Una delle mie rubriche preferite tra i vari giornali online, siti o blog che seguo è Lettere dal Mondo, sul blog Il corpo delle Donne di Lorella Zanardo.
Le ragioni sono varie. Determinante è il fatto che anche io vivo all’estero e so che sono tante e diverse le motivazioni che ci spingono a partire, a tornare, a ripartire… Apprezzo poi che pur “lontane” siamo in tante a condividere la sensazione di poter comunque esserci e dare il proprio contributo. Tempi e distanze molto spesso virtuali cambiano la prospettiva dell’emigrazione o del viaggio. Acquisiamo strumenti ed è positivo volerli condividere. Emigrare per molte (e molti) è stato anche cercare un canale per continuare o magari iniziare a fare politica, perché le motivazioni che ti spingono a fare una scelta sono spesso molto politiche.
La terminologia il più delle volte usata dai media mainstream per descrivere questo fenomeno, la cosiddetta “fuga dei cervelli”, ha una declinazione secondo me fuorviante. Si parla di fuga di cervelli pensando al fisico che va a lavorare alla Nasa o alla studiosa di gender studies che va a studiare a Utrecht, Berkeley, Parigi.
La verità è che siamo un bel po che iniziamo a definirci esuli politici, magari riflettendo a posteriori su questo termine e lentamente facendolo proprio. E quindi sì, siamo cervelli in fuga, ma la nostra non è la mera fuga in avanti di chi ricerca il successo o la sicurezza economica, ma è fuga dalla repressione, dall’appiattimento culturale, dalla mancanza di stimoli delle periferie di tutta italia, dalla mancanza di diritti sulle scelte riguardanti il proprio corpo, la propria sessualità, le relazione affettive.
Siamo in fuga dall’opprimente peso della realizzazione solo nel lavoro o nella famiglia, nella maternità, o nel cellulare nuovo.
Della magrezza imposta, del matrimonio imposto, della verginità è un valore, e che un NO vuol dire SI, dei figl* imposti e delle lettere di dimissioni in bianco. Di contraddizioni irriducibili tra politiche conservatrici ed economie selvagge. E di tanto altro. Del sessismo nei movimenti ad esempio e di chi dice “la guerra tra donne non si fa”.
Si sta meglio all’estero? A volte sì a volte no. Dipende dove vai e cosa cerchi. Generalmente trovi gli stessi lavori di merda, o le stesse università più o meno in smantellamento. Non è tutto questo bengodi che ci vogliono far credere per far sentire in colpa chi, giustamente, non vuole andarsene (e poi etichettandolo come generazione perduta per dargli la mazzata finale alla creatività e alla voglia di lottare) o per farci credere che l’Europa è cosa bella e giusta, mentre siamo noi italian* che proprio non sappiamo evolverci.
Per dire i CIE ci sono anche nel paese dove vivo io e il modello di ispirazione sembrerebbe proprio quello italiano. Così come le misure per togliere il diritto alla sanità ai migranti senza permesso.
Sul piano personale tuttavia l’affrontare un nuovo contesto mette sempre in discussione, o almeno a me è servito moltissimo, e ora più che mai dove per sopravvivere ci vuole tanta (ma tanta!) fantasia, ti permette di tirare fuori risorse represse e incontrare persone che come te stanno provando a farlo, a sopravvivere dico, e a farlo in maniera politica.
Per cui succede che ti ritrovi a condividere un appartamento in dieci persone, di cui solo la metà lavora (e non sempre le stesse), eppure tutt* abbiamo una casa e la pancia piena. Sopravviviamo senza mutui, matrimoni, vergogne o pregiudizi. Poi organizzi un gruppo di consumo, e un altro amico che ha deciso che vuole fare il contadino, trova di che vivere mentre i tuoi vicini riscoprono che i pomodori hanno un sapore. Il mese dopo svuoti gli armadi, fai un giro in un mercatino e aiuti la coinquilina a mettere su una vendita estemporanea “vintage”, uno fa le foto, l’altra mette su il sito. Insomma sopravviviamo e nel mentre ci aiutiamo, creiamo un altro modo di stare insieme e lottare.
Alcun* di noi lo raccontano oppure traducono testi per far circolare stimoli. Chi lo fa con questo intento lo fa gratis. E anche questa è militanza.
Creiamo isole e stringiamo nuove alleanze. Apriamo canali di comunicazione e traghettiamo idee laddove spesso repressione, lobby e potentati vari, pure femministi, bloccano la riflessione oltre a tutti quei punti di vista (che molto spesso la distanza crea) capaci di incidere e modificare la visione di certe credenze, regole e assiomi.
Tornando all’incipit del mio post (che giuro non volevo si allargasse tanto) aggiungo solo che questa specifica rubrica mi piace anche perché ho avuto l’opportunità di conoscere alcune delle compagne che ci scrivono in occasione dei passati Feminist Blog Camp e leggere le loro esperienze è un modo per mantenere un contatto e approfondire una conoscenza.
Oggi nello specifico ho apprezzato l’ultimo intervento di Livia da Berlino, che vi consiglio caldamente di leggere perché è molto interessante, approfondendo tramite una intervista il tema del transgenderismo FtM (da femmina a maschio), proprio nel mese contro la patologizzazione trans e la transfobia.
Buona lettura!
One Response
Stay in touch with the conversation, subscribe to the RSS feed for comments on this post.
Continuing the Discussion