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Vicenza: Dilia, la triste storia di una morte annunciata

Riceviamo a pubblichiamo il comunicato della assemblea We Want Sex di Vicenza in merito al femminicidio di Dilia Reyes.

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Apprendiamo dal Giornale di Vicenza la triste notizia di un femminicidio nella nostra città: Dilia Reyes, 25 anni, viene ammazzata a coltellate dall’ex compagno Jesus Maria Paredes Gil, in una stanza di hotel. Come riferiscono i parenti, l’omicida poteva essere fermato: “Questo omicidio si poteva evitare – dice la madre della vittima. -. La mia ragazza aveva paura di quell’uomo. Lui era cattivo, violento, la perseguitava. E lei lo aveva denunciato. Solo due giorni prima lui l’aveva minacciata di morte. Le aveva detto che avrebbe ammazzato lei e tutti noi, la sua famiglia. E lo ha fatto sul serio”. Non contento, ha telefonato alla madre della vittima ridendo.

La notizia ci rattrista, ci sconvolge e ci fa indignare: eppure, stando al sito bollettino di guerra, questo è il sesto dall’inizio di maggio, in Italia; e tutti sono avvenuti all’interno di un contesto familiare, o di coppia. La cronaca è piena di questo tipo di uomini: uomini denunciati, accusati, processati, condannati per maltrattamenti, stupro, stalking alla ex moglie, all’ex fidanzata, all’ex convivente, all’ex compagna. Uomini che come Jesus Maria hanno potuto girare liberamente, nonostante 6 denunce per violenze all’attivo, nonostante avesse già provocato un aborto alla vittima, in passato.
Viene scontato, quindi, chiedersi come mai ciò sia potuto accadere. Perchè le denunce fatte dalla stessa Dilia non sono state prese sul serio? Forse la risposta si trova poche righe più avanti, sempre sul giornale locale: “Una coppia sballata, destinata a scoppiare”. Lei viene descritta come “bella, dalla vita disordinata, ma madre e figlia sensibile”.

Quello che i giornali non esitano a descrivere con i toni romanzati e stereotipati della “tragedia d’amore”, con la femmina troppo illusa e troppo ingenua e il maschio troppo possessivo e geloso, non è altro che l’ennesimo femminicidio in uno dei Paesi europei, l’Italia, col più alto tasso di violenze di genere.
E come ogni cronaca italiana che si rispetti, l’operetta ad uso domestico è servita: lei giovane, straniera, ballerina, mamma; lui meno giovane, connazionale, senza fissa dimora e “volto già noto alle forze dell’ordine”.

E se la professione di lei serve a tessere la trama giustificativa della gelosia di lui, che “non accettava che lei facesse la ballerina in un locale pieno di uomini e voleva che si licenziasse”, l’accento sulle sue caratteristiche di “mamma” e “troppo innamorata” servono a mitigare, nello svolgersi del romanzo, il clichè della donna facile e del macho geloso, con buona pace delle chiacchiere da parrocchia dal sapore nostrano. Tanto vale per il personaggio maschile di questa storia, così rassicurante perché è straniero e senza fissa dimora, figura così lontana dal maschio nordestino padre di famiglia e indefesso lavoratore, da far pensare a un risvolto esotico della trama, in cui l’antitesi del buon selvaggio è strumento utile ai lettori di questa “storia d’amore e sangue” affinchè possano sentirsi, infine, tranquilli: è una cosa che non li riguarda, una realtà che non li appartiene, o una questione da demandare alla pubblica sicurezza, come sottolineano gli abitanti di Borgo Casale. The end. Fine della storia.

E invece no, non è così. Questa storia non ha inizio e questa di certo non è la sua fine. E’ una storia in cui non troviamo personaggi fittizi, eroine sacrificali, troppo amore e troppo odio. E’una, sono due, tre migliaia di storie all’anno, in Italia, con nomi veri, vite vere, padri, nonni, mariti, fidanzati od ex tali che hanno ucciso, stuprato, picchiato, segregato.

E loro, le donne di queste storie, non sono mogli disubbidienti, fidanzate che tradiscono, amanti sfuggenti, femmine dalla dubbia vita, matrigne crudeli; altrettanto dicasi per quei mariti gelosi, fidanzati troppo innamorati, padri severi, uomini frustrati dal lavoro e dal peso delle loro relazioni.
Alla luce delle statistiche, a noi sembra invece che, più che una vita definita moralisticamente come “disordinata”, più del lavoro che si sceglie, il Leitmotiv sia la presenza nell’esistenza di queste donne di uomini violenti, che sono tollerati (quando non approvati) dalla società e che possono agire in maniera indiscriminata.

Questo, più che la pericolosità del sonnolento quartiere Borgo Casale, teatro casuale del fatto, che gli abitanti ora definiscono pittorescamente “il bronx”, deve farci riflettere; Quante donne si ritrovano con il proprio personale inferno privato, quante hanno il coraggio di parlare, quante vengono ascoltate? E’ ora di dire “Basta” alle violenze sulle donne, facendo chiarezza su chi sono le vittime di un sistema culturalmente accettato e di silenzio che sta mietendo una morte al giorno.

C’è una lunga battaglia culturale da combattere.
Ciao Dilia, non ti dimenticheremo.

Assemblea We Want Sex

Posted in Misoginie.