http://www.youtube.com/watch?v=J_ajv_6pUnI
Due film da vedere, se ne avete voglia, se non sapete che altro fare nel frattempo. Il primo: Bol (Speak) del regista Shoaib Mansoor. Un polpettone pakistano che ha sbancato i botteghini meglio di un Bollywood raccontando con un linguaggio da drammone popolare una storia tutt’altro che scontata.
Sfrutta un linguaggio trito e ritrito, inserisce pathos e lacrimoni, qualche canzone, c’è perfino un angolo danzereccio, poi ti schiaffa la storia della trans massacrata dal padre padrone e della figlia che riscatta le sorelle finendo per difenderne la sorte. Capovolge gli schemi e fa apparire quella società per quel che è, senza trucchi né inganni. Una società divisa in famiglie che limitano l’esistenza delle figlie e quelle che invece quelle figlie le sfruttano per farle prostituire. Un padre padrone integralista che mette incinta mille volte la moglie per avere un maschio e che finisce per ammazzare quell’unico figlio perché trans, una madre che non reagisce a nulla e che si tiene un mostro vicino per avere qualcuno che porti qualcosa a casa da mangiare. Diventa complice del delitto, lo nasconde, mentre lui immagina che le figlie non debbano lavorare e non le manda a scuola decidendo per loro chi devono sposare e chi no. L’unico momento in cui la moglie mostra un po’ d’impeto è quando lui porta un’altra figlia a casa generata con un’altra donna.
La narrazione scorre per bocca delle figlia che finisce condannata per omicidio, perché le donne pagano per qualunque cosa mentre agli uomini vengono condonati i “delitti d’onore”, e dal patibolo racconta una vita fatta di violenze familiari, di crudeltà inaudite, della prassi di una “normale” famiglia timorata di dio, dove tutto deve seguire il volere del padrone, unico in terra, a decidere la vita e la morte di moglie e figlie. La figlia finisce per colpire il padre per difendere la sorella che rischiava di essere uccisa a sua volta. E libera tutte, tante donne maltrattate tenute sotto sequestro in casa, le quali riusciranno poi non solo a organizzarsi ma a sviluppare una vera e propria attività imprenditoriale.
Un film che catalizza l’attenzione e commuove sulle vicende di queste donne e della trans e infine trasforma lei, la condannata a morte, in una martire, alla quale viene lasciato il lusso di un messaggio finale che in definitiva dice che è un delitto uccidere ma è un delitto anche mettere al mondo figli senza poterli sfamare.
Il secondo: The Help, di Tate Taylor. Anni ’60, lotte per i diritti civili, sullo sfondo c’è il Mississippi e il razzismo che è apartheid sin dai cessi delle case in cui le donne nere facevano servizio. Un cesso per i bianchi e uno per i neri. Posti per bianchi e posti per neri. Cose che comunque sappiamo e abbiamo già visto per esempio nel Colore Viola. Quello che ci interessa: il punto di vista delle donne nere a tutto servizio nelle case dei bianchi, l’equivalente delle nostre badanti, colf, baby sitter. Anni trascorsi a crescere figli dei bianchi, donne bianche frustrate e razziste, incattivite, perfide, ipocrite nei loro raduni di “beneficenza per i bimbi africani” mentre poi negavano un minimo di umanità alle donne che lavoravano per loro per ore e ore senza lamentarsi mai. Il pretesto: una ragazza decide di raccontare le storie delle donne nere e raccoglie testimonianze, aneddoti, descrizioni di pezzi di schiavitù disumana che finiscono per essere scritti da una delle donne di servizio la quale concluderà la propria vita da scrittrice. E’ uno spaccato interessante che ripropone vecchie misture di riscatto dall’egemonia coloniale e poi amplia lo sguardo su una complessità fatta di relazioni private, scambi tra donne, con differenze che noi conosciamo bene, di ceto innanzitutto, con queste donne di servizio che assumevano sempre più coscienza di classe e dunque restavano unite a lottare nella loro comunità, contro ogni genere di offesa, da parte dei bianchi, delle donne bianche, dei mariti violenti in casa, del ku klux klan fuori, delle bugie di chi imputava loro furti per vendicarsi per l’eccesso di intelligenza. Donnette senza stile e senza meta che non riuscivano a reggere il confronto con quelle grandi persone intere e visibili di tanta vita vissuta, capaci di ironia, di raccontare episodi veramente tragici e di riuscire a riderne nonostante tutto, di fare una rivoluzione con i propri corpi. Una rivoluzione tanto rumorosa perché attraversava l’intimità delle case. Cambiandone gli umori, infine.
Se avete tempo, se avete voglia di guardare alla vita delle donne raccontata in altri mondi, questi possono essere due esempi. Se ne avete altri suggerite pure… e buona visione.
