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Violenza sulle donne: quando si patologizza l’espressione di un bisogno!

Diversamente dal primo e dal secondo film (infarcito di pregiudizi e bacchettonissimo per mille aspetti) della serie “Mai per amore” trasmessa su Rai Uno ogni martedì (l’ultimo va in onda la prossima settimana) il terzo, con la regia della brava Margarethe Von Trotta, “La fuga di Teresa” mi è piaciuto. Abbastanza.

Dai dati riportati in basso, secondo l’indagine Europea, nel 2006 si potevano registrare 1010 casi di suicidi di donne vittime di violenza. Laura, la protagonista del film di cui parliamo, potrebbe essere stata una di queste (Teresa è la figlia come vedremo dopo).

Un film apparentemente sottotono, fin dal principio, dove tutti, incluso l’uomo che compiva le violenze, parlavano sottovoce. Un film atipico. Dove nessun poliziotto esibiva un’arma e dove il lavoro di investigazione, cosa abbastanza incredibile, veniva realizzato attraverso la collaborazione tra un poliziotto dalle pose tranquille e una psicologa anche lei ufficiale di polizia.

Laura, interpretata da Stefania Rocca, si suicida. Donna benestante appartenente ad una famiglia di imprenditori, lascia il lavoro e per due anni è affidata alle cure del marito, medico chirurgo cardiologo, che con la stessa dedizione cura le due figlie. Il suicidio di Laura inizialmente sembrerebbe  un incidente perché si teme lei, sottoposta ad una terapia che le imponeva di assumere molti farmaci antidepressivi, possa aver perso il controllo dell’auto.

Gli elementi che chiariscono quel quadro familiare sono evocati con destrezza dalla regista utilizzando un poliziotto che ha una sua idea su come sia avvenuta la vicenda, che mette in moto un’indagine basata su un sospetto (incredibile anche questo) e poi utilizzando vari espedienti narrativi, frasi calate qui e là, dinamiche familiari che lasciano vedere l’indifferenza, l’assenza di tutti, o meglio, la presenza di tutte le persone che non osavano dire nulla sulle reali condizioni di Laura.

La realtà era composta da un uomo che reggeva la famiglia a furia di farmaci dati in pasto a tutti, figlie incluse, per tenerle sotto controllo. Il ricatto perenne di tipo psicologico era quello che a lui faceva intendere come fosse una malattia ogni rivendicazione della moglie e delle figlie. La disobbedienza per lui era una malattia. Il fatto che Laura volesse lasciarlo era una malattia. E la sua soluzione erano le botte, un tono prevaricatore e dominante e i sedativi.

Lui, un medico di prestigio stimato e adorato da persone a cui aveva salvato la vita, teneva lontano chiunque gli dicesse che era un uomo tutt’altro che perfetto, con grandi problemi a recepire critiche, aveva licenziato la tata della figlia che tentava di difendere la moglie e aveva mandato in collegio quella stessa figlia – Teresa – perchè disobbediente imponendo alla bambina più piccola di ingerire farmaci ogni sera per “dormire”.

Le ragazzine, vittime di violenza assistita. Perché avevano visto ciò che veniva inflitto alla madre e perché loro stesse vittime di quella violenza. La più grande che dava la colpa a sua madre per la sua “malattia” e non voleva vedere ciò che stava succedendo e la piccola che cercava di soddisfare il padre in tutto per farsi voler bene e non ricevere nessuna punizione.

Una intera famiglia tiranneggiata sottovoce, con metodi subdoli, senza alcun rumore, per cui ogni segnale, ogni azione diversa, ogni urlo di una figlia poteva sembrare minaccioso a rompere un apparente equilibrio che andava ristabilito. Ordine, ancora con i farmaci, ancora con il silenzio, ancora con qualunque mezzo potesse impedire ad “estranei” di mettere in naso nelle vicende familiari. Infine la figlia, Teresa, scappa con un ragazzo pieno di pearcing che rompe l’incanto degli stereotipi che vorrebbero quel genere di ragazzi squilibrati e sbandati e li restituisce come brave persone o per lo meno quello di cui parla il film è un ragazzo sereno, con un bel rapporto con la madre, innamorato della sua ragazza e con tutta la voglia di farla star bene e di aiutarla. Quando la ragazza scappa il poliziotto e la psicologa possono indagare a fondo e scopriranno che Laura era stata vittima di maltrattamenti e che per ogni livido o frattura il marito, medico, aveva firmato un referto falso del pronto soccorso, poi l’aveva costretta a ritirarsi dal lavoro e infine aveva medicalizzato tutti i suoi disagi imponendole di prendere la “medicina” e facendola passare per “malata” davanti alle sue figlie.

