarcire, non perché lo Stato mi obbliga a farlo… io sono il tuo amico, compagno, alleato, complice, ma non sono tuo padre né un suo sostituto.”
“Si ok, siamo svantaggiati entrambi in partenza perché quello che conta è la differenza di classe… e anch’io mi sono stancata di aspettare e combattere e non posso più vederti a faticare e poi mi sento in colpa…”
“Ti prego di permettermi di dirti quello che penso senza dover pentirmene perché tu ti senti in colpa. Smetti con la colpa che è un residuo catto/fascista che non ci appartiene…”
“Ma non sono neppure brava a fare la casalinga… e poi se dopo che trovo un lavoro decente tra noi finisce e tu hai investito tanto in mio aiuto?”
“Ma chi cazzo t’ha chiesto niente. Io non ho bisogno che tu lustri i pavimenti… non ho bisogno che tu mi fai da balia… e se dopo che ti realizzi mi lasci che ti devo dire? Ti dirò vaffanculo e andrò avanti… come dicevo… io non dipendo da te!”
“Non so fare neppure le torte della nonna… odio pulire il cesso… sono disordinata…”
“Le torte le cucino io, il cesso lo puliamo a turno, il tuo disordine sono cazzi tuoi… a me non interessa niente. La nostra casa non è di rappresentanza e se volevo una badante restavo a casa con mia madre…”
“Io mi sento inutile…”
“Allora fai qualcosa per non sentirti tale…”
“Ma fai tutto tu… io non sono autonoma…”
“Vabbè… allora sparati, che ti devo dire…” e ride.
Dopodiché si abbracciano, lei lo bacia, lui la stringe forte, tornano a casa e fanno tanto sesso.
*(Nota) a proposito della puttana di Stato sappiate che non c’è alcuna connotazione negativa che riguarda la parola puttana. Anzi. Basta dirlo. Si vuole inoltre sottolineare come le rivendicazioni delle sex workers che chiedono regolarizzazione e diritti facciano saltare il tappo d’ipocrisia (la divisione tra donne perbene e le donne per male) che finge per le donne un ruolo diverso ove quelle donne se ne appropriano e lo gestiscono per proprio conto (vedi passaggio sul donnismo funzionale al capitalismo).
Ps: Ogni riferimento a cose, fatti e persone è puramente casuale. Le due persone narrate però, giuro, le conosco e esistono davvero e il dialogo è sintetizzato per forza di cose ma è reale pure quello.