La Mirada Invisible è un film di Diego Lerman, regista argentino che ha vissuto gli anni della dittatura ma che piuttosto che parlare di se’ o delle faccende in superficie preferisce scavare in quegli angoli in cui la dittatura agisce a prescindere dal fatto che i governi siano in vita o siano rimpiazzati.
Siamo appunto in Argentina, rimasugli della dittatura, nel Collegio Nacionale in cui viene formata la futura classe dirigente del paese. La protagonista è una ragazza che di mestiere fa la precettora, la sorvegliante, la vigilante, in poche parole la kapò scolastica, che agisce nell’ombra come lunga mano del potere maschile, compiacendo il suo diretto superiore e rivelando momenti intimi di liberatoria trasgressione. Regime di controllo e prevaricazioni, niente creatività, risate, sessualità consapevole, tanta celebrazione rituale del regime e infine l’arroganza del potere che definisce se stesso in ogni momento e conclude con lo stupro della sua stessa emissaria sempre più propensa a “sovvertire” e a mettere in discussione tutto quanto.
E’ un film che fa molto riflettere e che può rimandare con molta facilità ai modelli scolastici che qui da noi vogliono tuttora i fascisti, o quelli che ci hanno lasciato per anni dopo la guerra, al ruolo delle donne come cecchine del potere e del patriarcato, in famiglia e altrove, alle fasciste inconsapevoli che comunque, sia chiaro, poi comunque non saranno risparmiate.
E’ un film che fa riflettere sull’ipocrisia di certe donne che in Italia conosciamo bene, che sono allineate al potere fascista o comunque maschile e nel momento in cui dai loro padroni ricevono qualche insulto pretendono di ricevere solidarietà dalle donne in nome della “sorellanza”, senza comunque prendere le distanze dal potere, senza rinunciare ai privilegi che ne ricavano, senza fare un passo indietro e uno avanti in direzione delle donne che hanno contribuito e contribuiscono a mortificare e opprimere.
Questa pretesa sorellanza trasversale intesa come richiamo all’unità in base all’organo sessuale che abbiamo in comune è l’ultima delle più grandi ipocrisie celebrate nel nostro paese, tesa ad abbattere la differenza di ceto – evidente – e di classe tra le donne che scelgono di restare allineate al potere per ricavarne vantaggi e quelle che pagano la propria coerenza con l’esclusione sociale, il mobbing e spesso con l’embargo economico. Altro che valutazione in base al merito.
In Italia abbiamo donne politicanti che si candidano al servizio dei peggiori sessisti, avallandone i contenuti, per poter fare carriera. Esistono quelle che si schierano dalla parte dei mafiosi e poi calcano i palcoscenici pseudo/femministi, quelle che si schierano con i fascisti, le rosso brune che sdoganano e praticano autoritarismi e poi invocano sorellanze inesistenti, quelle che nelle loro riviste femminili non fanno che accogliere e difendere uomini che parlano male delle donne e poi pretendono di dirsi interessate alle vicende delle donne.
Nessun compromesso sulla nostra pelle. Ce lo insegna questo film e ce lo insegna la storia. Le donne che stanno dalla parte del potere e del patriarcato diventano sorelle quando si riscattano e smettono di voler trarre vantaggi dall’allineamento al potere e dalla presunta appartenenza ad un genere. Invece le ritroviamo a bussare alle nostre porte quando vogliono strumentalizzarci, quando vogliono trarre forza dalla nostra forza per poter avere maggiore potere contrattuale sul tavolo delle trattative dei loro capi, quando non hanno più niente da perdere e fingono di aver fatto chissà quale rivoluzione.
Il regista è stato molto buono, davvero delicato nel definire il potere osservando le ragioni più intime per cui una donna possa essere propensa a legittimare un regime di sorveglianza. Io, per quanto ami profondamente le complessità e comprenda tutto quanto, non sono altrettanto buona. Proprio perché capisco e capisco fino in fondo la differenza tra una ragazzetta che tenta di tenersi un buon lavoro, com’è il caso della protagonista del film, è una politicante o intellettuale ben integrata al sistema che contribuisce a che avvengano stupri culturali di massa ai miei danni. Che poi qualche volta di quegli stessi stupri resti vittima qualcuna di loro dite che dovrebbe questo risvegliarmi qualche istinto solidale?
Quando esiste un clima di oppressione, così come da noi avviene da lungo tempo, gli schieramenti sono fatti di persone, uomini e donne, ugualmente oppressi da altre persone, di qualunque sesso, che evidentemente hanno scelto da che parte stare.
Antifasciste sempre. Buona visione.
alla fine, complessità o meno, l’importante è che la storia funzioni, che appassioni
il film non l’ho visto, in generale dico che saper raccontare, nella loro complessità anche i personaggi “negativi” e che fanno scelte sbagliate è una dote di non trascurabile importanza per un narratore..poi certo dipende anche dal tipo di storia che si vuol raccontare, dalle intenzioni dell’autore..
prima o poi ne scriviamo nel dettaglio 🙂
ché poi ci dicono che vogliamo farle “menà”.
Ma secondo voi in Italia chi è un esempio di rossobruna?