E’ una strana fiction che ha parlato un linguaggio lontano dalla televisione, in cui ciò che vedevi alla fine era il pianto di quest’uomo disperato, oramai scoperto, la cui vita era andata in pezzi, dopo che aveva tentato di uccidere anche le figlie non più sotto il suo controllo con una dose massiccia di farmaci, le quali figlie non avrebbe più potuto vedere. Strana fiction perché ha raccontato una violenza quotidiana, fatta di parole pietose, di un egoismo mascherato da “sacrificio” (il marito devoto, l’ombra della moglie malata, voleva aiutarla), di una prigione fatta di presunte “attenzioni”, di persone indifferenti tutto attorno che si limitavano a dire che certo era strano ma che insomma erano affari loro, di metodi che vengono usati socialmente per cui per ogni donna che si ribella si immagina possibile l’uso di un Tso, la si chiama pazza, si patologizzano i bisogni, si immagina che una ragazzina ribelle abbia bisogno di “cure” e che ogni persona “disobbediente” all’ordine imposto debba essere punita.

Di questa violenza sociale siamo in qualche modo tutt* vittime e di questa violenza sono morte tante donne e tante, in passato, sono finite in manicomio in virtù di chi non voleva ascoltare la loro rivendicazione.

Per ogni Laura, piegata, fisicamente e psicologicamente spezzata, che decide di suicidarsi perché non ha altra via d’uscita, quante Laure e Terese ci sono che ancora resistono e rispetto alle quali bisognerebbe fare qualcosa?

I dati:

1)    VIOLENZA MASCHILE VS. VIOLENZA MASCHILE SULLE DONNE (DI GENERE)

  • Omicidi in calo  (omicidi di donne nel 2006 181, nel 2010 151)
  • Omicidi in famiglia in aumento (femminicidi nel 2006 101 (df 91, if 75 +11 ex) nel 2010 127 (df 114, if 68, ex 29)
  • 70% dei femminicidi è preceduto da violenza domestica
  • Omicidi nelle relazioni di intimità: solo il 4/8 % sono vittime maschili (OMS, 2002)
  • La proporzione di donne uccise dai partner è costante negli ultimi 70 anni e varia dal 40 al 70% a seconda dei Paesi (Gartner e McCarty, 1991)
  • In Italia: over 46 vittime
  • Omicidi collaterali connessi alla violenza domestica, in EU nel 2006 sono stati 186, nella maggior parte figli che già avevano assistito ad altre scene di violenza
  • Ogni anno in EU: 3500 morti legate alla violenza in famiglia
  • 9 morti al giorno, di cui 7 di sesso femminile
  • nel 2006: 3413 morti legate a violenza in famiglia di cui
  • 1409 femmicidi da parte del partner
  • 1010 suicidi di donne vittime di violenza
  • 272 uomini uccisi dalle mogli
  • 186 omicidi collaterali (soprattutto figli bambini)
  • 536 suicidi di uomini che avevano assassinato la moglie

—>>>Bollettino di Guerra

Posted in Omicidi sociali, Pensatoio, Vedere.


6 Responses

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  1. Paolo84 says

    X federica
    ti dirò, trovo che pomodori verdi fritti sia un gran bel film e non sarebbe la prima volta che un film non dichiaratamente “impegnato” riesce a parlare di questi temi meglio di una pellicola programmaticamente di impegno civile.
    Io facevo un discorso più generale sui compiti della narrativa che per me consistono prima di tutto nel raccontare storie interessanti, plausibili, credibili (non necessariamente “realistiche”, anche il fantastico ha una sua plausibilità e coerenza) avendo padronanza dei registri e del mezzo espressivo scelto (la fiction televisiva “impegnata” in questo caso)

