Da Abbatto i Muri:
E comunque, in fondo, in entrambi i casi: sotto controllo.
Qualche giorno fa Giovanna Pezzuoli sulla #27esimaora pubblicava un articolo davvero interessante che rilevava come le donne di fronte alla legge, la nostra legge, siano considerate o vittime, soggetti da tutelare, o irresponsabili, dunque soggetti da sorvegliare.
L’uguaglianza tra donne e uomini rispetto alla legge, di fatto, non c’è. Le leggi intervengono sulle donne quando c’è da tutelarle o da controllarne le decisioni. Si interviene sulle donne per proteggerle dalla violenza, per offrire loro un percorso protetto e/o meno accidentato (a seconda di come la pensiate) quando si tratta di lavoro, con tutte le proposte che parlano di quote rosa, incentivi rosa, e ancora spazi per immaginare la tutela della dignità delle donne e cose di questo genere.
Dall’altro lato abbiamo la serie di leggi che controllano le donne e ne moralizzano l’esistenza. Perché se sei una vittima da tutelare, chi ti tutela, come ho sempre scritto, poi pretende di moralizzare la tua vita e di stabilire i contorni della tua libertà di scelta. Sicché puoi trovare leggi che decidono al posto tuo con chi puoi fare sesso, se puoi proteggerti da malattie sessualmente trasmissibili e gravidanze indesiderate o no, sull’interruzione di gravidanza, la procreazione medicalmente assistita.
Pezzuoli dice che si tratta di immagini di donna contraddittorie e complementari. E sono d’accordo. Restano nel perimetro della dicotomia santa/puttana che ci riguarda. E a proposito di prostitute le regole che criminalizzano la prostituzione di fatto appartengono alla serie di norme a “tutela” delle donne, perché la tutela, checchè ne pensiate, è restrizione delle libertà e non concepisce zone di regolamentazione non proibizionista. Ti impone un’unica strada e devi percorrerla senza fiatare. Una strada in cui l’autodeterminazione viene mortificata in nome della tua salvezza.
Da un lato, dunque, donne deboli e vittime, vulnerabili, da tutelare. Dall’altro donne che non sono degne di fiducia, potenzialmente pericolose, scrive Pezzuoli, e irresponsabili. A questo proposito accenna alla giurista Tamara Pitch che nel corso di un appuntamento genovese ha parlato di “Mamma, moglie e poi… Come il diritto costruisce le donne“.
“Dalla fine dell’800 c’è una progressiva acquisizione di diritti, dal voto all’accesso alla magistratura, nel 1963, via via con la cancellazione di norme limitanti. Con la riforma del diritto di famiglia si raggiunge la parità genitoriale e tra i coniugi, ci sono poi la legalizzazione dell’aborto, l’abrogazione del delitto d’onore nel 1981…”.
Poi però lei fa notare come basti leggere l’articolo 37 della Costituzione per cogliere una contraddizione:
“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare”.
L’articolo 29 poi stabilisce che, per uomini e donne, la nostra sia una “società naturale fondata sul matrimonio”. Ci sarebbe da discutere un milione di anni sul concetto di “naturale” che fonda la società sul matrimonio ma come Pezzuoli osservo come, in effetti, l’art. 37 alla fine, quando parla di donne, sveli una enorme disuguaglianza. La donna ha pari diritti ma le condizioni di lavoro che la riguardano devono consentire “l’adempimento della sua essenziale funzione familiare“. Sua. Essenziale. Funzione. Familiare. Significa che quella parità finisce nel momento in cui c’è da stabilire che i ruoli di cura sono assegnati totalmente o prevalentemente alle donne le quali hanno il dovere di adattarsi a politiche di eterna conciliazione lavoro/famiglia che le signore della politica, soprattutto quelle del Pd, italiane, ma anche in parte europee, ci spacciano per politiche di progresso.
Dopodiché si riflette sulla legge sulla violenza sessuale che, come potete leggere voi stesse nella ricostruzione che abbiamo fatto del ventennio di discussione che è servita a farla approvare, assimila le donne ai minori, le tratta da soggetti vulnerabili invece che mettere l’accento sulla loro libertà.
Scrive Pezzuoli: “E anche la cancellazione della differenza tra violenza carnale e atti di libidine violenta, seppure fatta per buone ragioni, lascia troppo spazio alla discrezionalità del giudice. Quali sono, ad esempio, gli atti di minore gravità? Così, l’ultima legge anti-stalking, l’unica passata, è uno strumento utile, ma riproduce sempre la stessa immagine di donna debole e vittima”.”
Circa l’utilità della legge sullo stalking dissento ma per il resto condivido assolutamente il fatto che l’impostazione scelta sia sempre quella che riproduce l’immagine della donna “debole e vittima“.
Circa le leggi sulla procreazione medicalmente assistita e sull’aborto Pezzuoli scrive che “risulta chiaro che *le donne non possono decidere per la società, per la specie*“. Tamar Pitch dice:
“La procreazione non è certo una questione solo privata ma perché non responsabilizzare le donne in prima persona? Una volta ancora si delega allo Stato, al “maschile”, suggerendo la connotazione di donne potenzialmente pericolose. Alla donna-caos si oppone la norma maschile. E secondo la legge sulla procreazione assistita, ormai quasi completamente demolita, la famiglia non è tale se non c’è l’uomo”.
Conclude, Pezzuoli, dicendo che “resta forte l’idea che le donne vanno regolate, protette, controllate.”
Sull’impostazione, non solo legislativa, anche culturale, con la retorica del dolore da rimettere in discussione, impostazione che stringe le donne agli unici ruoli possibili, da salvare e tutelare o da controllare e normare, si pensi ai due pesi e due misure quando si parla di violenza sulle donne. Da un lato i tutori che dovrebbero salvaguardare la tua incolumità se ti dichiari vittima, dall’altra gli stessi tutori che ti manganellano in piazza quando rivendichi un diritto.
Per arrivare ad essere considerate donne, libere, autodeterminate, non bisognerebbe rimettere in discussione questa dicotomia e ragionare a fondo sui modelli legislativi che vogliamo?
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