Pubblichiamo la traduzione all‘intervista realizzata a Mercedes Olivera da Emma Gascó per Pikara Magazine.
Accademica e attivista, Mercedes Olivera è una delle pioniere dell’antropologia femminista messicana. Dagli anni Settanta lavora per i diritti delle donne in Chiapas.
Come si è evoluta la situazione delle donne indigene nella storia del Messico?
Con la colonia si acutizza l’oppressione e la disuguaglianza e per il processo stesso di costruzione della cultura indigena, la subordinazione delle donne si radica, si assume come parte della etnicità. Nel diciannovesimo secolo diventa ancor più profonda dato che le leggi segnano la famosa uguaglianza per tutti i messicani, solo che le condizioni per essere cittadini erano sapere leggere e avere proprietà. Le indigene non sapevano né leggere né avevano proprietà. Queste forme culturali che legittimano la disuguaglianza e la convertono in una caratteristica etnica si conservano per molto tempo. Io lavorai qui negli anni Sessanta e allora ancora le donne, la maggior parte monolingua, non potevano parlare con la gente di fuori. In alcuni gruppi non potevano alzare la testa per guardare gli uomini. Le donne non potevano ereditare la terra e il loro proprio corpo era venduto con il matrimonio. L’oppressione di genere e la oppressione economica di classe erano intimamente relazionate.
Come ha influenzato l’ingresso delle comunità nel sistema di mercato?
Negli anni Settanta e Ottanta si produce la monetizzazione dell’economia indigena, si cambia la produzione per adattarla alla vendita… Questa relazione con lo Stato attraverso il mercato, che avviene di forma subordinata, ovviamente, fa sì che la politica indigenista penetri nelle comunità. Attraverso la scuola penetra la cultura occidentale, che non è una forma di liberazione delle donne, nonostante sia uno spazio dove le donne hanno la possibilità di conoscere un’altra cultura… e avere qualche informazione in più.
Questo getterà le basi per la ripartizione delle strutture comunitarie che controllano la continuità dell’oppressione delle donne.
Contemporaneamente l’incorporazione al mercato permette che gli uomini accumulino maggior potere. La differenza tra chi possiede denaro e le donne, che non ne hanno, rende più profonda la subordinazione, anche qualitativamente. Fa sì che le donne dipendano molto di più dagli uomini. Prima che si creasse un dominio del mercato nelle comunità la necessità di collaborazione era molto più forte. È il cambio culturale degli uomini verso l’occidentalizzazione che include il concetto di sentirsi “maschi”. Il maschilismo dell’occidente ha forme molto peculiari, è molto violento… Questa è la forma che predomina nelle comunità prima del 1994, quando inizia la rivolta zapatista.
Che differenze riscontri tra il femminismo di taglio più occidentale, eurocentrico, e il femminismo indigeno?
Nel nostro paese il femminismo indigeno non si dissocia dal movimento sociale. Il principale problema che hanno le donne indigene è la fame, e vediamo come questa povertà sia parte dell’unione della subordinazione di genere, di classe, di etnia, che non possono essere separate. Le rivendicazioni sul corpo, il piacere, la realizzazione personale sono molto lontane. Il femminismo occidentale è liberale, individualista, permane una contraddizione molto forte. Le comunità indigene continuano organizzandosi come collettivi. L’approccio e le rivendicazioni sono totalmente differenti. Abbiamo bisogno di articolare le nostre lotte, però non abbiamo ancora trovato la forma. Le relazioni tra indigene e non indigene è molto difficile, sullo sfondo rimane un razzismo, volente o nolente. Da tutte e due i lati.
Perché è così innovativo lo zapatismo?
