Da Abbatto i Muri:
Edizione straordinaria delle cronache delle disavventure della nostra Trombatrice Precaria. Vi lascio alla sua narrazione.
>>>^^^<<<
Cla-mo-ro-so. Ho incontrato un difensore dei diritti delle donne. Minchia papà ***(vedi nota), dissi tra me e me, con questo si che si ragiona.
Non era di quelli sgamatissimi. Viaggiava un minimo in incognito. In pubblico pareva tanto maschio alfa e nel privato si proponeva come un bijoux d’uomo. Averci le due essenze non è male perché il massimo sarebbe uno che è un po’ maschio e un po’ no. Virile qb (quanto basta), ardimentoso qb e tipo schiacciami contro un muro e fammi urlare di piacere qb e gentile qb, compagno, miracolato dalla dea di noialtre che crediamo nella santa protettrice delle Trombatrici Precarie, possente qb, che è in grado di resistere sulle barricate, ma votato all’adorazione della mia signora Vulva, pronto a forzare una carica della polizia per arrivare in zona rossa ma consapevole di dover arrivare alla mia meta dovendosela conquistare. Oddio, diciamo che c’è già una certa disponibilità intrinseca senza bisogno di fare troppe circonvoluzioni ma vabbè.
Quando l’ho visto dissi Bieddu, con quella capigliatura folta, spettinata, l’abbigliamento casual da barricata, una felpa probabilmente ignifuga a prevenire autocombustioni militanti, il fare un po’ da “Cumpà, qui ci penso io“, quasi mi feci il segno della croce. Ave e Maria e Nomine e Patri, ca’ ‘un ci criru che ‘stu pezzu ‘i figghiu mi pigghia ‘a ‘sta manera ***. Perché dovete sapere che sebbene la Trombatrice Precaria non disdegna niente, basta che sia prestante e pronto all’uso, ha comunque una predilezione per il modello militante, il gran selvaggio, un po’ guerriero Che Guevara e un poco Cristo scapigliato con la barbetta incolta. E quindi figuratevi quanto questo uomo incontrasse la mia totale adorazione.
Già dal nome si capiva che aveva pure il pene rivoluzionario. Josè, mi parve appellativo da resistenza latino americana. Poi lui mi disse che il suo vero nome era Giuseppe e allora sperai che l’influsso biblico non inibisse la sua prestazione. Josè arrivò in piazza dove ci eravamo dati appuntamento. Un militante vero fa così. Non ti viene a prendere sotto casa. Semmai sei tu che vai a prendere lui perché non ha la macchina. Ecologista, con la bicicletta d’assalto, sexy all’eccesso mentre si avvicinava e io temetti che una sportellata in faccia del maldestro autista posteggiato gli deturpasse il fascino.
La pomiciata light cominciò dopo un’arancina divisa a mezzo perché lui non aveva soldi per comprarsela, io non avevo soldi per offrirgliela e allora ne presi una e come si conviene in questi casi io spartisco un bene e tu paghi in natura. Una birretta completò l’opera, dopodiché gli dissi “sangu’ miu, ma dobbiamo restare in questi lidi?” e lui mi afferrò con maschia precisione e dopo aver lucchettato la sua bici mi trascinò sulla mia macchina.
Il viaggio fu tortuoso perché un compagno solidale è solidale di me in quanto donna ma non di me in quanto autista. Perciò scansai una vecchia sulle strisce pedonali, accellerai malamente mentre mi infilava una mano dentro i pantaloni, poi si appoggiò totalmente sul mio braccio e io vi giuro che lì ho stimato gli uomini che virilmente guidano con una mano sola e con l’altra cingono la spalla dell’amata. Sarà che la criniera di Josè era più folta della mia, sarà che il mio braccio non bastava a cingere quel gran pezzo di viril possenza, ma alla fine del viaggio mi trovai a svitarmi la clavicola per dare un senso all’arto.
Arrivati a casa l’amletico interrogativo postomi fu “fumiamo o non fumiamo“? E per quanto io non sia propriamente una fumatrice e reagisca male pure a mezzo bicchiere di vino, decisi che non potevo censurare la tradizione culturale di Josè. Non si può colonizzare la vita di un uomo sol perché ci vuoi trombare. E dunque, carissimo Josè, affumazzami pure tutta la casa stabilendo che la soglia minima di inquinamento non deve superare la mia camera da letto.
La qui presente Precaria Trombatrice ebbe un presentimento sul prosieguo della serata ma non volle guastare l’entusiasmo e interrompere la discussione. Per dare prova di essere all’altezza di un siffatto maschio bisognava come minimo saper rollare. Averci un filtrino a portata di mano e alla confezione di cartine ci pensava lui. Dopo essermi mostrata grata e interessata ad un seminario (breve) sulla fenomenologia e ontologia dell’arte del rollaggio, appresi così che la migliore forma del filtrino era a S. E’ ora si, pensai, che mi si risolvono i problemi della vita. Al secondo tiro, approfondito, cominciai a ridere come una matta e più ci pensavo più la situazione mi sembrava buffa. Che si deve fare per una Trombata lo so solo io. Ma andiamo avanti.
