Alcuni miei pensieri riguardanti la violenza degli uomini sulle donne, sono sparsi in diverse e-mail giunte in lista, li ho scritti in tempi diversi. Sono frammenti di una riflessione sempre in corso, che non pretende di essere né definitiva né risolutoria. Ovviamente per me esistono dei punti fermi, come esistono per altre persone, ma ho imparato che il punto fermo, centrale in un contesto, può collocarsi al margine dell’area attorno a un altro punto fermo, fino a creare un disegno molto grande e complesso. Mi sorprende non poco chi guarda a questi disegni parlando di semplificazioni, lo trovo errato. Dunque.
In una mail di luglio 2012, per spiegare in che modo la violenza sulle donne (la violenza di genere – che non è solo lo stupro o il femminicidio) riguarda tutti gli uomini, scrivevo:
Sono antirazzista, ma sono bianca e sono occidentale, pur non essendo direttamente razzista io non posso negare che, quando gli altri mi vedono accanto a una donna nera, “brillo” e lei no. E’ questo credo il discorso. Brillo perché ho una serie di risonanze falsamente “positive” agli occhi di una cultura razzista, mentre lei che è nera, invece, ha risonanze negative. Ora, anche se io non la discrimino, non posso non tenere conto del fatto che lei, rispetto a me, viene percepita, a prima vista, come una “zulù”, pure se è una docente universitaria di fisica, parla otto lingue e ha formulato una teoria che cambierà la scienza, mentre io tutte queste cose non le sono e non le faccio, però “brillo”. E non posso evitare di assumermi la responsabilità culturale (che determina anche la realtà sociale) di questa discriminazione razziale, per cui né io né lei veniamo percepite correttamente. Anche se io direttamente non la chiamo “negra”, quando qualcuno uguale a me (bianco occidentale) lo fa, riguarda anche me. Suppongo che questo sia il discorso anche per gli uomini e il maschilismo, quindi se qualcuno dice: gli italiani sono razzisti e devono fare i conti con questa realtà, certamente generalizza e comprende anche me che razzista cerco di non esserlo, ma condividendo la cultura italiana, mio malgrado perché in una cultura ci nasci per caso, anche io faccio parte di quella cultura e devo considerare quel razzismo. Poi i discorsi si articolano, ma non la sento una cosa tanto sbagliata o offensiva. Anche perché se io mi metto assieme a una persona di origini africane, indipendentemente da ciò che fa o è, verrò percepita come una persona “sporca”, che se la fa con le “bestie”.
Questo frammento a mio parere è ancora valido. Il parallelismo tra razzismo e maschilismo è molto chiaro. Io, bianca occidentale, sono immagine del razzismo, anche quando non agisco in modo razzista, e partecipo quindi alla cultura razzista. Allo stesso modo ogni uomo è immagine del maschilismo, anche quando non è maschilista, e partecipa alla cultura maschilista.
La violenza sulle donne (considero donne tutti i soggetti che in questa identità si riconoscono o vengono incasellate in questa identità) o la violenza di genere è un fatto culturale, legato ad una cultura patriarcale espressa dagli uomini per lunghissimo tempo e ancora attivissima.
Questa è la riflessione ‘base’.
Domanda. Bisogna ribadire questa cosa, ogni volta che si tenta di parlare delle violenze agite dagli altri generi?
C’è chi ritiene necessario farlo, sembra che ci sia bisogno di un linguaggio esplicito, molto didascalico, per poter parlare di violenza attraverso un blog che raccoglie centinaia di post in cui la questione viene analizzata fino all’osso. In ragione del fatto che il patriarcato e il maschilismo si servono di ogni strumento per negare la violenza sulle donne. Può darsi che serva, forse c’è lungimiranza in questa posizione. Ma non dipende anche dal contesto? Non è necessario valutare, complessivamente, il luogo in cui una riflessione si trova, per capire che non si ‘ridimensiona’, ‘rivaluta’, ‘revisiona’ la violenza degli uomini sulle donne, trattando delle altre violenze che da quel sistema derivano? Se da quel sistema derivano?
Quando parlo di queste cose, non ho nessun timore di essere considerata ‘misandrica’, termine che mi fa addirittura sorridere, e che per me è paragonabile a ‘nazifemministe’, due minchionate. Diversamente le accuse di revisionismo e di maternalismo – o di non avere un’impostazione etica (come se esistesse un’unica etica) – mi offendono, offendono cioè la mia intelligenza. Ma fino a un certo punto, poi mando a quel paese chi mi offende ripetutamente e via, ma resta che il discorso è bloccato.
