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Considerazioni lampo su sessismo e omotransfobia nella musica hip hop

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Da Intersezioni:

Mi capita con una certa frequenza di sentir parlare dell’hip hop come di un genere musicale particolarmente disastroso dal punto di vista della giustizia sociale, e  mi rendo conto che  indubbiamente scorgere una quantità considerevole di aspiranti rapper che si comportano da carogne non aiuta certo a sfatare questo mito.
In effetti, basta fare una passeggiata digitale sui canali Youtube di alcune ragazze rapper per leggere una marea di insulti sessisti. E nelle battaglie di rap, non è affatto infrequente l’utilizzo di frasi e concetti omofobici e transfobici per sminuire l’avversario, colpendolo dove fa più male a un maschio etero (e non, visto che gli omosessuali misogini non mancano, purtroppo) che non tenta di disertare il patriarcato: nella sua mascolinità.

Mi si permetta però di spezzare una lancia a favore di questo tipo di musica: laccusa monogenere non regge.  Ci sono canzoni e autori (perfino autrici, qualche volta) altrettanto sessisti, misogini e omotransfobici nel rock, nel metal,  nel punk, nell’indie,  nell’elettronica: pressoché ovunque. Tuttavia, nessuno di questi riceve condanne, e anche quando ciò succede, non sono mai così esplicite e feroci come quelle dirette contro l’hip hop. Perché? e perché così tante persone si ricordano dell’esistenza della violenza di genere selettivamente, stigmatizzando (com’è giusto che sia) Chris Brown che picchia Rihanna ma non la violenza domestica di Sean Penn nei confronti di Madonna?

Non è un mistero che questa cultura sia una delle poche ad aver mantenuto una dominanza nera anche sfondando nel mainstream, quando sistematicamente buona parte della cultura black ha subito un’appropriazione da parte bianca e non di rado schernita, umiliata, resa uno scherzo: per fare un semplice esempio, quanti scherzano sullo stereotipo cinematografico della donna nera che gesticola molto? con questi precedenti, possiamo dire che si tratta di razzismo. Sì, proprio razzismo: implicito, ma pur sempre tale.

Esistono assolutamente rapper, nere/i e non solo, che parlano (con continuità e senza) di tematiche affini a quelle lgbtqia e femministe: il punto è che non ricevono alcuna visibilità. C’è addirittura un intero sottogenere a sè stante, che si chiama homo hop, e mi vengono in mente Melange Lavonne, Big Dipper, Mykki Blanco, Katastrophe, Deep Dickollective, Le1f, Yo Majesty, Tori Fixx, Queen Latifah, Immortal Technique. Giusto per nominarne un po’.
Eppure indovina chi è che riceve gli elogi della critica per aver scritto una canzone contro l’omofobia? Macklemore e Ryan Levis. Entrambi maschi, bianchi, etero.

La dinamica che si verifica in questi casi  dovrebbe dar da pensare anche a chi di musica (e di hip hop) frega nulla o relativamente poco, perché è l’espressione palese di come i propri privilegi influiscano negativamente su chi è oppress* anche cercando più o meno di combatterli. Si può essere antisessist* e antirazzist* e attuare inconsapevolmente sessismi e razzismi, e questo è il caso. Come combattere tutto questo? i due avrebbero potuto rifiutare i complimenti e dare spazio mediatico a qualcun* de* rapper queer e nere/i, ma non l’hanno fatto.  Non gliene sto  facendo un peccato capitale, beninteso, ma il primo privilegio che si ha è proprio quello di non accorgersene. E all’occorrenza, quello di negarne l’esistenza.

Posted in Pensatoio, Sessismo.

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One Response

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  1. pietro says

    La principale caratteristica dell’hip hop è che i testi hip hop parlano dei testi hip hop e di chi li scrive, tanto che è difficile scovare una canzone che non dica nemmeno una volta “rima”, o il nome dell’autore, o che si tratta di hip hop.

    Al contrario, le canzoni rock che parlano di canzoni rock sono molte meno, e soprattutto sono rarissime le canzoni rock che dicono quanto siano migliori le canzoni rock di chi ha scritto quella specifica canzone rock rispetto alle altre canzoni rock (ovvio che siano rarissime, è una cosa profondamente stupida—e infatti i cantanti hip hop lo fanno spesso).

    Questa tendenza a creare metadiscorsi mette già l’accento sul linguaggio usato, nel senso che le canzoni stesse parlano del linguaggio, che quindi vede aumentata la propria importanza.

    C’è poi un sottogenere molto cospicuo, fatto di canzoni che dicono: io sono fico e tu no.
    Sono esercizi abbastanza omogenei di autoesaltazione (anche autoironica, a volte) e al contempo di denigrazione dell’avversario, in cui viene necessariamente alla luce il metro con cui si misura il valore delle canzoni e dei cantanti, e vuoi per cultura di base, vuoi per pigrizia, alla fine non è raro che il tutto si riduca in “ce l’ho più grosso io”.