  2. federica says

    Non è che non vadano bene le lacrime o il ghigno sadico.
    E’ che mi aspettavo di più.
    Invece son sempre i soliti racconti stereotipati che non tentano minimamente di andare oltre all’ovvietà.
    Ce ne sono altri che ci son riusciti e non sono stati presentati, a differenza di questi, come “ciclo sulla violenza alle donne” ( a proposito manca la parola “maschile, altrimenti non si capisce di quale violenza si sta parlando).
    Penso a “pomodori verdi fritti” per esempio, e alla forza delle protagoniste, al loro coraggio e alla voglia di ricominciare insieme una vita lontana da uomini violenti.
    Secondo me questo messaggio è mancato.
    La forza delle donne in questo film non era minimamente presa in considerazione.
    Siamo sempre rappresentate come vittime incapaci di difenderci, invece dovremmo dirci di più che le altre donne sono la nostra forza.
    Cmq è ovvio che abbiamo prospettive diverse ma non credo sia un dramma.
    Non potrebbe essere diversamente

  3. Paolo84 says

    “Trovo offensive e fuori luogo le lacrime del marito come conclusione”

    Io ricordo che una delle critiche (per me eccessive) al primo film vertevano sul ghigno sadico che ad un certo punto compariva sul volto del persecutore (considerato un clichè, ma per me ci stava), ora sento che le lacrime neanche vanno bene. Io invece le ho trovate molto “vere” e plausibili per quel tipo di persona, l’uomo interpretato da Alessio Boni ha perso tutto, tutte le sue miserabili certezze costruite sull’arroganza e sulla violenza sono crollate, è plausibile che pianga..se poi ha iniziato a rendersi conto del male commesso questo può darsi, lo spero, ma non ci sono elementi certi per affermarlo.
    Ho l’impressione che sfugga una semplice realtà: anche un assassino può piangere, sfugge anche che il compito di un film,di un romanzo è raccontare storie e non spiegare perchè alcuni uomini uccidono le donne (ammesso che sia possibile spiegarlo, cosa su cui ho seri dubbi), il compito della narrativa è raccontare in maniera avvincente e credibile una determinata vicenda, delineare le trame e i caratteri dei personaggi in maniera coerente col tipo di storia raccontata e col registro scelto. Nel caso dei film “impegnati” come questo, il compito primario resta narrare una storia e poi se possibile, far riflettere e porre domande più che fornire risposte.
    Ecco una frase di uno scrittore da me molto amato, Stephen King, (autore di alcune tra le storie più belle che ho letto e di personaggi maschili e femminili sempre credibili e “reali”, alcune di queste storie come Dolores Claiborne e Rose Madder parlano proprio di donne che si ribellano alla violenza maschile, anche It in un certo senso ne parla attraverso il personaggio di Beverly): ‎”Per gli scrittori che mentono di proposito, per quelli che sostituiscono comportamenti non credibili al modo in cui le persone agiscono davvero, io non provo altro che disprezzo. Scrivere male non è solo questione di cattiva sintassi o scarso spirito d’osservazione: si scrive male quando ci si rifiuta di raccontare storie su quel che la gente fa realmente. Quando, mi viene da dire, si rifugge questo dato di realtà: capita che un assassino aiuti una vecchietta ad attraversare la strada”

  4. federica says

    Orrendo.
    Mi dispiace, aspettavo questi film con fiducia ma evidentemente ANCORA non c’è consapevolezza sul perchè gli uomini uccidano le donne.
    Questi tre film brancolano nel buio, raccontano storie di cui non sanno nulla (non si sono neanche presi il disturbo di rifletterci per due minuti) e non danno nessun messaggio di riscatto, di liberazione…niente.
    Trovo offensive e fuori luogo le lacrime del marito come conclusione.
    Quale sarebbe la risposta?
    Aspettiamo che gli uomini prendano coscienza della loro violenza?
    Tutti e tre questi film-fiction mi hanno lasciato una sensazione di amarezza e rabbia.
    Ma la colpa è mia…..cosa mi aspettavo.
    Le donne si libereranno da sole, gridiamolo forte perchè nessuno lo farà per noi.

    orrore-orrore-orrore

  5. Paolo84 says

    tutto ciò che si vede nei film o si legge nei romanzi è legato alla narrazione e al tipo di storia che si vuole raccontare e dal registro che si sceglie, se non è necessario esibire armi non vanno esibite
    Comunque una bella fiction, dallo stile sobrio, “sottotono” come è stato detto ma che avvince. Margarethe Von Trotta è anche la regista del bel Rosenstrasse

  6. Giovanna Maria says

    Un appunto: Teresa è il nome della figlia (che appunto scappa). Il nome della madre è Laura. Capisco la confusione, anche io l’ho avuta all’inizio. Per il resto, buona analisi 🙂