Visto il film e letto il libro – The Help. Il film mi sembra particolarmente utile da usare in classe e mi piacerebbe discuterne. Mi sembra che, oltre alla tematica del razzismo e all’affresco storico, il film faccia emergere molto bene le dinamiche di potere e di incomunicabilità. Tra i sessi, ma persino tra le stesse donne.
Prendiamo le tre amiche d’infanzia, Skeeter, Elizabeth e Hilly: pur emergendo molto diverse l’una con l’altra, tutte e tre sono state allevate con piglio militaresco dalle amorevoli madri a diventare perfette mogliettine e padroncine delle loro linde case e fattorie e condividono lo stesso destino di essere state addestrate soprattutto ad accalappiare un buon partito, sfornargli pargoletti, vestirsi pettinarsi ed acconciarsi “bene” e comparire bene in società. Bridge, shopping, riunioni del club e pettegolezzi: questo l’orizzonte per cui sono state preparate.
Hilly, che è la “cattiva”, sguazza a meraviglia in questo ruolo di grande rana di quel minuscolo stagno. Ha piantato il college in anticipo per sposarsi in tutta fretta e vestire al più presto la corona di reginetta del suo piccolo regno. Suo unico godimento è decidere delle vite di chi le sta intorno e sarà proprio questa ossessione a perderla. Un personaggio che è impossibile non odiare, ma anche compatire, proprio come la sua sodale Elizabeth. Tipico esempio di bambina messa a sfornare bambini, è incapace di prendere in braccio sua figlia e la trova brutta, preparandole la sua stessa gabbia di infelicità – se non fosse per l’amorevole tata Aibileen (Viola Davis, meritatissima candidatura allì’Oscar). Skeeter in questo è la pesciolina fuor d’acqua, perché è diversa: le piace scrivere e studiare e non bada a vestiti e pettinature, per la disperazione di sua madre. I suoi riccioli e lentiggini -il massimo nella vita insomma- sono delle iatture da correggere e che abbassano le sue quotazioni nell’importantissimo borsino matrimoniale! Il rischio di trasformarla in improbabile Pasionaria Bianca Che Salva i Boveri Negri è grosso, ma il suo personaggio è credibile perché è una goffa adolescente piena di dubbi che osserva, ascolta e prende nota di tutto con gli occhioni adorabilmente spalancati, e che compie errori madornali. Credibile soprattutto il modo in cui gestisce/subisce il tentativo di relazione con Stuart. Tutti gli uomini del film, per inciso, fanno una magra figura, generalmente sono dei bambascioni incatenati ai loro ruoli sociali predestinati, incapaci di esprimere i loro sentimenti e i cui rapporti umani si esauriscono in un cameratismo maschile tra caserma e high school. Stuart è reso umano dal fatto che è ben conscio di essere un orso, incapace di comportarsi in società, perché lavora per mesi di fila in una piattaforma petrolifera, ed è l’unico maschio a interessarsi a Skeeter perché confusamente si rende conto di come lei sia una outcast, una “diversa” come lui.
Donne e uomini bianchi, chi più chi meno, sono tutti incatenati ai loro ruoli predestinati, impossibilitati dagli obblighi di classe a esprimere sentimenti e amicizia. Non fanno eccezione, pur essendo tra i “buoni”, John e Celia Foote (Jessica Chastain, altra candidatura azzecatissima). Celia, l’adorabile buzzurra campagnola, assume la loquace Minny (altra candidatura ecc.) di nascosto dal marito perché vive nel terrore di non corrispondere agli standard che la società del Sud richiede, e di essere sbattuta fuori di casa dal marito se non impara a cucinare -e a sfornargli il desideratissimo figlio, anche a costo di morire dissanguata dai ripetuti aborti spontanei, vissuti come una vergogna. Nel caso specifico il marito in realtà la ama alla follia e ringrazia il cielo -e Minny- di averla salvata e dato un equilibrio, ma i due giovani sono perfetti figli del loro tempo, di cui incarnano ignoranza e pregiudizi.
Il contrasto grottesco tra la situazione tragica dei neri -molto ben resa in pochi tocchi d’ambiente- e la gabbia che persino io “padroni” bianchi si sono così diligentemente costruiti per sè e per le loro donne mi sembra un buon motivo d’interesse e spunto di discussione per i ragazzi. Che ne dite? Grazie.
