Da Psikosomatica per le nostre Storie Precarie:
Rispondo ad Olga che in un commento a questo post mi chiede: “quanto ti capisco
ma oltre a scrivere post (e parlo anche per me ovviamente 🙂 perchè non riusciamo a fare qualcosa di concreto per mandare via quella ministra leziosa con la figlia che fa la docente universitaria mentre noi arranchiamo?”
Qualcosa di concreto, dici. Ed è giusto, per carità. “Concretamente”, io non ho fiducia in nessuna delle pseudo-maree indignate che si sono esaurite in un paio di mesi o poco più, negli ultimi anni. Non credo nelle mobilitazioni del web, a cui si partecipa con un clic senza mettersi in gioco con il corpo e la faccia. Non credo nella possibilità di dialoghi a livello istituzionale, perché non dobbiamo dimenticare che non siamo governati da una classe politica espressione di un voto ma da una pletora di tecnocrati che sta lì per far quadrare (o non quadrare, se ocnviene) i conti e nel frattempo permettere la realizzazione di esperimenti in vitro sugli Stati in nome degli ultimi tentativi di accanimento terapeutico del sistema economico – perché prima di abbandonare la nave i topi vogliono provare fino all’ultimo a non essere travolti dal naufragio. Non credo neanche più nella possibilità di votare. Credo sia la più paradossale forma di condizionamento pavloviano che ci sia rimasta.
Non credo che siano rimasti spazi di agibilità politica collettiva che possano confrontarsi con quelli normati ed egemonici. Esistono solo luoghi e aggregazioni che nascono dal basso, che lottano quotidianamente sul terreno dei bisogni quotidiani e a volte fanno anche fatica a riconoscersi fra di loro, se per caso un cuneo teorico si mette di traverso per un attimo. Per cui, se mi dici di pensare ad un atto concreto per mandare via questa gente, io penso ad atti concreti molto individuali, fisici. Ad atti di resitenza e sabotaggio. Infischiandomene della retorica della non-violenza, perché la violenza la subiamo ogni giorno. Viviamo in una situazione di ricatto permanente e di assoggettamento che mi rende molto difficile, personalmente, pensare che ci sia un conflitto da comporre, una dissonanza o uno scollamento da colmare attraverso il dialogo e le pratiche civili riconosciute.
Non credo di essere l’interlocutrice adatta, in questo senso. Poi vorrei dire qualcosa riguardo alla scrittura: in questi anni stiamo assistendo a tante forme di auto-narrazioni (parola che comincia a piacermi poco) precarie che a molti sembrano autoreferenzialità o incapace di uscire da una determinata condizione esistenziale attraverso atti concreti. Si è sviluppato un vero e proprio “filone” di letteratura precaria, molto soggettivo, frammentato e multisituato, che rappresenta una realtà uguale per tanti e tante, con mille rivoli di differenze geografiche, di genere, familiari, affettive, professionali. Anche a me sono state rivolte accuse di autoreferenzialità in occasione di altri post. Mi è stato dato della piagnona. Mi è stato detto che niente mi impedisce di andarmene altrove a realizzare l’epos dell’homo faber fotunae suae (e sì che son donna…). Ma credo che sia un modo efficace di raccontare quello che c’é.
Prima di tutto perché non è mediato, filtrato da un’intenzione precisa. Non scrivo mai deicdendo a tavolino cosa dire o cosa no. Mi riservo solo di omettere cose che metterebbero a rischio la mia privacy o che mi creerebbero problemi di altro tipo. Premesso ciò, io non credo che scrivere come facciamo sia inutile. C’è bisogno di seminare rabbia e conflitto, anche attraverso una scrittura “sporca”, del “qui ed ora”. Altrimenti lascerei tutto a marcire dentro di me ed alimenterebbe le mie nevrosi, mi avvelenerebbe l’esistenza più di quanto questo momento storico e sociale stia già facendo. E poi, spero che l’insofferenza contagi anche chi mi legge, così mi sento contagiata e solidale anch’io quando leggo le storie altrui. Scrivere è anche una forma di resistenza, psicologica ed intellettuale. Un baluardo critico, un momento di analisi ed autoanalisi che magari può sfociare nella ricerca di chiavi di lettura nuove, di proposte, di soluzioni. Può essere un po’ poco rispetto a quello che mi chiedevi nel tuo commento, ma è quanto io posso mettere a disposizione ora. Questi sono i miei mezzi, materiali e psicologici. Con questi posso fare i conti.