La ritualità esigeva di ripetere frasi di apprezzamento del prodotto tipo “è buona“, frasi di adempimento al valore della solidarietà militante tipo “passala“, frasi di sussiego e distinzione dalla massa tipo “però noi con i punkabbestia non abbiamo niente a che fare“. Dopodiché mi industriai per calmare la fame chimica del picciottazzo ché altrimenti rusicava puri ‘u divano***. Feci uno spaghetto seduta stante e nel frattempo l’eccitazione saliva alle stelle. Io già c’avevo l’ormone abbastanza smosso ma a sentirlo con la voce strascicata e il fare molle da fumato, tipo che gli avrei dato la pasta per endovena e poi avrei preteso il pagamento.
Precariamente feci da contorno alla pietanza. Lui mi toccava, io lo toccavo, lui mangiava, io lo toccavo, lui digeriva, io lo toccavo. “Ma tu sei sicura?” mi disse ad un certo punto. Allora temetti che il condizionamento biblico alla fine avrebbe preso il sopravvento. Josè, Giuse’, Peppe, come ti chiami, è da due ore che ti alliscio e dici che non sono sicura? Urgeva un procedimento d’emergenza. E fu un errore che mi costò parecchio. Poi capirete il perché.
Sazia la panza e l’occhio a pampinella aveva la modalità da uomo che “la donna non si tocca neppure con un fiore” e io vi giuro che in quel momento avrei apprezzato mi toccasse pure con un cactus. Mi venne in mente che mia madre pretendeva di insegnarmi che un uomo avrebbe dovuto “rispettarmi” lasciandomi con gli occhioni flap flap e i sospironi stile film anni ’50 mentre la Pippa diceva “Toccami” e “Smettila di rispettarmi“. Non poteva essere il caso di Josè, per mia fortuna. Egli sapeva che per rispettarmi avrebbe dovuto dedicarmi un minimo d’attenzione.
Provai a condurlo in camera da letto. Sperimentammo preliminari da imbianchini, parete dopo parete, per soddisfare la mia fantasia, avendo ben presente che se cadeva lo specchio lungo il corridoio sarebbero stati sette anni di disgrazie. Perché trombare è bene ma non si può sfidare troppo il fato. Come fu e come non fu, con movimenti non esattamente agili, una mutanda in meno e le tette asimmetriche (una dentro e una di fuori), riuscii a trascinare il baldo giuovine in posizione da #OccupyMaterasso. Perché a Josè se non gli parli in questo modo nemmeno ti considera.
Si buttò a pesce e io mi lasciai prendere dall’entusiasmo e mi lanciai con lui. I risultati furono disastrosi e ve li lascio immaginare. Una lieve contusione al cranio dopo aver puntato giusto alla parete. Con decisione puntai alla prosecuzione del rapporto. Una limonata, due limonate, tre limonate, e dopo aver fatto la spremuta di agrumi, gli misi la mano là per poter adempiere alla fase Due. Josè parlava e se parlava io ero contenta. Poteva dire minchiate di ogni tipo ma era sufficiente strascicasse la voce e ogni tanto si ricordasse di farmi sentire che era vivo e per me andava bene. Ci penso io, Josè, dicevo tra me e me, determinata a raggiungere la meta, tu sei tenace a superare le barriere armate? E io sono qua vestita con un passamontagna e l’intenzione da pasionaria guerrigliera e non mi può fermare nessuno. Mi faccio pure l’inno per autosostenermi, avanti tromba e alla riscossa.
Mi sembrò partecipasse con presenza di spirito e allegria, tante risate e una volta sbagliò pure nome e mi chiamò Loretta, poi sempre più in declino fino a che mi lasciò a metà con la questione e con una frase emblematica sospesa “ma tu pensi che …“. Che penso, Josè? E dimmelo che devo pensare. Di che parli? Se t’arrisbigghi ti pianifico la rivoluzione più mondiale. Ti giuro che domani ti ripeto a memoria tutto Marx e Bakunin e cu vo’ tu. E struscio e tocco e faccio che lo obbligo con la mano morta ad abbracciarmi per vedere se lui invece è vivo. Così gli cascò la mano, gli cascò pure Filippo, Josè cascò e io andai in cucina a mangiare due porzioni di gelato. E poi dici che una non ingrassa…
L’indomani mattina fu pure tenero, sanguzzu miu. Ché poi io mi lascio commuovere e non riesco neppure a dirgli un fracazzo di parole a stordimento come converrebbe in queste circostanze. Mi preparò il caffè e scrisse un bigliettino: “sono stato benissimo… mi faccio vivo appena posso…“. Si. Benissimo. E vivo, ma VIVO però. Perché la versione di te addurmisciuto non mi è tanto congeniale. Capisci a mmè…
Note (translate)
***Minchia papà (è una forma idiomatica della mia tribù)
***ca’ ‘un ci criru che ‘stu pezzu ‘i figghiu mi pigghia ‘a ‘sta manera (che non ci credo che questo pezzo di figlio mi prende in questo modo)
***picciottazzo ché altrimenti rusicava puri ‘u divano (il ragazzo ché altrimenti avrebbe metabolizzato pure il divano)
NB: Trombatrice Precaria, è un personaggio di pura invenzione. Ogni riferimento a fatti, cose e persone è puramente casuale.