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Sono d’accordo che un romanzo e un film può essere valido e complessivamente riuscito pur avendo qualche “dufetto” (anche perchè le opere perfette sono rare) comunque mi pare si accenni anche a lettori e lettrici nere che hanno apprezzato il libro..quanto poi alla “fedeltà” bè è inevitabile che ogni ricostruzione storica per quanto precisa abbia delle “infedeltà” che le derivano appunto dal suo essere “a posteriori” e inoltre teniamo presente che parliamo di un romanzo non di un saggio storico sul movimento dei diritti civili. ed è inevitabile che in America un artista bianco che decida di raccontare problemi razziali, o comunque descrivere e dare voce a personaggi afroamericani vada incontro a critiche da parte di esponenti della cultura afroamericana: è successo a Spielberg con Il colore viola, a Eastwood con Bird (il film sulla vita di Charlie Parker), e succede a Kathryn Stockett. Questo però non deve significare che se sei un bianco non puoi raccontare personaggi di colore o viceversa del resto nei link nessuno afferma una cosa del genere, credo..avevo capito che non volevi condannare il romanzo o il film, è che io tendo a “partire in quarta” quando si parla di libri, arte, film e cultura pop in generale. invito comunque, dopo aver ascoltato tutte le critiche positive o negative, a leggere il romanzo e a farsi la propria idea, io la mia me la sono fatta e l’ho detta.
Sigh, scusate se questo è un doppione, ma sembra che la mia risposta sia stata inghiottita dall’etere. Riprovo!
Paolo, infatti Tamara Winfrey Harris (il primo link) dice che il libro è molto accattivante e che fondamentalmente parla di sessismo, non di razzismo. Un romanzo può essere un bel romanzo anche avendo degli elementi problematici. Però visto che è ambientato in un periodo molto significativo della storia americana, un periodo sul quale i lettori italiani (e purtroppo ormai anche tanti lettori americani) non hanno necessariamente molte nozioni, può essere interessante leggerlo con la consapevolezza che l’immagine che presenta di quei tempi forse non è fedele per certi versi.
Al pubblico italiano generale magari importa poco delle dinamiche razziali statunitensi e alle loro manifestazioni nella cultura popolare, però un pubblico femminista spero sia più sensibile ad altre questioni di giustizia sociale, essendo anche più allenata a leggere e guardare con occhio critico. Poi è normale che un’americana veda dei problemi in una storia ambientata in Usa che per un italiano è più difficile percepire, così come è normale che un’americana nera veda dei problemi che per un’americana bianca come me è più difficile percepire. Infatti per capire se un gruppo è ritratto in modo marginalizzante può essere interessante sentire le opinioni di chi a quel gruppo appartiene, per questo ho postato i link. Tutto qua! La mia intenzione non era di condannare il libro o il film, scusate se non mi sono spiegata meglio nel primo post.
insomma L’aiuto è una storia di donne che lottano insieme per il cambiamento, e ripeto Aibleen e Minny non sono affatto due personaggi “deboli”, tutt’altro, leggete il libro. Ora mi fermo qua, scusate se mi sono dilungato
Comunque L’aiuto non è un romanzo “politico” sui diritti civili o non è solo quello, è sopratutto la storia di una grande amicizia tra donne, una toccante e sincera “sorellanza” tra Skeeter (che prende coscienza del problema del razzismo e della vita delle domestiche di colore), Aibleen e Minny che supera le barriere razziali e di censo in nome di un progetto comune, di una comune lotta di libertà..e le protagoniste nere del romanzo, Aibleen e Minny non sono affatto marginalizzate, sono personaggi vivi, credibili e molto ben tratteggiati
X Biscia
io posso parlare solo del libro perchè l’ho letto e l’ho trovato bello ed emozionante..ovviamente Kathryn Stockett è una scrittrice bianca che racconta di donne afroamericane nel Mississippi segregazionista del 1962, e questo solleva molte questioni scomode, e inevitabilmente suscita tensioni e critiche (anche Clint Eastwood se le beccò quando diresse il secondo me notevole biopic su Charlie Parker)..è raro che un’opera d’arte accontenti tutti/e ed è meglio che sia così,in un certo senso perchè significa che il dibattito è vivo…non voglio apparire presuntuoso ma io del mio gusto mi fido e ritengo L’aiuto un’ottima lettura
Non avendo visto il film né letto il romanzo non posso esprimere un’opinione, però forse in ogni caso sono più interessanti le opinioni di varie blogger afroamericane (il film è uscito mesi fa in Usa e ha suscitato molte critiche):
http://www.whattamisaid.com/2011/08/this-is-why-i-worry-about-help.html
http://www.racialicious.com/2011/06/28/we-just-cant-avoid-the-help/
http://www.ew.com/ew/article/0,,20516492,00.html
Sicuramente vedro’ questi due film e consiglio “MAR NERO” film italiano che parla di donne , di badanti, della nostra piccola mentalità provinciale(mi ha commosso la frase della protagonista “Altro che Arno!”).Da vedere.
io ho letto L’aiuto, il romanzo di Kathryn Stockett da cui è tratto The Help ed è molto bello. Lo consiglio caldamente, una storia toccante, non priva di momenti ironici ma molto seria. Vedremo se il film è all’altezza