Non ho mai pensato che la violenza agita dagli uomini potesse essere scomparsa o messa in discussione, la disparità di potere economico, politico, sociale, culturale, degli uomini rispetto alle donne è ancora talmente grave che non ci si può confondere – ad esempio io guardo con grandissimo sospetto a tutti gli uomini che mi voglio salvare da me stessa -, nemmeno quando si tratta di parlare di un uomo che è stato preso a padellate dalla compagna, e merita di essere ascoltato, ho timori. Peraltro, è vero che le donne agiscono da ‘guardiane’ con le altre donne, ma non solo, ci sono donne che coscientemente, volontariamente, usano gli stessi strumenti degli uomini patriarcali, presi direttamente dall’arsenale del patriarcato, per dominare donne e uomini. Sono donne-uomo?
E’ connaturato al mio modo d’essere femminista (modo d’essere in costante centramento ovviamente) non essere contro i maschi, non ho bisogno di ribadirlo. Cioè tutto ciò che non ritorna sulla definizione di violenza degli uomini, non è in contrapposizione con essa. Non è un piacere o una cortesia che faccio al fallo guardare male l’espressione violenza maschile, la rifiuto come rifiuto la definizione di ‘mestieri femminili’, ‘attitudine femminile’ intesi come connaturati al mio sesso biologico. E’ una questione fondamentale, che fonda il mio pensiero, non attribuire alla biologia un ruolo determinante nelle dinamiche di genere. Perché quella impostazione, il maschio è cattivo per natura e la femmina buona (vittima) per natura, non solo mi ristabilisce un paradigma patriarcale, mi fa perdere ampie fette di riflessione che, invece, mi possono aiutare a capire come si sviluppa la violenza di genere e come posso contrastarla.
Il discorso sull’uomo, come soggetto culturale, è quindi diverso dal discorso sul maschio, deve essere chiaro. Perché serve a me, alla mia possibilità di capire, prima che al maschio. E non è vero che tra maschio e uomo non c’è confusione, la confusione, la deriva di questa confusione (o la finalità, dovuta ai fascismi che si trovano nella lotta alla violenza sulle donne e sui bambini) sono, per esempio, i metodi di castrazione per i pedofili sbandierati come soluzione a quel tipo di violenza – sia chiaro non sto mettendo sullo stesso piano la pedofilia femminile, che ha una casistica inferiore – perché, se il problema è nel maschio, nei suoi attributi, allora come me la spieghi la pedofilia nella femmina? Cosa castri alle donne, la clitoride?
La definizione di violenza di genere, quella dell’ONU (La violenza di genere è “uno dei meccanismi sociali decisivi che costringono le donne a una posizione subordinata agli uomini”), non parla appunto di maschi ma di uomini.
L’intervento di E. in lista è molto importante perché amplia il discorso e, in questo ampliamento, aggiungendo complessità, ci permette di guardare meglio una dinamica che, sebbene sia stata espressa per lungo tempo nella coppia eterosessuale, uomo-donna, perché era l’unica coppia possibile, evidentemente non è una sua esclusiva, ma appartiene a un sistema appunto, che si ricrea in continuazione e al quale si può partecipare a prescindere dal sesso biologico.
La violenza all’interno delle coppie lesbiche non sembra essere diversa, ci dice E., da quella nelle coppie etero. In una coppia lesbica il pene fisicamente non c’è.
Tra le altre cose, anche io penso che un concetto di coppia in cui l’esclusività sia colonna portante, dove cioè il possesso dell’altr* è fondamentale, rappresenti il luogo in cui questa dinamica maggiormente si espliciti. In base a ciò considero la cultura patriarcale, che avvantaggia sicuramente gli uomini (ma nel contempo toglie loro libertà), non esclusiva del maschio. Senza temere che questo mi metta in discussione la violenza degli uomini sulle donne.
Dato che oggi ci troviamo a confrontarci con altre forme di relazione e una pluralità di generi espressi a partire comunque da due soli sessi biologici, parlare di violenza maschile, fotografa sicuramente la realtà mediatica, funzionale ai discorsi autoritari, ma non la realtà tutta.
Chiunque assuma la posizione dell’uomo, nel sistema di dominio patriarcale, non agisce forse la stessa la violenza che, comunemente ed erroneamente, viene detta ‘maschile’, e colpisce chiunque assuma la posizione della donna (cioè di non-uomo)?
Questo non assolve nessuno, aggrava la posizione di tutt*.
Spero di avervi rassicurat* abbastanza.