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Stefania Noce, io, non la conoscevo!

Stefania, io, non la conoscevo. O forse si perché in fondo mi pare che questa ragazza dai sogni vivi sia stata un po’ anche me. La ragazza di paese che nel rapporto con l’università cresce e si lascia contaminare, contagiare, o magari è lei che contamina e contagia riuscendo ad aprire prospettive altre e a immaginare un futuro differente, fatto di migliori condizioni per gli studenti e le studentesse, per gli uomini e le donne.

Io me la vedo questa ragazza cresciuta in un angolo di Sicilia dove c’è la via centrale per andare a passeggio la domenica, dove la scuola è un momento di riscatto, dove l’amore a volte può sembrare una trappola perché si incontrano persone troppo possessive, che difficilmente ti lasciano andare se tu hai voglia di andare via. E vedo intatta questa solidarietà familiare, coi nonni lì presenti a custodirla, restando ancorati a quella vita o alla morte assieme a lei e poi quella madre che s’è vista scippare una creatura partorita e cresciuta e portata avanti giorno dopo giorno. E quel padre che non riesce a sentirsi uomo senza sposare la causa della figlia, per stringerla ancora a se’, per sentirla più vicina, per dirsi orgoglioso di quel tratto che per quanto breve ha cambiato tante vite, inclusa la sua.

Vedo un paese in cui la vicina osserva come vai vestita, il vicino osserva per riferire all’uomo di famiglia con chi vai a braccetto, se respiri, se fumi, se dici parole che non sono consone a quelle convenzioni, se non sei promessa sposa o se non hai celebrato il fidanzamento ufficiale, se vai a scuola all’angolo o se fai la pendolare, se sei una fedele alle regole paesane o se sei stata contaminata dalla città grande, se sei una che esiste per trattenere il respiro o se invece prendi tutto l’ossigeno che ti serve.

O almeno io lo immagino così, quel posto, come tanti altri della sicilia, dove combatti dalla nascita per affermare ciò che vuoi essere e dove la conquista maggiore è averci tutta la famiglia a fianco, che sta con te, si batte assieme a te, ti segue nel progresso e investe nel futuro, il tuo, ma anche il loro, fatto di empatie serene, di ricchezze che restano in eredità, di solidarietà reali.

Qualcuno, stupidamente, mi ha detto che se sei femminista non puoi aver scelto un uomo che ti fa del male. Ed è una cosa stupida, davvero, perché è un’accusa che mi sento addosso, come fosse stata colpa mia o di tutte le altre esserci procurate tanto malessere, come se crescere non sia già abbastanza doloroso, come se abbandonare le sovrastrutture di una mentalità misogina, quella che ci circonda e che indirettamente ci condiziona, non sia già abbastanza difficile, come se riuscire ad afferrare la sensazione di giustezza nel delimitare un confine, un limite, tra ciò che è buono per te e non lo è, sia una cosa così immediata.

Serve una vita intera, per gli uomini e le donne, per liberarsi da una schiavitù fatta di una fragilità imposta, il bisogno di essere amate, la libertà di dire no senza sentirsi in colpa, riconoscere nella debolezza dell’altro un pericolo quando quella fragilità mostra dipendenza, quando non si esprime in modo autonomo, non essere legate a qualcuno che dice di soffrire di troppo amore ché l’amore non è possesso, non è delitto premeditato, non è femminicidio, non è nulla di tutto ciò che è capitato a tante.

Io sono sopravvissuta, Stefania invece no, ma me la porto dentro come mi porto dentro tutte le donne che non sono riuscite a compiere quel percorso di crescita che le avrebbe portate più lontano. Tante donne dalla libertà interrotta a cui è stato rubato il presente, il futuro, le prospettive. Furti di vita da chi è troppo egoista per resistere senza fare pesare la propria esistenza agli altri e a quelle che incrociano il loro percorso.

Ce ne sono tanti, purtroppo, di uomini così, ed è per questo che bisogna fare attenzione. Se dite no deve essere no. Se lui vuole rivedervi non dovete concederglielo. Se mostra insistenza denunciatelo per stalking. Non lasciatevi commuovere dalla sua sofferenza. Vi ucciderà. Dovete essere decise, dure, pensare solo a voi. Questo si impara ad essere sopravvissute, a non guardarsi mai più indietro. A non amare mai chi non lo merita. A non darsi in pasto a chi vi umilia, a chi vi vuole possedere, a chi non rispetta le vostre decisioni, foss’anche per il fatto di voler camminare a sinistra invece che a destra, foss’anche per il fatto di voler vedere il sole invece che la luna.

Avete una sola vita e se Stefania e le altre una cosa ce l’hanno insegnata è che quanto accade non è colpa vostra, che non c’è un diploma di femminismo che vi tiene al riparo dalle fragilità umane e che la consapevolezza serve se tutto il mondo circostante si assume assieme a voi la responsabilità di accompagnarvi in un percorso di liberazione da stereotipi e possesso, che tutto e tutti include e tutto deve riguardare. Se tutto il mondo si assume la responsabilità di dichiarare a priori quelle debolezze e di concedervi di pronunciarle senza marchiarvi a fuoco come sbagliate e difettose in un mondo di presunti giusti e ben riusciti.

A lei, a me che sono viva per poterlo raccontare, a tutte le altre, alle persone che ci amano, ai padri che stanno in prima fila a combattere assieme a noi, contro quegli uomini violenti, contro quegli altri che non sopportano le donne che alzano la testa e urlano i propri desideri, contro quelli che se potessero ci schiaccerebbero una ad una perché ci odiano per la nostra libertà, per il nostro coraggio e la nostra determinazione nelle lotte, perché li conosciamo, sono scoperti, sono inutilmente devoti all’autotutela, coi loro coltelli pronti a frantumare sogni, con le loro pistole puntate contro la vita, con le loro mani a strangolare il futuro.

Quelle che restano non dimenticano mai. Sono felici e fiere, portiamo dentro le Stefanie e le Francesche e le Simone e le Valentine e ciascuna di loro ci fa forti e ci rende invincibili. E se anche le fiaccole celebrative mi somigliano poco, ché io preferisco avviare riflessioni collettive piuttosto che commemorare, preferisco chiamare vita la vita e rabbia la rabbia, piuttosto che sentirmi unita in processioni, per quanto laiche esse siano, mi munirò di fiammella pure io e scorrerò assieme alle altre. Poi punterò il mio pugno al cielo e griderò alla lotta, contro la violenza maschile, per tutte noi, con ogni mezzo necessario.

Stefania, io, non la conoscevo ma me la porto dentro, ce l’ho nell’anima, quel punto luce in cui si incontrano tutte le donne che per un attimo hanno smesso di respirare e poi sono tornate indietro. Io le ho toccate. Io le ho viste. Io le amate. E non le lascerò da sole. Mai.

—>>>26 gennaio, per Stefania e le altre, a Catania due iniziative

—>>>Catania chiama e le città italiane rispondono, stessa data, città diverse: a Firenze e altrove (leggi elenco)

—>>>Bollettino di Guerra

Posted in Fem/Activism, Iniziative, Pensatoio, R-esistenze.


One Response

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  1. Paolo84 says

    il bisogno di essere amati/e è comune a tutti/e ed è bellissimo se è ricambiato, è bellissimo amare un’altra persona con la stessa intensità con cui lei ti ama ma per l’appunto l’amore non è femminicidio e non è delitto premeditato della persona che dici di amare, da parte di uomini incapaci di saper “gestire” a loro sofferenza