È la prma volta che c’è una opposizione politica con una logica di emancipazione e liberazione da parte degli indigeni, oltretutto per tutta la società. E su principi molto innovativi che nella sinistra non maneggiamo. Il comandare obbedendo è un principio fondamentale… e molto difficile da seguire. La sinistra tradizionale è escludente e permette l’accumulazione di potere. Nel periodo compreso tra il 1994 e il 2002 lo zapatismo sembrava fermarsi ad un livello di discorso, perché nelle comunità stesse, soprattutto nel caso delle donne, esisteva molta disuguaglianza. Se tutta la società è sessista, gli zapatisti per magia dovevano essere diversi? È stata una epoca molto difficile: il governo cooptava buona parte della base che era zapatista, fu un periodo di guerra, ci furono stupri di donne, abusi, sequestri…
Nel 2002, 2003 si inizia a fare una analisi di questi problemi. Un comunicato dell’EZLN segnalava tre problemi fondamentali nello sviluppo del progetto: uno era il comandare obbedendo, che non era stato rispettato; un altro era che il potere militare si imponeva sul potere civile; e l’altro era che le donne non partecipavano, nonostante esistesse questa possibilità.
Si sviluppano strategie per risolvere questi problemi. Per me sono una delle lezioni politiche più importanti, perché pur sacrificando l’estensione delle loro basi, consolidano il progetto politico verso l’interno. E gli permette di stabilire strutture proprie. Questo e l’organizzazione delle donne sono elementi fondamentali per la realizzazione del loro progetto politico.
Come cambia la strategia per la partecipazione delle donne?
Prima del 2003 reputavano che non fosse necessario lavorare di forma specifica con le donne, bisognava lavorare con le comunità. Ciò impediva che le donne potessero realmente passare da una subordinazione tradizionale di secoli a una partecipazione politica. Dopo il 2003 tornammo a fare dei laboratori nelle caracoles. Volevano sapere che cos’era questa cosa del genere e come digerirla. La maggior parte erano uomini, osservammo il genere dal punto di vista degli uomini, della loro intimità, della loro mascolinità… una volta accettata la loro posizione di potere è più facile capire tutta la dinamica.
Dopo molti giorni mi dissero: “Mercedes, ora abbiamo capito questa cosa del genere e accettiamo che sì, che noi uomini siamo i machos e abbiamo dominato… Però all’interno del marxismo dove infiliamo tutto questo?” “In tutto”, gli risposi. Rimasero paralizzati “ E come?”. Iniziammo a lavorare dal punto di vista di classe sul dove ubicare la discriminazione e la disuguaglianza verso le donne.
Come ha influenzato il mondo lo zapatismo messicano?
Lo zapatismo rinnovò le speranze e le possibilità di cambio sociale e politico perché come sinistre siamo rimasti delusi dei diversi percorsi intrapresi, e dei fallimenti ottenuti. Come per esempio le guerre in centroamerica, che costarono molte vite, molti sacrifici e non portarono a nulla. Da qualche parte si spezzarono le strutture militare, però le strutture capitaliste di potere continuarono. Nella prima convenzione del 1994 arrivò molta gente, tutti con l’ansia di appoggiare gli zapatisti. Il discorso di Marcos iniziò con “non vogliamo appoggio, non abbiamo bisogno di appoggio, abbiamo necessità che ognuno faccia la sua rivoluzione, la sua propria struttura , le sue proprie organizzazioni e che parallelamente andiamo tutti insieme in questa direzione”. È interessante questa rottura del verticalismo. Non è che tu mi vieni ad aiutare e io decido che mi aiuti e come… è acquisire la volontà di impegnarti nel tuo personale processo.
Quali sono le principali conquiste del progetto zapatista?
Il principale obiettivo raggiunto è aver perseverato, nonostante la guerra, le opposizioni, le critiche, l’isolamento… aver creato strutture proprie e con queste la dimostrazione della possibilità di altre modalità di vita e di relazione, come l’essersi posto il problema della partecipazione delle donne e degli uomini. E le strutture per l’educazione. Alla luce del nostro pensiero ortodosso ci diciamo “però non stanno dando una formazione politica. Dove sono i quadri?”. Sono molto diverse dal sistema scolastico occidentale e rappresentano davvero il fulcro della vita politica che realizzano, il fulcro del funzionamento delle comunità e il fulcro delle trasformazioni.
Traduzione di lafra