A Livorno, la prima cosa che percepisco scendendo dal treno, è una delle cose per me più piacevoli: l’aria del mare. Vado a piedi verso il FBC#2, perché così posso sentire e vedere, alla velocità giusta, altre cose da portare via con me, da attaccare indissolubilmente a quello che accadrà oggi.
Non si crede facilmente che una caserma possa diventare un luogo accogliente, ma così è stato. Vedere e rivedere facce viste troppo poco spesso, meravigliarsi delle voci di un nickname pure tanto nominato, scoprire l’esterno di un interno che già conosci, non sono esperienze riferibili verbalmente; almeno non da me, non ora.
Tutte le volte che entro in un centro sociale nuovo non c’è sensazione più appagante che vedere ciò che era morto, seppellito, ricordo di violenze, rinascere e trasformarsi. Specie se dentro ci succedono cose come questa, come il Feminist Blog Camp – tre giorni in uno spazio occupato e autorganizzato con persone da tutta Europa a parlare di comunicazione, politica, cultura, tecnologia ansisessista e antifascista; contatti, condivisioni di esperienze, progetti. Che vi devo dire? Molto di più di quanto sperassi, anche solo nel mio unico giorno di permanenza.
Prima di preparami al mio workshop, faccio in tempo a conoscere persone nuove, a reincontrarne di già conosciute, a mettere insieme facce, nickname e voci in un tutt’uno. Tra un meravigliarsi e un ritrovarsi, ci scappa il ricordo, lo scambio, la discussione tecnica, l’inizio di un progetto, l’amarezza e la novità – la politica, insomma. Quella che piace a me, piena di relazioni inaspettate, di ricchezze sorprendenti e senz’altro fine che il reciproco percorso verso l’altro.
Il mio primo workshop comincia alle 11, è sicuramente quello dei due che mi costa personalmente di più. Parlo del mio spazio virtuale antisessista, di come è nato, di come ci sono arrivato e dei problemi che ho, che cerco di risolvere in questo momento, di come posso farlo insieme ad altri uomini antisessisti. E’ un workshop, sono un uomo etero antisessista e se vengo a parlare porto con me tutto, rischi di insulto compresi. Ci sono, ad ascoltarmi, molte più persone di quante pensassi, e riesco a coinvolgere nella chiacchiera anche altri uomini che speravo tanto dicessero la loro. Ci si racconta, e già questo sembra incredibile – anche se invece mi piacerebbe molto fosse la normalità.
Chi ascolta evidentemente ha pazienza da vendere, perché non solo resiste al mio fare gigionesco – rimasugli di un insegnamento universitario nel quale c’era sempre da svegliare qualche testa spenta, mentre qui sono tutte ben accese – ma ha pure da dire e suggerire cose interessanti e stimolanti. Alla fine ci vengono a interrompere perché è ora di pranzo. Non avrei mai scommesso di rimanere così coinvolto tanto da dimenticarmi l’appuntamento col cibo. E anche di farlo dimenticare a qualcun altro.
Il pranzo e il pomeriggio è ancora il tempo della chiacchiera, del già detto – ma adesso di persona – e dell’ancora non saputo – ma adesso che ci vediamo te lo posso dire. E di nuovo, progetti, proposte, richieste, conferme, tutto non appesantito da nessun “dovere” verso qualcuno ma dalla diffusa piacevole di essere tutti lì con una stessa cosa in comune. Ma non chiedetemi di nominarla, non so se c’è una parola adatta.
Alle sei comincio un altro workshop, sul decontructing dei testi. Stavolta sono molto più a mio agio (c’ho pure le slide da far vedere!) e metto ancora più alla prova i poveretti che mi stanno a sentire. Lunghe chiacchiere di filosofia, di critica testuale, di strutture grammaticali, formalismi, poteri più o meno segreti e coercitivi – tutta roba da trovare in un testo. Per fortuna (loro) poi ho proposto un piccolo esercizio di decostruzione da fare insieme, e si è riso molto – l’unica cosa davvero importante che mi ripromettevo di fare insieme a tutti quanti.
Saluti veloci, insieme ad altri contatti e progetti, mentre l’implacabile orario del treno si avvicina.
Non mi va di nominare nessuno, mi dimenticherei certamente qualcuno. Il collettivo, chi ho cercato e incontrato, chi è venuto a cercarmi e chi mi è stato a sentire ha tutta la mia gratitudine per il tempo che ha voluto regalarmi. Ho avuto molto di più di quello che ho dato ed è tutto merito vostro. Grazie.
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